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Lo stiletto di Clio
29 Ottobre 2024 - 08:00
L'ara romana di Luigi Origlia nel cimitero di Settimo; fu smantellata dopo la Liberazione
Motivo di fondo dell’ideologia fascista, il mito della disciplina e della giovinezza eroica fu accortamente instillato nei ragazzini per l’intero Ventennio. Il «Decalogo del Balilla» invitava non solo ad amare la patria come i genitori e i genitori come la patria, ma a soccorrere i deboli («aiuta chi ha bisogno: con la mente, chi vuole apprendere; col cuore, chi manca di affetto; con le sostanze, chi ha fame; con la vita, chi sta per perdere la sua»). E precisava: «In una chiesa, dinnanzi ad un’immagine sacra, pensa a Dio; nel parco della rimembranza, dinnanzi ad un monumento e a una lapide ai caduti, pensa all’Italia e fa’ voto d’essere pronto a dare per essa tutto il tuo sangue. […] Balilla, avanguardista, fascista, non discutere i comandi del tuo superiore, mai quelli del Duce».
Settimo Torinese, 4 novembre 1922, un manipolo di camicie nere in attesa di sfilare per i funerali dello squadrista Luigi Origlia
Agli scolari di Settimo Torinese, educatori e insegnanti non si stancavano di proporre l’esempio di Luigi Origlia, un operaio che aveva perso la vita a diciassette anni, subito dopo la marcia su Roma, durante un conflitto a fuoco tra camicie nere e militanti della sinistra. Il giovane – racconta Guerrando Bianchi di Vigny, autore di una «Storia del fascismo torinese» edita nel 1939 – viveva a Settimo, fra «elementi avvelenati dalla propaganda rossa». Ciononostante, cercava di mantenersi «puro» e di combattere «ogni giorno la sua battaglia di idee», manifestando «cieca fede in Mussolini».
«Ed è […] veramente significativa – commenta, infervorato, Bianchi di Vigny – questa fede […] nell’anima di un giovane lavoratore, essenza di popolo, che intuisce da che parte sta il vero e sa cosa abbisogni alla salute della patria». Insieme a un «manipolo di giovani arditissimi», Origlia contrastava «una massa di socialisti e di comunisti», poveri «detriti sopravvissuti», ottenebrati dalla chimera della «dittatura proletaria», senza il coraggio di battersi lealmente contro il fascismo.
Il 31 ottobre 1922 il giovane aveva preso parte a un’imponente adunata a Torino, contribuendo a devastare la Camera del lavoro. Nel pomeriggio del 1° novembre era iniziata la smobilitazione. Prima di sera erano partiti pure i fascisti di Lanzo e dei paesi limitrofi. Li scortavano numerosi squadristi di Torino e dei dintorni, ufficialmente per proteggerli da eventuali aggressioni durante il viaggio. In realtà, i propositi delle camicie nere erano ben diversi. Appena giunti a Lanzo, infatti, i fascisti avevano fatto irruzione nel magazzino della cooperativa socialista, ritirandosi solo all’arrivo dei carabinieri. Mentre ripiegavano, si era accesa una furiosa sparatoria che aveva provocato la morte di un giovane comunista e il ferimento di una donna. Subito dopo, una squadra di camicie nere si era trasferita a Balangero, comune retto da un’amministrazione di sinistra. Rovinata la casa del sindaco, mentre si avvicinavano alla sede del circolo «Andrea Costa», i fascisti erano stati accolti a fucilate, ma avevano risposto prontamente al fuoco. A terra, oltre a un comunista, ferito in modo non grave da una coltellata, era rimasto Origlia, poi deceduto all’ospedale di Lanzo. Da quel giorno i camerati di Torino lo reputavano un martire della rivoluzione fascista.
In Settimo, tutto quanto concerneva l’educazione di bambini e adolescenti, secondo i precetti fascisti, era proposto in nome di Luigi Origlia. Nel cimitero, in suo onore, le organizzazioni del regime costruirono un’ara romana, traslandovi le spoglie del ragazzo alla presenza di Piero Gazzotti, segretario federale del Pnf, e di una folla imponente. Per la circostanza, una corona d’alloro giunse anche da Achille Starace, il segretario nazionale del partito. Era il 4 novembre di novant’anni fa.
Come andarono le cose in seguito è noto. Oggi nessuno ricorda più il povero Origlia. «Quam cito transit gloria mundi!» ovvero «quanto rapidamente passa la gloria di questo mondo!».
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