Cerca

Ombre su Torino

Era solo un bambino: l'omicidio di Angelo Nardullo.

Morire, a 12 anni, a Torino.

Era solo un bambino: l'omicidio di Angelo Nardullo.

Sembrava che il silenzio non potesse essere disturbato da alcun rumore.

A San Donato, in via Pinelli, alle 20,45 di un giorno d’inizio settembre l’asfalto è bollente e la luce fioca di un lampione malfunzionante ha fatto calare la penombra sui civici dal 42 al 46. La strada è deserta. Al numero 33 si apre un portone da cui escono tre bambini, i fratelli Vincenzo e Angelo Nardullo, 10 e 12 anni, e il loro amico Silvano Sacchi di 13. Il signor Nardullo ha dato il permesso al trio di andare a giocare in strada per una mezzora anche perché la moglie dovrebbe partorire a giorni e ha bisogno di tranquillità.

Angelo e Vincenzo Nardullo

Sono bambini, si mettono a fare giochi da bambini.

Vincenzo e Silvano hanno portato giù due cerbottane e iniziano a bersagliarsi inseguendosi tra le auto parcheggiate, urlano, si azzuffano. Si fermano all’altezza di via Pinelli 42 e Angelo li raggiunge, appoggiandosi al muro per godersi lo spettacolo senza immischiarsi.

È in quel momento che dalla penombra sbuca un quarantenne in canottiera proveniente da una delle tante osterie della zona, nelle quali spende gran parte del suo già non principesco stipendio. È impossibile sapere se si è trattato di una casualità o se i ragazzini lo abbiamo deliberatamente puntato, ma alcuni proiettili di carta sparati dalle loro cerbottane centrano su una guancia l’uomo. Questi reagisce in malo modo urlandogli contro e tentando di picchiarli, provocandone una precipitosa fuga. Angelo, che “disarmato” sente di non avere nulla di che temere, fa un passo ma quell’individuo lo colpisce al volto con un pugno.

Il giovane cade all’indietro, batte violentemente la testa sull’asfalto e rimane disteso con le braccia e le gambe aperte. Allarmata dal vociare, la signora Tina Tandini si affaccia al balcone e diventa l’unica testimone oculare della seconda parte dell’accaduto. Nota l’aggressore trascinare sul marciapiede il bambino esanime e si mette a urlargli contro: “Ehi ti conosco! Lascialo stare! Adesso vengo lì!”. In realtà non sa chi sia, non riesce a vederlo in volto nella semioscurità ma tanto basta per spaventarlo e costringerlo a scappare.

Scesa in strada, la Tandini ordina a Vincenzo di andare a chiamare i genitori mentre spruzza dell’acqua addosso ad Angelo. Non si muove più. I coniugi Nardullo si precipitano di sotto e, rendendosi immediatamente conto della tragedia, caricano il ragazzo su una 600 e lo portano al vicino ospedale Maria Vittoria. È tutto inutile: Angelo Nardullo, 12 anni, muore alle 22 del 7 settembre 1962.

Indagini a tappeto rivoltano da capo a piedi San Donato e si estendono per tutta Torino ma l’assassino è un fantasma. Il tasso d’emotività degli abitanti del quartiere, di fronte a un evento del genere, raggiunge livelli di parossismo tali da descrivere la vittima quasi in termini agiografici. Angelo era “molto gentile, timido, uno che si spaventava per niente” ma anche “studioso, riservato, rispettoso, educato”. Addirittura, viene segnalato che il padre avrebbe venduto la sua bicicletta perché temeva che andasse nel traffico e perché non doveva distrarsi dalla scuola. “Il ragazzo non si era opposto, anzi aveva favorito la cosa per l'amore dello studio” ci racconta l’inviato de La Stampa. Coincidenza vuole che il funerale si svolga il 10 settembre, lo stesso giorno in cui la madre di Angelo mette al mondo il suo terzogenito, decidendo di dargli lo stesso nome del figlio morto.

La svolta arriva il 12 settembre.

A finire in manette è un manovale frigorista della Fiat Mirafiori residente in via Vicenza (a 700 m dal luogo dell’omicidio) e che da qualche giorno era sparito di casa e si era trasferito a Sommariva Bosco: Matteo Busso.

37 anni, sposato e con due figli, viene descritto come dedito all’alcol, violento e manesco. La settimana prima del fatto, ad esempio, si è presentato in una trattoria, ha bevuto moltissimo vino e ha tentato di andare via senza pagare. Non fa i conti con un garzone del locale che lo picchia talmente forte da costringerlo a mettersi in mutua. Il periodo di malattia finisce proprio la sera in cui sulla sua strada, di ritorno dall’ennesima sbronza, si trova davanti i tre bambini.

Confessa di aver colpito Angelo con un cazzotto perché, dopo essere stato bersagliato dalle cerbottane sul viso ancora dolorante dalla rissa precedente, sarebbe anche stato preso in giro da Vincenzo e Silvano che poi sono scappati. Semplicemente la vittima era l’unico che gli era rimasto a tiro.

A processo, nel 1963, Busso cambia versione. Non è vero che ha tirato un pugno ad Angelo ma avrebbe fatto solo un gesto per allontanarlo. Racconta di non essersi reso conto di averlo ucciso e che, non avendo letto i giornali nei giorni successivi, si era trasferito a Sommariva Bosco a seguito di un trasloco combinato da tempo poiché da via Vicenza era stato sfrattato. La difesa prima offre alla famiglia il mezzo milione di lire di liquidazione dell’accusato (che nel frattempo è stato licenziato) e poi invoca la seminfermità mentale. La moglie racconta che l’uomo non è più stato lo stesso dopo che, 11 anni prima, mentre lavorava su un ponte per i lavori di rifacimento della stazione di Porta Nuova, era caduto e aveva sbattuto la testa. Curiosamente, tra l’altro, nel giorno del processo anche la moglie si trova imputata: in due occasioni distinte aveva colpito in testa Busso con delle bottiglie di vetro facendolo finire in ospedale. Grazie alla perizia del prof Gilli che dichiara che la morte del ragazzo fu determinata da “emorragia cerebrale, facilitata dalla particolare struttura delle pareti dei vasi arteriosi, tali da rompersi anche in conseguenza di stimoli traumatici di modesto rilievo” alle attenuanti generiche e a quelle della provocazione, Bussi viene condannato a 4 anni, 5 mesi e 10 giorni per omicidio preterintenzionale.

Un tragico corollario di questa storia arriva dieci anni dopo. Il 14 febbraio 1972, Vincenzo e Angelo Nardullo (il bambino nato nel giorno del funerale del suo omonimo) rimangono coinvolti in un brutto incidente stradale all’angolo tra via Luini e corso Lombardia. Vincenzo muore al Maria Vittoria mentre Angelo si salva.

Un’altra tragedia casuale per una famiglia senza pace.

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edicola digitale

Logo Federazione Italiana Liberi Editori