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Il Canavesano

Domani saremo ciò che scegliamo oggi: l'Italia e la precarietà del lavoro

La crisi sociale tra disinteresse, scelte politiche e un futuro incerto per le nuove generazioni.

Giorgia Meloni

Giorgia Meloni

Sinceramente, non riesco, pur avendoci provato e riprovato, a capire come facciano gli italiani a non aver ben chiaro che “domani” saranno ciò che oggi hanno scelto di essere. Non ci saranno sconti per nessuno, né per i troppo “furbi”, né per quelli abituati a piangere ed a cercare compassione.

Il fatto ineludibile è che il futuro si costruisce nel presente e quando, solo pochi anni fa, con grande e partecipato disinteresse, si è lasciato fare, ecco che la Roma partitocratica ci ha regalato la precarizzazione del rapporto di lavoro, trasformando di fatto il diritto del lavoro in diritto commerciale, tradotto: oggi il lavoratore è una merce come un’altra!

Era tutto fin troppo chiaro: avrebbero condannato intere generazioni alla precarietà, all’emarginazione e al sottosviluppo, cosa che puntualmente è stata ed è! Chi più, chi meno, ha avuto modo di testare sulla propria pelle l’insicurezza del posto di lavoro, l’insicurezza dello stipendio, l’insicurezza di riuscire a far fronte alla rata del mutuo o al pagamento dell’affitto.

È difficile trovare qualcuno che non si lamenti, eppure, sono riusciti a convincere la gente che il futuro “libero” e “democratico” deve necessariamente passare dal ricatto, dall’incertezza, dalla flessibilità, dall’accettazione delle regole, dalle continue emergenze, dall’elemosina di Stato e dall’instabilità del posto di lavoro. La parola d’ordine dettata dall’Unione Europea è stata “flessibilità” e noi, da bravi e convinti europeisti, l’abbiamo fatta nostra. Poi, cosa conta se ciò ha significato cestinare decenni di lotte operaie e di conquiste sociali? Cosa conta se, per far contenti i padroni di Bruxelles, stiamo distruggendo la nostra civiltà e il nostro patrimonio culturale?

Diciamoci la verità: oggi lamentarsi è ritenuto “bello” per molti e “inevitabile” per altri. Di fatto, qualsiasi cosa si faccia in Italia, la si fa perché richiesto, dettato o imposto dall’Unione Europea o dai nostri “amici” americani. Diversamente, non si spiegherebbe come, pur passando attraverso governi di “centro-destra” e “centro-sinistra”, nulla sia mai cambiato se non in peggio. L’ordinaria precarietà, alla fine, a ben vedere, è stata la scelta degli italiani, di quelli che l’hanno sostenuta, di quelli che, quasi fosse una fede, misteriosamente ci hanno creduto e di quelli che l’hanno accettata come se fosse una cosa inevitabile.

È sempre una questione di scelte e deve essere ben chiaro a tutti che anche non scegliere alla fine diventa una scelta.

La crisi nella quale ci dibattiamo, ormai da oltre trent’anni, non temano coloro che amano evocare tristi scenari e, nel contempo, riescono a farsi abbindolare dalle più stravaganti teorie catastrofiste, presto passerà. Passerà quando ci abitueremo a conviverci, perché la crisi sociale, il lavoro sottopagato e precario, è da sempre, molto più del “Super Bowl” e delle commedie hollywoodiane, il tratto distintivo degli “inventori” della “democrazia” e della “società multirazziale”. Ormai tutto il mondo occidentale si specchia negli Stati Uniti d’America, la patria dell’effimero, dell’instabilità e delle divisioni sociali.

A tal proposito, voglio raccontarvi cosa vedo quando sono invitato a partecipare a conferenze, dibattiti e incontri, normalmente organizzati nelle sale consiliari dei comuni, nelle biblioteche, nelle sale dei bar, dei ristoranti, degli oratori o dei cinema. Negli anni, ho imparato ad osservare attentamente le facce della gente, delle persone fra il pubblico, delle persone che poi vengono a parlarmi in privato ed anche di quelle che, dal palco, esprimono concetti e progetti diversi dai miei.

È come osservare un documentario al quale si è tolta la voce; quasi non le sento, spesso non mi interessa nemmeno andare a prendere l’applauso. Mi interessano le espressioni, gli occhi, le smorfie, vedere sui volti se la loro presenza è quella di persone interessate o quella di persone alle quali è stato chiesto di venire per far numero. È un documentario molto interessante, muto, come agli albori del cinema, ma capace di parlare di sentimenti, di stati d’animo, di esperienze passate e di aspirazioni per il futuro. Un documentario dove nessun abile narratore presenta le bellezze selvagge della natura o l’approssimarsi di nuove devastanti catastrofi legate all’attività dell’uomo. Un documentario su ciò che siamo diventati e su ciò a cui abbiamo rinunciato, accettando che la politica del controllo, completamente asservita al potere economico, distruggesse il ponte che aveva sempre rappresentato la via di comunicazione tra le diverse generazioni. I volti sono da guardare, sono la parte più indifesa delle persone, la parte più esposta e più rivelativa, difficilmente mentono, soprattutto se non sanno di essere osservati.

Disoccupazione

Lasciando dunque perdere i politici, gli economisti o i giornalisti con i quali, sempre controcorrente, sono stato a confronto, sono i volti della gente che trovo sempre più mancanti, soprattutto negli individui di giovane età, delle immagini, dei racconti, magari incredibili, forse più simili a favole, che un tempo, non così lontano, rappresentavano il regalo più grande dei nostri genitori e dei nostri nonni. Racconti che formavano il carattere, necessari a stimolare nuove conoscenze, che rappresentavano storie personali e davano vita alle necessarie differenze, che in un recente passato avevano fatto dell’Italia la patria del diritto e una fra le più importanti potenze industriali a livello mondiale.

Come abbiamo potuto rinunciare a tutto questo? Come abbiamo potuto credere che flessibilità e incertezza sarebbero state una conquista sociale?

Come non ci si è resi conto che, di riforma in riforma, l’unica merce in perenne saldo sul mercato del lavoro è finita per essere il lavoratore?

Come si è potuto scegliere questa realtà, che promette ricchezza e dispensa povertà, fregandosene della saggezza dei nostri “vecchi”?

Come non si riesce a capire che, senza mettere in discussione i ragionamenti altrui, si può solo arrivare ad essere ubbidienti e muti?

Bisogna aver ben chiaro che i politici, tutti, stanno al popolo come l’amministratore di condominio sta ai condomini, quindi, se scoprendo di avere un amministratore incapace o disonesto non si fa nulla, se non lamentarsi, mi pare evidente che la colpa maggiore l’abbiano i condomini.

Si è delegato troppo, si è arrivati a mettere nelle mani di pericolosi individui il nostro presente e soprattutto, il futuro dei nostri figli.

Come si sono potute accettare le agenzie del lavoro private? Di fatto, uno dei capolavori dei nuovi mercanti della manodopera, fra le prime responsabili del disfacimento della coscienza di classe dei lavoratori.

Il clima di accelerazione storica, che contraddistingue la nostra società, con i suoi ritmi sempre più frenetici e vorticosi, pare aver cancellato la voglia di capire e di ragionare sulle scelte che la politica, sempre più aggressiva, ci impone. I tempi di produzione sono sempre più stretti, il rispetto degli orari di lavoro, le pause pranzo ed i permessi, anche quelli per malattia, sono addirittura cose che le nuove generazioni non conosceranno mai.

Tutti, in tutti i settori, sono costretti ad una spasmodica corsa, finalizzata al raggiungimento di sempre più incalzanti e fuggenti obiettivi ed alla realizzazione delle più svariate proposte progettuali. Tutti sotto ricatto, tutti pronti a tutto, nella speranza di vedersi rinnovare il contratto di lavoro.

Cosa dire ancora? Meno male che abbiamo il Governo della “svolta”. Donna Giorgia ha capito che la dignità del lavoro sta alla base e al fondamento delle libertà costituzionali del nostro Paese. Non a caso, sul “caporalato”esercitato dalle agenzie per il lavoro e sulla giungla dei contratti capestro, questa volta l’attenzione sembra davvero massima.

In quel di Roma, tutti si sono resi conto che l’Italia ha dei trend occupazionali drammaticamente bassi, una domanda di lavoro a dir poco stagnante e salari in caduta libera da decenni. Hanno capito che il “problema” diventa ogni giorno più grave e che far finta di niente significa lasciare alla mercé di aziende, senza volto e senza cuore, il destino di migliaia di persone e di famiglie. Hanno ben chiaro che questa situazione, se non risolta, aumenta le fragilità dei nuclei familiari e rischia di innescare un pericolosissimo vortice di impoverimento e di conflittualità sociale.

È per questo che il governissimo della Giorgia nazionale ha lavorato freneticamente per fare dell’Italia il primo Paese europeo che introdurrà l'IT-Wallet. C’è bisogno di stabilità, di stipendi e pensioni adeguate al costo della vita, di sicurezza e democrazia. Quindi, non poteva mancare la risposta forte del governo: “Patente, tessera sanitaria e carta europea della disabilità saranno a breve sui nostri smartphone, dal 23 ottobre sarà disponibile per 50mila cittadini e, a partire dal 5 dicembre 2024, sarà a disposizione di tutti!”

Grande Giorgia! Ma anche grande opposizione, i complimenti vanno fatti a tutti. Finalmente una classe politica degna della fiducia degli italiani!
Più li osservo, più vedo dei patetici orfanelli e aspiranti rifondatori di un sistema che in molti avevano dato per sepolto dalle macerie dell’inefficienza e della corruzione. A tal proposito, alla fine del secolo scorso, il grande Giulio Savelliscriveva: “Quando i regimi entrano in crisi, sbucano, come lumache dopo la pioggia, demagoghi di ogni genere”.

I tempi sono forse cambiati?
Certamente, ma in peggio, molto in peggio!
A conti fatti, come potevamo rinunciare ad essere la Patria dei Bonus, della precarietà lavorativa, delle tasse più alte e degli stipendi più bassi, in fondo ce lo chiede l’Europa?!

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