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Il Canavesano

L'Italia tra passato e presente: come la paura del debito ci ha portato sull'orlo del baratro

Dal terrore del debito pubblico negli anni '90 alle nuove crisi di oggi: un viaggio tra paure, politiche fallimentari e il futuro incerto dell'Italia

L'Italia tra passato e presente: come la paura del debito ci ha portato sull'orlo del baratro

Bandiera italiana

Non è un articolo per tutti, ma può aiutare quelli nati negli anni '60 e anche prima, nell’esercizio di aprire i cassetti della memoria. E poi, perché no, può stimolare anche la curiosità dei più giovani. Si tratta di un piccolo tentativo di comparazione fra ciò che ci terrorizzava ieri e ciò che ci terrorizza oggi, e di ciò che ci è costata, ci costa e ci costerà la paura.

C’erano una volta gli anni '90, quelli dell’ossessione per il debito pubblico. Qualcuno lo ricorderà: erano gli anni in cui, un giorno sì e l’altro pure, non era possibile ascoltare un telegiornale o aprire un quotidiano senza sentire parlare di un debito pubblico pronto a divorare i risparmi degli italiani. In quegli anni, non si poteva entrare in un bar senza essere costretti ad ascoltare “dotte” conferenze in materia, ad opera di consumatori seriali di caffè, brioche e cappuccini. Tutti, chi più chi meno, erano terrorizzati dalla spada di Damocle rappresentata dal debito pubblico, che secondo molti analisti era completamente fuori controllo, pronto ad abbattersi sugli abitanti del Bel Paese. Si assisteva a una vera e propria caccia ai colpevoli: Governo, Banca d’Italia, partiti d’opposizione ed economisti stimati, fra i quali spiccavano già allora i nomi illustri di Prodi, Draghi e Monti. Ognuno partiva da posizioni diverse, ma, in prossimità del traguardo, tutti erano d’accordo: i responsabili del grande debito pubblico erano gli italiani, che per mezzo secolo – questa era l’accusa e la sentenza – avevano vissuto sopra le proprie possibilità.

Euro

Erano i tempi in cui gli italiani scoprivano l’esistenza del settimanale britannico The Economist, la nuova "Bibbia" dell’economia e della finanza. Non c’era politico, politologo o economista che non citasse il giornale inglese, che sembrava avere un occhio di riguardo nel richiamare l’Italia al rigore dei conti pubblici.

In quegli anni, per arginare la deriva economica del Paese, gli scienziati nostrani pensarono di smembrare l’Italia, svendendola un pezzo alla volta. Mentre si oleavano gli ingranaggi per entrare nell’Europa dell’Euro, avveniva il suicidio politico, economico e sociale del Paese. Si perse l’immenso Gruppo I.R.I., che annoverava industrie di grande interesse nazionale, come Alfa Romeo, Cirio, Alemagna, Bertolli e De Rica. Si cedevano aziende strategiche come S.I.P.-Telecom, Enel, tre quarti di E.N.I., e le tre grandi banche di Stato: Comit, B.N.L. e Credito Italiano. L’Italia diventava una scatola vuota, senza leve economiche strategiche. La politica poteva solo promettere, ma non mantenere.

Alla fine degli anni '90, veniva alla luce "Mani pulite", forse l’inchiesta più importante contro la corruzione. Spazzò via una classe dirigente, ma, a mio avviso, la sostituì con una nuova casta, infinitamente peggiore.

Non voglio fare il nostalgico, sia però chiaro: visti all’opera i superstiti di Tangentopoli, dal dottor Amato sino all’ultimo Governo della svolta, quello di Giorgia Meloni, e vista la qualità di chi oggi rappresenta la politica italiana, credo che un Andreotti o un Craxi, uno Spadolini o un Fanfani, sarebbero ancora in grado di fare meglio, anche da imbalsamati.

Non voglio ricordare quegli anni con nostalgia – lo potrei fare solo perché ero più giovane e in forma. Quello che voglio dire è che siamo arrivati al 2024 con meno del 50% del corpo elettorale che si reca alle urne, e non sempre per esprimere una preferenza valida. A quei tempi si pagavano le tasse e la gente si lamentava, oggi si pagano tasse triplicate in mezzo all’assordante silenzio collettivo.

Oggi, molti stipendi non garantiscono di arrivare a fine mese, e tutti o quasi, quando possibile, ricorrono ai fidi bancariper sopravvivere. A quei tempi, erano mosche bianche gli impiegati e gli operai che abbisognavano di un debito permanente con le banche. I titoli di Stato – BOT, BTP e CCT – negli anni '90 rendevano anche più del doppio di quanto rendono oggi, parametrati su un’inflazione del tutto inventata. Quello che voglio dire – e si potrebbe continuare quasi all’infinito – è che allora il precariato lavorativo era combattuto, mentre oggi è ritenuto una risorsa, favorito dalla politica e dai sindacati.

Alla luce di come sono andate le cose, probabilmente erano tutti d’accordo a portarci sull’orlo del baratro, unicamente perché avevano già ben chiaro il progetto che avrebbe messo il cappio dell’euro al collo dell’Italia. Alla luce di quanto ci abbiamo rimesso, è molto probabile che le privatizzazioni, tanto insensate quanto selvagge, abbiano gonfiato i portafogli di chi le aveva volute, organizzate e concluse.

Era il "nuovo" che avanzava. Lo Stato e tutto ciò che era pubblico veniva demonizzato. Oggi, senza più uno Stato in grado di fare lo Stato, dilapidiamo miliardi e ci indebitiamo per sempre, felici di partecipare a una guerra – quella fra Russia e Ucraina – che non ci appartiene e che rischiamo di portarci in casa. E lo facciamo senza che nessuno dica niente, senza ammonimenti, nemmeno da qualche economista rampante.

Negli anni '90, la sentenza era chiara: gli italiani erano i primi responsabili del deficit e del debito pubblico, perché conducevano una vita che non si potevano permettere. Oggi le cose stanno diversamente. Il Governo, quando stanzia armi e miliardi per la guerra in aiuto dell’Ucraina, evidentemente se lo può permettere, mentre tutti noi ci confrontiamo con un caro vita fuori controllo, esattamente come il debito pubblico che, pur se nessuno lo dice, è stimato che presto supererà i 3.000 miliardi.

Oggi in Italia si plaude al genocidio dei palestinesi, ai bombardamenti su Siria, Libano e Iran ad opera dei sempre bravi, buoni e gentili israeliani, quasi che tutti siano a digiuno del grande e recente capitolo di storia che ci ha visti tra i perdenti della seconda guerra mondiale.

Oggi, nell’approssimarsi dell’inverno, ci sono ancora quelli che si accalcano in attesa di ricevere un nuovo vaccino anti-Covid, e già rispuntano gli individui mascherati nei centri commerciali e nei mercati. Oggi, mentre la disoccupazione reale, ben diversa da quella edulcorata delle statistiche governative, continua a segnare nuovi record, si spendono miliardi, chissà se del PNRR, per l’acquisto di nuovi caccia bombardieri.

E oggi, mentre dovrebbe essere chiaro a tutti che la situazione economica italiana non si è deteriorata improvvisamente, di colpo o per caso – e non perché siamo sfortunati, antipatici o perché qualcuno ci vuole male – si parla di tutto, tranne della realtà quotidiana con cui gli italiani sono costretti a convivere: stipendi più bassi d’Europa; crescente numero di incidenti sul lavoro, spesso mortali; sanità pubblica, ormai succube dell’O.M.S. e completamente asservita agli interessi delle Big Pharma; tasse più alte d’Europa, che si devono pagare in cambio di niente; mancanza di sicurezza e una giustizia esistente solo per chi se la può permettere.

Oggi tiene banco il politicamente corretto, e anche gli argomenti di discussione, lasciati agli italiani più per distrarli che per arrivare a qualcosa di concreto, vengono decisi altrove: dall’Unione Europea, dagli "amici" americani e, talvolta, dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri o dalle Segreterie di partito.

Il popolo italico, una volta fatto di Navigatori, Santi ed Eroi, oggi è concesso di dibattere su temi quali: diritti L.G.B.T.; Crocifissi nelle scuole; appartamenti occupati; sbarchi dei clandestini; microdelinquenza; influenza dei social media sui giovani; spaccio di stupefacenti nelle scuole; prostituzione di studentesse; errori degli arbitri e del VAR; delitti tra figli e genitori; femminicidi; furti in abitazione; borseggi in metropolitana; la guerra, ma solo per dire che i buoni sono gli americani, gli ucraini e gli israeliani; cambiamenti climatici, ma solo per dire che fa sempre troppo caldo. E anche la sanità, ma solo per dire che vaccinarsi è bello e che bisognerebbe farsi sempre più vaccini, magari più volte all’anno.

Cosa dire? Non sarò certo io a pronunciarmi contro cotanta "libertà" di pensiero e di parola che, bonariamente, ci viene concessa dalle nostre "democratiche" istituzioni. In fin dei conti, se solo fosse permesso un reale e onesto contraddittorio, sarebbero anche argomenti più che legittimi sui quali confrontarsi.

Alla fine del secolo scorso, lo spauracchio era il debito pubblico. Ora, soprattutto perché l’estate è finita, sembra che in rampa di lancio ci siano nuove pandemie. Le guerre – quella che sta infiammando l’Europa e quella che sta devastando il Medio Oriente – vengono gestite e affrontate come si fa nei videogiochi.

baratro

Non so, probabilmente la distopia è cresciuta a dismisura nella mente delle persone. Detto che la mia potrebbe essere solo una sensazione, ciò che mi risulta evidente è che ormai tutto è divenuto tema d’indottrinamento. Quel poco che resta alla distrazione di massa, se ci si facesse caso, altro non risulterebbe che una cartina tornasole per evidenziare come l’Italia di oggi sia ormai partecipio passato di uno Stato che ha smesso di esistere.

Uno Stato a zero sovranità: senza moneta; senza la possibilità di sfruttare i propri giacimenti di gas e petrolio; senza il potere di far rispettare i propri confini; obbligato a sottostare ai diktat sanitari dell’O.M.S. e a subire la politica estera imposta da U.S.A. e Unione Europea. Là dove si decide quanti pannelli fotovoltaici dovremo mettere sui nostri tetti, quante pale eoliche nei giardini e quante auto elettriche potremo tenere in garage.

I motivi di tutto ciò? Non so, forse l’inclinazione a essere servi obbedienti, forse la mancanza d’identità, o forse i motivi reali sono altri, più stravaganti: vuoi perché raccomandato dalla scienza; vuoi perché richiesto dall’Europa; vuoi perché l’intelligenza artificiale lo consiglierebbe; vuoi perché ordinato dai nostri alleati a stelle e strisce; o vuoi perché, un po’ alla volta, come fulminati sulla via di Damasco dal "sogno americano", ci siamo impegnati per essere declassati da potenza industriale manifatturiera a maestri nell’arte dell’arrangiarsi, per poi finire a essere considerati un insieme di tracotanti buoni a nulla… a ben vedere, neanche tanto capaci di stare insieme.

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