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27 Ottobre 2024 - 13:59
La Madonna del Gatto che è stata portata in mostra a Cuorgnè
Un Leonardo a Cuorgnè? Detta così sembrerebbe una spiritosaggine, una sfida tra burloni a chi la inventa più grossa. In realtà la Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea del Canavese, che ha sede nell’ex-manifattura cuorgnatese, ospita in questi giorni un quadro che non è stato dipinto dal grandissimo artista rinascimentale, ma che gli era stato attribuito – non senza motivo – anche da studiosi di chiara fama.
La Madonna del gatto raffigura – come dice la sua denominazione – una Madonna con bambino, e il bimbo tiene fra le braccia un gattino. Misura 58,5 x 42,5 centimetri. Rimarrà esposta fino al 5 novembre e potrà essere ammirata e studiata da appassionati, esperti o semplici curiosi stimolati dal titolo della mostra, che lascia intendere l’esistenza di un mistero.
Chi ne sia l’autore, come si sia arrivati a scoprirne l’identità e perché il dipinto si trovi a Cuorgnè lo ha rivelato il direttore della Galleria Marco Cima nel corso della cerimonia di apertura.
“Come salta fuori questo quadro? – ha esordito – In occasione della grande mostra Leonardo e le invenzioni italiane, aperta il 9 maggio 1939 al Castello Sforzesco di Milano. Tre mesi più tardi, in agosto, arriva un tale che dice: ‘Ho in casa un Leonardo’. L’autenticità dell’opera non pareva in discussione, visto che persino Adolfo Venturi, il maggior studioso novecentesco del Rinascimento italiano, che aveva superato gli ottant’anni, esclamò: ‘Sono molto contento di essere vissuto così a lungo da poter vedere questo mirabile lavoro’. Egli stesso aveva in precedenza ipotizzato l’esistenza di un dipinto del genere, dal momento che, nel periodo 1478-1480, Leonardo aveva realizzato su questo soggetto ben cinque schizzi, sparsi in vari musei del mondo. Il quadro venne subito affidato ai restauratori perché era molto ammalorato; in quattro e quattr’otto lo rimisero a posto ed il 9 o 10 settembre venne collocato al posto d’onore, nel Salone dell’Arte. La mostra fu prorogata di due settimane”.
I giornali di tutto il mondo inneggiarono al fortunato ritrovamento e piovvero le offerte d’acquisto, ma stava per arrivare un nuovo colpo di scena. Sentiamo ancora Cima: “Dopo circa un mese, dal ministero arriva l’ordine, senza spiegarne il motivo, di rimuovere immediatamente l’opera, che sparisce senza lasciare traccia. Ricomparirà solo a fine secolo, negli Anni Novanta. Nel 2004 viene esposta a Chivasso, un collezionista intelligente l’acquista, ne parla con noi e ci chiede di capire cosa ci sia dietro questa storia”.
L'inaugurazione della mostra
Sulla Madonna del gatto la Galleria d’Arte Moderna di Cuorgnè ha effettuato indagini approfondite. “Ad un certo punto – ha raccontato il direttore Cima – è sembrato davvero che ci trovassimo davanti ad un originale di Leonardo. La tavola è antica e la datazione al Carbonio 14 indica un range di circa un secolo a partire dal 1470; sul corsetto della Vergine ci sono la firma - piccolissima, fatta alla sua maniera - e la data, il 1501”.
Tuttavia sorgono dei dubbi, che via via si accrescono: il fondo, anziché a gesso come in tutti i quadri del Rinascimento italiano, è a carbonato di calcio, tipico dei pittori del Nord; il tempo intercorso fra la realizzazione dei bozzetti e quella del dipinto appare insolitamente lungo; per la pittura è stata utilizzata tempera all’uovo ma compaiono anche colori entrati in commercio all’inizio dell’800.
Il fondo insolito lo si potrebbe anche spiegare con la tendenza di Leonardo alla sperimentazione, e i colori ottocenteschi potrebbero essere stati utilizzati durante i restauri… C’è dell’altro però: emerge un nuovo elemento discordante. Nella Madonna del gatto si è fatto ricorso alla sinopia, mentre Leonardo utilizzava lo sfumato: disegnava direttamente sulla preparazione e sfumava per poi stendere decine e decine di coltri di colore estremamente diluito. “Coinvolgiamo allora – ha proseguito Cima – due grandissimi specialisti: Martin Kemp e Jack Frank. Il loro responso è che non si tratta di un’opera leonardesca. Ci concentriamo sulla storia del dipinto e scopriamo che era appartenuto al pittore genovese Cesare Tubino. Poteva essere lui il falsario? No, l’opera non è novecentesca. Risalendo lungo il suo albero genealogico siamo arrivati al probabile protagonista: il suo antenato Gerolamo Tubino, nato nel 1828 e morto nel 1872. Fu un valente pittore ed un ottimo disegnatore: lavorò a lungo come copista per le Gallerie fiorentine, poi fu professore all’Accademia di Genova. Nella Galleria d’Arte Moderna della città è esposta una sua opera, molto simile a questa”.
Perché Tubino si cimentò nel finto Leonardo: forse per mostrare la sua bravura? “Non è un falso – ha precisato Cima – Chi ha dipinto il quadro ha voluto realizzare un’opera ‘vera’: ha cercato una tavola antica e l’ha raschiata; le tecniche spaziali, la distribuzione dei volumi, lo sfondo con le montagne sono quelli di Leonardo. Addirittura ha voluto colmare una ‘lacuna’: quella dei bozzetti mai trasformati in dipinti. Gerolamo Tubino può essere considerato l’ultimo dei leonardeschi e se il suo quadro, all’esposizione del ’39, fosse stato inserito in quella sezione, si sarebbe trovato al posto giusto”.
Resta da chiedersi perché il suo discendente ed erede avesse fatto assurgere il dipinto agli onori delle cronache per poi riportarlo nell’oscurità. “Forse si spaventò perché proprio nel 1939 era stata promulgata la legge sui Beni Culturali, che puniva severamente i falsificatori. Quando l’opera ricomparve, trent’anni fa, chi l’aveva posseduta era morto e nessuno rischiava più nulla”.
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