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Pandoro-gate: la multa a Chiara Ferragni è illegittima

E' stato depositato il ricorso al Tar da parte dei legali della Balocco e la difesa evidenzia che la donazione c'è stata

Il pandoro della Ferragni non era vera beneficenza?

Chiara Ferragni con il pandoro "Pink Christmas"

Nessuna pubblicità ingannevole legata alla beneficenza con le vendite del pandoro "Pink Christmas" perché nel contratto stipulato tra le società di Chiara Ferragni e Balocco "la donazione esisteva ed era stata assunta" dalla casa dolciaria "come suo obbligo", tant'è che sono stati versati 50mila euro all'ospedale Regina Margherita di Torino per le cure dei bimbi lì ricoverati senza escludere "la possibilità di incrementare" la cifra.

E poi la decisione di acquisto dei dolci "griffati" "si motiva principalmente, se non addirittura esclusivamente, in ragione del marchio 'Ferragni' che ne determina - di per sé - l'appetibilità per i propri follower in quanto reso 'glamour' ed in 'edizione limitata'.

Sono alcuni dei passaggi del ricorso depositato al Tar del Lazio con cui l'influencer - sotto inchiesta a Milano per truffa aggravata assieme al suo stretto collaboratore, Fabio D'Amato, l'imprenditrice Alessandra Balocco e altre persone per i casi del pandoro, delle uova di pasqua e della bambola Trudi - chiede di annullare il provvedimento con cui lo scorso dicembre l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha inflitto alle sue società Fenice e Tbs Crew una sanzione di oltre un milione di euro.

Provvedimento impugnato anche dall'azienda cuneense condannata a una multa di 420mila euro. Mentre le indagini milanesi, eccetto qualche acquisizione di routine di documenti, vanno avanti sottotraccia, la moglie del cantante Fedez, come aveva già annunciato, è passata al contrattacco per dimostrare che l'Antitrust si è sbagliata.

Anzi, come si legge nell'atto notificato ieri, "non ha esaminato la clausola contrattuale" e avrebbe, quindi, "costruito l'ingannevolezza della pratica senza minimamente interrogarsi sugli obblighi (...) che intercorrevano tra le parti", cosa che ha portato gli avvocati civilisti a dire di essere "al cospetto della più evidente omissione istruttoria e di un eclatante difetto di motivazione".

Al contrario l'accordo prevedeva la donazione di "una base sicura", i 50mila euro versati ancor prima dell'avvio della campagna sui social, "senza però escludere in seguito l'incremento". Cosa che poi non è avvenuta in quanto l'operazione si è conclusa con una perdita per la società di Fossano a fronte di una cifra donata "nemmeno esigua" e che non doveva, in base a quanto concordato, essere "proporzionale alle vendite" .

Inoltre "non può colorare di ingannevolezza (...) la circostanza - velatamente evocata dall'Autorità nel provvedimento - che la donazione sia stata effettuata prima dell'avvio delle vendite, anziché dopo. Al riguardo - prosegue il ricorso - si osserva che, come rappresentato fin dal procedimento, la tempistica (...) è dipesa dalla volontà di garantire il prima possibile all'Ospedale le risorse per avviare le procedure" per l'acquisito del macchinario. Ospedale di cui è stato pure utilizzato, su espressa richiesta, il logo con la conseguenza di "una visibilità gratuitamente apportata" e "una sensibilizzazione alla causa".

Dunque, "non è davvero possibile sostenere" come ha fatto l'Authorithy "che il coinvolgimento" di Chiara Ferragni "nel sostegno all'ospedale non risponde al vero".

In più, il Garante, "che per la prima volta nella sua prassi decisionale ha adottato una sanzione in relazione al fenomeno del cosiddetto influencer marketing, invece di ritenere che la commercializzazione del dolce sia stata "influenzata dal contenuto del comunicato stampa, del cartiglio e di post e stories (...) avrebbe dovuto condurre un'attenta analisi comportamentale al fine di verificare se la scelta dei consumatori di acquistare il pandoro 'griffato' era trainata esclusivamente dalla forza del brand" o da ragioni solidali.

Per il Codacons, che interverrà nel procedimento davanti al Tar per chiedere il risarcimento di tutti gli acquirenti, quelle del ricorso sono "tesi difensive assurde".

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