Cerca

Il Canavesano

La stampa vende o svende? La F.I.E.G. e la crisi di credibilità dell’editoria

L’appello della F.I.E.G. e la corsa della politica: tra promesse di legge e richieste di denaro pubblico per salvare una stampa sempre meno libera

Andrea Monti Riffeser

Andrea Monti Riffeser

Probabilmente nessuno ci sta facendo caso. D’altronde, la storia più o meno recente del nostro Paese è caratterizzata dalla massima disattenzione degli italiani, anche e soprattutto su fatti ben più importanti. Quindi, nessuno scandalo se l’informazione libera sta vivendo un vero e proprio calvario e se pare che a nessuno freghi nulla del fatto, chiaro e inequivocabile, che è dal valore dell’informazione che passa il funzionamento della democrazia. Ora, proprio grazie alla disattenzione degli italiani, soprattutto di quelli che amano definirsi “impegnati”, ci si sta approcciando a una nuova farsa, che però ha molto del grottesco.

La F.I.E.G. (Federazione Italiana Editori Giornali), allarmata come non mai, si è rivolta alle forze politiche e ai gruppi parlamentari perché, improvvisamente, ritiene urgente discutere del futuro della stampa quotidiana e periodica. Dalle prime reazioni, sembra quasi che il mondo politico nostrano non aspettasse altro, come se si fosse chiesto: “Ma quando la F.I.E.G. si sveglia e ci chiede aiuto?”

Più o meno tutti, infatti, hanno fatto a gara per mostrarsi interessati all’appello della F.I.E.G., che di fatto è la Confindustria delle imprese editrici di quotidiani, periodici e agenzie di stampa di livello nazionale. Subito, Renzi, Calenda, Maccanti, Bonelli, Gasparri, Barelli, Tajani e chi più ne ha, più ne metta, si sono messi in competizione, ognuno ricorrendo a toni e sfumature diverse e ognuno a caccia di diversi responsabili immaginari, per esternare le loro preoccupazioni e quelle dei loro partiti. Ognuno pronto a promettere aiuti e anche l’impegno per addivenire a una nuova legge sull’editoria. Il mantra, però, alquanto stucchevole e palesemente di facciata, giusto per dare ai lettori “impegnati” l’impressione che la politica romanocentrica si muove in nome del diritto all’informazione pluralistica, può essere riassunto più o meno così: “L’appello della F.I.E.G. va raccolto per mettere in campo efficaci iniziative contro la crisi editoriale e più che mai sono necessarie politiche e investimenti che tutelino la professionalità del lavoro giornalistico”. Insomma, cosa?

Sono più di trent’anni che l’Italia si dibatte fra la quarantesima e l’ottantesima posizione al mondo in tema di informazione libera, dati forniti dal World Press Freedom Index nelle analisi annuali realizzate da Reporter sans frontieres. È da quando ho memoria che determinate cose si possono scrivere e altre no. E oggi più che mai, forse perché il tanto sbandierato “politically correct” non lo permette, in tema di sanità, di guerra, di ambiente, di Europa, di economia e di N.A.T.O., si può scrivere e dire solo ciò che il Governo detta e concede. Certo, poi esistono le piccole eccezioni, quelle che la F.I.E.G. per prima vorrebbe non esistessero: ci siamo noi, ma siamo piccoli e incidiamo poco. Forse siamo piccoli perché ci limitiamo a dare le notizie senza ricamarci sopra; forse siamo piccoli perché attraverso i nostri editoriali non dettiamo comportamenti, non tentiamo di indottrinare nessuno, ma cerchiamo di stimolare la riflessione, il pensiero e il confronto. O forse siamo piccoli perché ancora, fedeli al nostro ruolo, crediamo che la circolazione dell’informazione libera, prima che ricchezza, debba produrre Democrazia!

giornali

Il “mercato dell’informazione” non è e non può essere un mercato come tutti gli altri. Un giornale, lo stesso vale per le televisioni, non deve vendere notizie e ideologie, magari confezionate altrove. Non è solo una questione di denaro: non si vendono prodotti, profumi, creme, pasta o pelati; non si promettono guarigioni miracolose o vacanze fantastiche. La pubblicità deve essere quella degli inserzionisti, una notizia, esattamente come un pensiero, non può e non deve essere venduta già all’origine, anche se, ahimè, questa sembra essere ormai diventata la prassi. Sull’informazione non può essere lecito che si continui a consumare un confronto fra interessi privati, fra l’altro, mai coincidenti con quelli dei lettori.

La F.I.E.G. è tornata a battere cassa per conto dei grandi gruppi editoriali dopo che, negli anni, ha assistito e partecipato alla massima mercificazione dell’informazione, una merce immensamente più preziosa rispetto alla musica, al teatro, ai film, ai libri o alle commedie. Una merce, però, che alla lunga, se continuamente non rispettosa della realtà, dei fatti, delle cause e dei perché che racconta, si svaluta da sola, perde credibilità e trascina nell’abisso tutti coloro che fanno informazione, anche quelli che la fanno correttamente, mai sottraendosi al giudizio, ai chiarimenti e, perché no, alle critiche dei lettori.

Forse a scatenare la F.I.E.G. è stata l’ennesima “legge bavaglio”; forse il fatto che, per la prima volta, pare per non perdere il diritto a ricevere una rata del famigerato P.N.R.R., il Governo non ha rinnovato l’obbligo per le stazioni appaltanti di pubblicare gli estratti dei bandi di gara sui quotidiani nazionali e sui giornali locali. Forse perché in tale provvedimento la F.I.E.G. ha letto un segnale preciso agli editori: il potere di aprire e chiudere il rubinetto dei finanziamenti ai giornali a piacimento del Governo.

Non so, ma credo di no. Certamente, Andrea Riffeser Monti, presidente del F.I.E.G., in audizione presso la Commissione Cultura della Camera dei Deputati, ha chiesto una nuova legge che, a dir suo: “…dovrà fornire gli strumenti per accompagnare e sostenere le imprese editrici e il settore nel passaggio al digitale, garantendo la sostenibilità economica dell’informazione di qualità e il necessario sostegno del pluralismo informativo, promuovendo il ricambio generazionale, favorendo la capillarità e la sostenibilità economica della rete di distribuzione e vendita della stampa, tutelando in maniera più efficace i produttori di contenuti, predisponendo un sistema di finanziamento delle campagne istituzionali e di comunicazione con l’utilizzo dei quotidiani e dei periodici su carta e su digitale”.

Insomma, tante belle parole, nelle quali, mi sbaglierò, io leggo l’ennesima richiesta di denaro pubblico e, forse penserò male, l’ennesima richiesta di trattare sul prezzo delle notizie e su quello dell’informazione di “qualità”.

DELLO STESSO AUTORE

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edicola digitale

Logo Federazione Italiana Liberi Editori