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Torino
24 Febbraio 2024 - 19:23
Si è spenta come si spegne una candela, un po' alla volta, lasciandosi morire di fame e di sete. Così, nell'inferno del carcere torinese delle Vallette, lo scorso agosto è terminata l'esistenza di Susan John, una nigeriana di 43 anni che doveva scontare una lunga pena detentiva per tratta di migranti.
La storia è arrivata al vaglio della Procura, che ha iscritto nel registro degli indagati i nomi di due medici: l'ipotesi è che non abbiano prestato sufficiente attenzione al disagio manifestato dalla donna.
Un omicidio colposo. Susan era stata portata nel carcere il 22 luglio dopo un periodo ai domiciliari. Il suo non fu uno sciopero della fame.
Semplicemente smise di alimentarsi. Non voleva essere curata. Non voleva prendere medicine. Non voleva andare in ospedale.
Chiedeva soltanto del figlio, un bambino di quattro anni che era rimasto con il papà. Il cuore della donna smise di battere l'11 agosto.
Dopo diciotto giorni. La disperazione di Susan, a fronte di un fine pena fissato nel 2030, era apparsa ben presto evidente, tanto che era stata ristretta in un'area della sezione femminile riservata alle recluse con problemi psicologici e di comportamento. Ma diciotto giorni sono tanti.
E ora, in Procura, ci si chiede se sia stato fatto tutto il possibile. L'avvocato di Susan, Manuel Perga, già nell'immediatezza parlò di "crollo psicofisico" al quale non fu prestata "sufficiente attenzione". Dall'esame dei documenti acquisiti nei giorni scorsi i magistrati si attendono di fare chiarezza sulle eventuali responsabilità.
Il mostro delle carceri italiane ha tante facce. Nei giorni scorsi è stato sollevato, da Roma, il caso di due detenuti a Rebibbia gravemente malati e morti a distanza di poche ore: l'uno, di 66 anni, nella propria cella; l'altro, un settantasettenne sottoposto al 41 bis, in ospedale.
Poi ci sono i suicidi: secondo quanto comunicato dal ministro Nordio il 17 gennaio alla Camera nel 2023 sono stati 65, in calo rispetto agli 85 del 2022. Dall'inizio di quest'anno sono già una ventina.
E ancora, le aggressioni al personale. Oggi tre agenti della polizia penitenziaria sono malmenati nel carcere di Ivrea e ricoverati in ospedale. A darne notizia l'Osapp, il sindacato autonomo della polizia penitenziaria. L'episodio si è verificato nella tarda mattinata.
Un detenuto italiano, al termine dell'isolamento, giunto al piano di appartenenza, per motivi non meglio precisati, ha creato disordini e aggredito i tre agenti.
"È opportuno agire con urgenza e trovare soluzioni immediate sul carcere di Ivrea che, a giorni, sarà nuovamente senza comandante di reparto - dice in merito Leo Beneduci, segretario generale dell'Osapp - facciamo appello, ancora una volta, alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, affinché dichiari lo stato di emergenza nazionale in ragione del fatto che il sistema penitenziario italiano è completamente alla deriva".
Sempre oggi, ma a Benevento, un medico è stato malmenato da un detenuto, e ad Alessandria un 48enne italiano che era stato portato in ospedale ha devastato la cella di sicurezza e ha colpito due agenti di polizia penitenziaria con un bastone ricavato da una gamba di un tavolo.
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