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Favria
03 Luglio 2024 - 17:05
La nascita dei bagnini.
Il primo bagno di mare passato alla storia, quello di re Giorgio III d’Inghilterra, detto “il pazzo”, non ha avuto luogo nelle acque e sotto il sole caldo di un’estate mediterranea, ma in quelle di Weymouth,, sulla costa della Manica, nel luglio del 1789.
La regale immersione, nel novembre 1789, con una bathing machine, una cabina a ruote trainata in mare da cavalli, accompagnata dall’inno “God save great George our King”, con ninfe in abiti di flanella a righe, non aveva niente a che fare con la follia del sovrano, dovuta, pare, ad una patologia attribuita alla porfiria o all’abuso di arsenico. L’evento segnava un passaggio che avrebbe portato nei decenni successivi alla nascita della civiltà balneare. Questo evento per prima cosa inaugurò la moda aristocratica dei bagni invernali che duravano 1-2 minuti, Weymouth divenne immediatamente una capitale mondana come le tante, Brighton , Deauville, Granville, Cannes, Nizza, Biarritz, che dovranno la loro fama a testimonial di rango, grandi nobili e dame famose per la loro bellezza. Il nome di Dieppe è associato a Ortensia Beauharnais, figliastra di Napoleone e regina d’Olanda, che si immergeva dal 1812 nell’acqua in un raffinato completo di lana color cioccolato, imitata nel 1824 da Maria Carolina di Borbone, principessa delle Due Sicilie, sorvegliata da ispettori in alta uniforme.
La moda dei bagni di mare era destinata ad affermarsi rapidamente grazie ad una piccola avanguardia formata dall’aristocrazia e dall’alta borghesia europea che nel Settecento aveva riscoperto le Thermae. II famoso centro termale di Bath, nel Somerset era il luogo in cui trascorrevano la villeggiatura le élites col pretesto di curarsi con le rinomate Aquae Sulis. In realtà, commentava, sarcastico, il filosofo ed enciclopedista Denis Diderot:” Gli uomini vanno per distrarsi dalla monotonia delle mogli e le mogli da quella dei mariti. » tra abluzioni, seduzioni e pettegolezzi. L’avvcinamento al mare era spinto dalle teorie mediche sulle virtù terapeutiche dell’acqua e dell’aria di mare, impregnata di sali minerali. L’elioterapia e la talassoterapia erano consigliate per numerose patologie: dermatiti, ulcere, ferite, rachitismo. Fanciulli ossuti e ragazze esangui traevano beneficio dalla balneoterapia e i medici consigliavano la talassoterapia anche come sussidio terapeutico nella cura di alcune forme tubercolari.
Questa moda, segnò il debutto dei bagnini, in inglese lifeguards, angeli custodi dei bagnanti. A cavallo tra ’700 e ’800 queste mansioni furono affidate a membri della servitù chiamati “bagnatori e bagnatrici”, come alle terme. Il galateo vittoriano era ferreo e l’ora del bagno era quella dell’alta marea. Al suono di un campana le donne raggiungevano le cabine e robuste bagnine spingevano le novelle nereidi a subire la doccia delle onde. La bagnina più famosa dell’epoca fu la rubiconda Martha Gunn, detta allora la regina delle bagnatrici di Brighton, nata da una famiglia di pescatori ed esperta in bizze del meteo britannico – che in abito blu, scialle rosso, cuffia in testa, spingeva in mare le cabine e aiutava le graziose clienti a uscire dall’acqua e le nobildonne facevano la fila per lei. Poi a metà dell’Ottocento questi compiti iniziarono ad essere passati ai maschi, quando i bagni terapeutici si diffusero al di fuori delle cerchie aristocratiche.
Poi, grazie allo sviluppo delle linee ferroviarie i ricchi borghesi scoprirono le coste dell’Europa Meridionale: Cascais ed Estoril in Portogallo; Biarritz, Cannes, Nizza, Montecarlo in Francia; Sanremo e la Riviera Ligure. E al posto delle bathing machines nacquero prima strutture galleggianti, come il Soglio di Nettuno a Trieste, nel 1823, poi su palafitte: Il Grandioso Stabilimento di Rimini fu inaugurato il 18 luglio 1873, dotato di Kursaal, la “sala per cure”, e camerini divisi per signori e signore. Se nell’Europa del Nord bisognava ripararsi dal vento, al Sud il problema era difendersi dal sole. Negli “stabilimenti”, termine derivato dalla terminologia termale, si “prendevano i bagni”: l’acqua di mare veniva trasportata da robusti marinai, talvolta utilizzata per irrigazioni. Oppure i timidi bagnanti venivano calati da botole in mare. Si prendeva l’onda”, si respirava iodio, ma non si nuotava. La situazione andò evolvendosi rapidamente. Il passo successivo fu il passaggio dal bagno al nuoto, cioè da una pratica passiva a un esercizio attivo, fino ad allora riservato alla formazione militare. E portò a vincere un terrore secolare ispirato dalle immense distese d’acqua marine.
Questo per merito dei medici come il patologo Paolo Mantegazza, autore di testi dove prometteva maliziosamente agli uomini “l’innalzamento di cose che tendono troppo al centro”, e alle donne strizzate in corsetti, pantaloni lunghi e calze nere, il “miglioramento di diametri troppo generosi”. Se al principio i timidi neofiti bagnanti si limitavano a rapide immersioni a due passi dalla riva, tenendosi stretti alle corde di sicurezza che recintavano lo specchio d’acqua concesso alle prodezze natatorie, in seguito ci presero sempre più gusto. Le tiepide acque invitavano persone di ogni età a gettarsi nelle onde per semplice sollazzo, oltre che per riacquistare la sanità perduta. Baffuti bagnini, ex pescatori del posto, passavano l’estate a palleggiarsi i bambini affidati loro. La confidenza portò i bagnati ad avventurarsi sempre più a largo, finché un numero crescente di persone iniziò a restare avviluppate dai flutti e a morire trascinate dalla corrente.
Allora alcuni cittadini emeriti, tra cui Edoardo Maragliano, inventore del vaccino antitubercolare, fondarono a Genova, il 17 luglio 1871, la prima Società nazionale di Salvamento al mondo. Riconosciuta ente morale con Regio decreto firmato da Vittorio Emanuele II, aveva tra i suoi scopi statutari “incoraggiare il salvamento costiero, prevenire le asfissie per sommersione e premiare in denaro gli eroi del mare”. Sui lidi italiani spuntarono casupole dette “asili di soccorso” di cui 40 lungo la costa ligure, nel 1891, pattugliate da volontari in divisa bianca d’estate e in panno blu d’inverno, deputati a esporre bandiere di segnalazione, bianca o rossa per divieto di bagno, e addestrati a soccorrere gli spossati e praticare loro la respirazione artificiale. Ogni asilo disponeva della barella Respira, del dottor Muggia, dove i quasi annegati venivano sdraiati dai soccorritori a pancia in giù per fare uscire l’acqua dai polmoni, ritenuta causa di morte, oppure rianimati con il metodo del pistoiese Filippo Pacini, per trazione esercitata sulle membra toraciche. Un’alternativa preferibile alle tecniche fino ad allora impiegate sui fradici moribondi, cioè le frizioni sul corpo, i clisteri di fumo di tabacco o, peggio, l’insufflazione di aria nei polmoni che, a detta di Pacini, non faceva altro che finire di ammazzarli”.
Nel frattempo, l’insegnamento del nuoto, a rana o crawl, diffuso dal nuotatore australiano Richmond “Dick” Cavill, veniva caldeggiata a scopi preventivi. Il giornalista Nino Salvaneschi riferì l’entusiasmo suscitato tra il pubblico del Bagno di Diana a Milano, uno stabilimento balneare cittadino, l’8 settembre 1901, dai nuotatori britannici della Royal Life Saving Society nel condurre a riva un corpo una persona sul punto di annegare, e si dibatte nell’acqua. Nei ruggenti Anni Venti si era imposta l’elioterapia, la cura del sole, dalle spiagge scomparvero ombrellini parasole e gonne a balze e apparvero costumi corti e scollati. Con l’Italia fascista nacque ufficialmente il mestiere di bagnino, quella dei bagni di mare era per Mussolini una passione antica che rientrava nel progetto di perfezionamento fisico del popolo. Nel 1926 la Società Salvamento vigilava su 60 stabilimenti balneari e 55 asili di soccorso. Sei anni dopo, nel 1932, la legge obbligò tutti gli stabilimenti del Regno a dotarsi di bagnini tenuti a sostenere prove di idoneità di nuoto e di voga.
Quell’anno ne vennero abilitati 3.255, incaricati tra l’altro del salvataggio e della sorveglianza nelle 300 colonie marine, non più tristi sanatori, ma gioiose palestre allietate dal canto di giovinezza come recitava la propaganda, per piccoli italiani tra i 6 e i 12 anni, provenienti dalle campagne o dalle periferie. Il bagnino più famoso d’Italia allora fu Pasquale Corazza, bagnino ufficiale della famiglia Mussolini a Riccione. Nell’Italia del Dopoguerra le spiagge ripresero a riempirsi e l’obbligo del tutore dei bagnanti fu ribadito dalla circolare del ministero dell’Interno del 2 settembre 1959. Nell’Italia della Dolce Vita, delle Lambrette e delle prime code domenicali avvenne la metamorfosi definitiva del bagnino nell’immaginario.
Né bruschi marinai né pescatori dalla faccia rugosa e con i pantaloni arrotolati alla caviglia, bensì seduttori di bellezze nordiche e mogli in vacanza: uno stereotipo cui hanno contribuito film del 1957 Poveri ma belli, di Dino Risi, dove Renato Salvatori passava il tempo a corteggiare straniere e signore in bikini. Un mito che si è evoluto nel “pappagallo” abbronzato, capelli lunghi, catena d’oro al collo, sopravvissuto alle battaglie per l’emancipazione femminile. Rivisto e corretto decenni dopo dalla serie cult Baywatch del 1989, che impose il mito dei lifeguards californiani, tra cui l’ex reginetta di Playboy Pamela Anderson, impegnati a scrutare da torrette di sorveglianza, sperimentate nella Guerra di Corea, o a correre sulla spiaggia di Malibu, trasmettendo l’immagine degli Stati Uniti come “bagnino del mondo”, utile anche in politica. Finzione a parte, il mito dei bagnini resta intatto. Homines enim ad deos nulla re propius accedunt quam salutem hominibus, diceva Cicerone: “Niente avvicina gli uomini agli dèi quanto salvare altri uomini”.
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