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01 Settembre 2024 - 17:12
carcere
Le mura delle carceri italiane, come quelle di un’antica fortezza ormai in rovina, trattengono non solo corpi, ma anche anime spezzate e sogni infranti. Ieri, a Ivrea, questo dramma ha raggiunto un nuovo picco di tensione.
Nel reparto isolamento, i detenuti, esasperati da una condizione che sembra non avere fine, hanno inscenato una protesta rumorosa, sbattendo con forza le ante degli armadietti. Un suono metallico, acuto, quasi disumano, ha riecheggiato nei corridoi come l'urlo di una bestia ferita, un richiamo disperato che ha attraversato ogni angolo della struttura.
"A Ivrea - commenta amaro Leo Beneduci, segretario generale del sindacato di polizia penitenziaria Osapp - la situazione è identica a quella di altre strutture penitenziarie italiane; non riusciamo però a comprendere come mai dal carcere di Ivrea i detenuti responsabili di violenze ed aggressioni nei confronti del personale di polizia penitenziaria non vengono trasferiti e al contrario sono gli agenti aggrediti ad essere spostati d'incarico o sede, quasi a giustificare i comportamenti di maggiore pericolosità da parte dei ristretti".
Un po' come nel film Le ali della libertà, dove la linea tra giustizia e ingiustizia si confonde fino a scomparire del tutto, le carceri italiane sono diventate prigioni non solo per i detenuti, ma anche per coloro che vi lavorano, intrappolati in un sistema che sembra avvitarsi su sé stesso, come in un loop infinito.
Il sovraffollamento, simile a una pentola a pressione sul punto di esplodere, è solo uno dei problemi. La situazione igienico-sanitaria, già di per sé precaria, si aggrava di giorno in giorno, facendo delle carceri un inferno sulla terra, dove il caldo soffocante dell'estate si mescola con l'odore acre di sudore e disperazione.
A Ivrea s'aggiunge la mancanza di un comandante di reparto titolare, un po' come togliere il timone a una nave già in balia delle onde. Senza una guida, gli agenti di polizia penitenziaria sono costretti a navigare a vista in un mare tempestoso, dove ogni giorno può essere l’ultimo.
La funzione riabilitativa del carcere sembra ormai una eco lontana, persa tra le pareti di cemento e le sbarre arrugginite. Nelle carceri italiane non c’è spazio per la speranza, solo per il tempo che scorre lento, inesorabile, spezzando ogni volontà di cambiamento.
L’estate del 2024 è stata segnata da una serie di eventi tragici che hanno gettato un’ombra cupa sul già oscuro mondo delle carceri italiane. Ogni episodio di violenza e disperazione sembra strappato da una sceneggiatura di un film drammatico, ma purtroppo è la realtà che i detenuti e gli agenti vivono quotidianamente.
A giugno, nel carcere di Poggioreale a Napoli, un detenuto, che avrebbe dovuto essere trasferito per motivi di sicurezza, è stato brutalmente aggredito da un gruppo di altri detenuti. Le urla di dolore si sono propagate lungo i corridoi e nonostante l'intervento degli agenti, per l’uomo non c’è stato nulla da fare. La sua morte ha sollevato polemiche sul sistema di gestione delle carceri e sul perché, ancora una volta, chi avrebbe dovuto essere protetto non lo è stato.
Poco dopo, a luglio, un altro tragico evento ha sconvolto il carcere di Rebibbia a Roma. Un giovane detenuto si è tolto la vita nella sua cella, impiccandosi con un lenzuolo. Era stato recentemente trasferito dopo una serie di episodi di autolesionismo, ma la sua sofferenza interiore è rimasta ignorata fino a che non è stato troppo tardi. Il silenzio assordante che ha seguito la scoperta del corpo ha riacceso il dibattito sulla necessità di un supporto psicologico adeguato per i detenuti, che spesso vengono lasciati soli a combattere i loro demoni.
Agosto ha visto l’esplosione di una violenta rivolta anche nel carcere di San Vittore a Milano. Qui, i detenuti, esasperati dalle condizioni disumane e dal sovraffollamento, hanno dato fuoco ai materassi e preso in ostaggio alcuni agenti di polizia penitenziaria. La situazione è degenerata rapidamente, e solo dopo ore di trattative e l’intervento delle forze speciali si è riusciti a ristabilire l’ordine. Tuttavia, il bilancio è stato drammatico: diversi feriti, sia tra i detenuti che tra gli agenti, e un carcere devastato dalla furia della rivolta
Le carceri italiane, così come la società nel suo complesso, stanno attraversando un momento di profonda crisi. Come in un film dove i protagonisti lottano contro un destino avverso, il sistema sembra condannato a ripetere i propri errori, intrappolato in un ciclo di violenza e disperazione.
Il grido d’aiuto dei detenuti di Ivrea, così come il sangue versato nelle carceri di Napoli, Roma e Milano, sono segnali che non possiamo più ignorare. È necessario fermarsi e riflettere, come farebbe il protagonista di un dramma giudiziario, pronto a tutto pur di scoprire la verità.
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