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Alexina e il cavaliere: la leggenda del fantasma che ancora vaga nel castello di Banchette

Tra amore, gelosia e rimorsi, la storia di Alexina continua a vivere nelle mura del castello, dove il fantasma del cavaliere veglia in silenzio. Un testo di Marisa Bertarione per la rivista Canavèis di Baima e Ronchetti

Alexina e il cavaliere: la leggenda del fantasma che ancora vaga nel castello di Banchette

Il castello di Banchette

Il Canavese è ricco di castelli costruiti soprattutto nell’Alto Medioevo e rimangono a testimonianza di un passato antico, pieno di sommosse popolari, di guerre civili, d’intrecci amorosi, di passaggi di proprietà. Ai giorni nostri parecchi castelli, che sono dislocati per la maggior parte intorno al tracciato autostradale A-4 (Torino-Aosta) e A5 (Torino-Milano) sono adibiti a musei, altri sono diventati sedi di municipi o uffici pubblici, altri trasformati in ristoranti, e sedi di conferenze; alcuni sono diventati meta di visitatori per il loro interesse nazionale, altri sono rimasti nell’ombra, ma ugualmente hanno una loro storia. 

Tra questi ultimi soffermiamoci sul castello di Banchette, che nel novembre del 2013 è stato per la prima volta riaperto al pubblico in occasione della festa del Pignoletto rosso (oggi mais rosso): si è potuto visitare solo il parco e le ex scuderie perché all’interno ci sono lavori in corso. 

Secondo il Bertolotti, Banchette deriva da Bancellae o Castrum Banchettarum, e il nucleo originale si formò sui banchi di sabbia depositati durante le piene ricorrenti della Dora Baltea che proprio ai piedi del castello forma un’ampia ansa prima di dirigersi verso il ponte vecchio d’Ivrea.

L’edificio risale al periodo antecedente al XII secolo ed era usato come stazione fortificata dai romani, nacque infatti a difesa della popolazione durante le invasioni nemiche e la sua storia, come quella del paese, è sempre stata strettamente connessa a quella d’Ivrea. Il castello, costruito sopra un isolotto morenico, controllava inoltre la strada che da Fiorano portava ad Ivrea passando sotto il monte Leggiero. 

Nel XII secolo un ramo dei De Civitate Ipporegia assunse la signoria di Banchette e quindi la casaforte. Nel 1349, tra i credendari che giurarono fedeltà per la città d’Ivrea ai Savoia si annoverarono alcuni banchettesi, tra cui Micha, Ardicio e Jacopo de Banchetis, Ottino de Bosceto: questi cercarono di edificare il castello sulle vestigia romane.

Successivamente, oltre al corpo centrale sovrastato da una merlatura ghibellina, venne costruita una torre angolare quadrata che doveva servire per una maggiore difesa non solo dei banchettesi, ma della zona compresa tra Samone, Fiorano, Salerano ed Ivrea. Estinti i de Banchetis e i de Bosceto, il 29 marzo 1621, con Salerano e Samone, Banchette ed il relativo castello furono infeudate dai Savoia a Francesco Damas, barone di San Rerano, antica famiglia della nobiltà francese, ancora oggi esistente. La figlia Carla Gasparina sposò il 26 febbraio 1639 Enrico Emanuele di Saluzzo che vendette il feudo a Francesco Dal Pozzo il 16 marzo 1639. 

Da ricordare in questo periodo la famiglia Robesti di Banchette, proprietaria del castello, che però, dopo la metà del XVII secolo, ottenne la cittadinanza di Torino col titolo di conti di Cocconato e colà si stabilì, tanto è vero che venne nel castello solo più per villeggiare (A. Bertolotti, Passeggiate nel Canavese, vol. IV, p. 169). Comunque, in periodi diversi, il castello fu danneggiato dal passaggio di bande di ventura e di soldatesche spagnole e francesi fino a ridursi ad alcune mura merlate. Risale a questo periodo il restauro del castello operato sui ruderi dalla famiglia Pinchia.

La famiglia Pinchia.

Il 29 giugno 1722 il castello venne venduto al droghiere Antonio Pinchia, che ereditò dal padre il titolo di conte di Banchette. La famiglia Pinchia nel 1700 godette di una certa fama e di ampie possibilità economiche. Secondo alcuni tale famiglia era originaria di Ribordone, secondo altri di Cuorgnè.

Il Benvenuti nella sua Istoria dell’antica città d Ivrea parla dell’abate Pietro Lorenzo Pinchia che lasciò alla sua morte 2000 lire per una cassa d’argento, nella quale furono sistemate le reliquie di San Savino, patrono d’Ivrea. Inoltre cita Pietro Lorenzo Pinchia, che lasciò un interessante racconto manoscritto sul suo viaggio a Gerusalemme, passando dall’isola di Cipro, donato nel 1924 alla Biblioteca diocesana d’Ivrea dal conte Emilio Pinchia, che fu l’ultimo rappresentante di tale casata e il più noto per il castello di Banchette, dove era solito rifugiarsi nei momenti di pausa dall’attività politica, e lo aveva fatto restaurare per poter godere dei paesaggi canavesani che tanto celebrava nei suoi scritti. Il conte volle realizzare una residenza articolata in diversi ambienti sia per funzioni di rappresentanza, sia per abitazione di più gruppi familiari ed affidò i lavori ad Ottavio Germano, collaboratore di Alfredo D’Andrade.

Due parole vanno spese per Emilio Pinchia. Nacque a Torino il 25 febbraio 1848, figlio del magistrato Carlo Pinchia (Torino 1802-1875), sindaco di Torino, personaggio di spicco sia in campo letterario che politico di fine Ottocento. Laureatosi a Pisa nel 1870 in giurisprudenza, nel 1890 diventò deputato, eletto dal collegio d’Ivrea, e rimase al parlamento come liberale fino al 1913; fu nominato sottosegretario alla Pubblica istruzione sotto i ministri Rudinì e Giolitti; nel 1904 venne nominato conte di Banchette dal re in persona; si oppose nel 1911 alla guerra in Libia, anche se si arruolò nel 1915, come volontario, a 67 anni nel corpo degli Alpini ottenendo il grado di maggiore. Morì l’8 marzo 1933. 

All’ingresso del castello, sul portone principale compare lo stemma dei Pinchia con un grosso albero d’olivo, simbolo di pace, e con il loro motto «Pax Praemium Pacis».

In seguito il castello passò ai Passerin d’Entreves, che ancora oggi sono proprietari del castello di Châtillon, che venne ereditato da Aimé Passerin nel 1841, dopo la morte della moglie Gabriella. L’ultima Passerin a Banchette fu la contessa Maria Mercurina Arborio di Gattinara che nacque nel 1895 e morì nel 1978. Mercurina era figlia del conte Arborio di Gattinara (1857-1938) e di Maria Ogliani (1859-1922); sposò Passerin d’Entreves, ma trascurò il castello di Banchette perché trascorse buona parte della sua vita nel castello di Rivara. 

Intorno agli anni Cinquanta del secolo scorso il castello venne acquistato dalla famiglia Novarese (nobili dal XVI secolo), la stessa famiglia nel 1951 acquistò il castello di Roppolo che sorge su una collina dominante il lago di Viverone e che è uno dei pochi castelli che non è mai stato ricostruito durante il passare dei secoli. 

Dall’inizio del 2013 il castello passò alla Floramo Corporation s.r.l., società molto nota, specializzata in analisi di laboratorio che fa capo alla famiglia Quaglia col capostipite Giuseppe assieme ai figli Giancarlo ed Andrea. Siccome il castello fa da perfetta scenografia ai servizi fotografici speciali, il proprietario ha l’intenzione di aprirlo ad eventi di festa: banchetti matrimoniali, cerimonie di comunioni, cresime, anniversari importanti di matrimonio, feste private, eventi particolari e si sta adoperando per la ristrutturazione.

INTERNO CASTELLO

Il parco e l’edificio.

L’edificio è raggiungibile attraverso un magnifico viale alberato, ricco di essenze botaniche, con due filari di siepi; un vialetto a sinistra, attraverso un canneto secolare, porta ad un giardino all’inglese da cui si può scorgere parte del castello e la cappella adibita a libreria, dove rimangono solo più gli scaffali. Proseguendo si nota ciò che è rimasto degli antichi ruderi romani, sulla sinistra si affianca la Dora, poi altri giardini settecenteschi con panchine particolari dai braccioli a forma di cigno. 

Il parco si estende per 30 mila metri quadrati e gode anche di un piccolo laghetto e di tante aiuole fiorite: finalmente si arriva al castello che appare come villa residenziale, in stile neogotico ottocentesco, con un corpo compatto a due piani ornato di merlature e di una torre angolare quadrata, fortemente scarpata alla base, con decorazioni in cotto che attorniano le finestre. I merli sono posti in modo scalare, caratteristica esclusiva di questo castello.

La balconata della villa offre un meraviglioso panorama sulla Dora e sulla natura circostante, sugli infiniti angoli del parco secolare e spazia sino al castello di Montalto. Per ora, l’unica parte interna visitabile sono le scuderie, dove fanno bella mostra gli attacchi murali per frustini e selle; ben conservata la greppia per il cibo degli animali. Oggi chiuse in muratura, avevano un tempo archi d’apertura da cui i cavalli potevano accedere per essere attaccati alle carrozze o venire sellati per dame e cavalieri.

La leggenda di Alexina

Come quasi ogni castello ha il suo fantasma che si aggira per il maniero, anche il castello di Banchette è legato ad una leggenda che ha per protagonisti una giovane, Alexina, un cavaliere ed un fidanzato. Intorno alla metà del XV secolo Alexina viveva con la sua famiglia nel castello; qui un giorno capitò un cavaliere che aveva viaggiato parecchio, visitando la Grecia, l’isola di Cipro, il Libano. Durante l’ospitalità offerta dai padroni che non si erano mai mossi dal Canavese, narrò loro le bellezze viste, i panorami assolati, i mari caldi, le eterne primavere. 

Alexina era fidanzata con un giovane molto ricco, ma assai geloso e con un carattere irruente; questi notò che, con l’arrivo dello straniero che coinvolgeva tutti con i suoi racconti, la sua fidanzata era diventata più fredda e scontrosa nei suoi confronti, mentre rivolgeva maggiori attenzioni al cavaliere: era ciò che sembrava al fidanzato geloso, perché in realtà il cuore di Alexina era tutto per il suo promesso sposo. Il giovane provava sempre maggior odio nei confronti di colui che riteneva suo rivale e decise di ucciderlo. Una sera, dopo aver salutato la fidanzata e i futuri suoceri, fece finta di uscire dal castello, ma si nascose in un ripostiglio, lasciò a tutti il tempo di ritirarsi nelle loro stanze, estrasse il pugnale che aveva nascosto sotto il mantello, entrò nella camera del cavaliere che dormiva tranquillo e lo uccise, conficcandogli nel petto il pugnale, con il quale firmò la sua condanna.

Alexina comprese di essere stata involontariamente la causa del delitto, per cui si rifugiò nella pace di un convento dove trascorse tutta la sua vita. L’anima della vittima continuò a non aver pace e ad aggirarsi tra le mura del castello, tanto è vero che molti, nel passato, si sono imbattuti in una figura che girava tra le varie stanze, senza dar noia a nessuno. 

Nel nuovo edificio il fantasma pare prediliga la biblioteca (si suppone che in quel locale si trovasse la camera da letto del cavaliere), perché esperti che hanno consultato i documenti, hanno notato in modo chiaro una persona giovane, slanciata, alta, indossante una specie di camicia da notte con una larga macchia rossa di sangue all’altezza del petto, mentre di notte, alla fioca luce proveniente dall’esterno è stato visto seduto in un angolo in una posa d’abbandono, quasi a ricordo dei tanti luoghi visitati.

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