Cerca

Il commento

Privatizzare un servizio significa togliere un diritto: ecco perché

Lo studio sulla privatizzazione degli ospedali di Cuorgnè e Lanzo ha ritirato fuori il problema

Una protesta di fronte all'ospedale di Lanzo

Una protesta di fronte all'ospedale di Lanzo

In un contesto in cui la spesa pubblica per la sanità cala sempre di più, la soluzione resta sempre la stessa: privatizzare, privatizzare e ancora privatizzare. E se la cannibalizzazione del Sistema Sanitario Nazionale da parte del privato è già di per sé un fatto grave, questo lo è ancora di più nelle aree interne.

Le aree interne vengono definite dai sociologi per negazione. Si tratta di quei territori in cui non c'è né un ospedale con Pronto Soccorso, né una stazione in cui passa un Intercity e né un istituto di istruzione media superiore.

Le aree interne e montane vengono spesso descritte solo per negazione

È su questo tipo di territorio, in Canavese e in Valli di Lanzo, in cui ancora resistono i due presidii ospedalieri di Lanzo e di Cuorgnè, nonostante uno studio della Agm Project Consulting commissionato dalla Regione dica che i servizi al loro interno vadano esternalizzati.

Secondo lo studio, peraltro, l'ospedale di Cuorgnè dovrebbe restare con il solo Punto di Primo Intervento (aperto dodici ore al giorno) e non con un Pronto Soccorso vero e proprio.

Lanzo, invece, non dovrebbe avere manco un PPI. I medici sono pochi e quelli che ci sono non vanno a lavorare nelle aree marginali. E poi la coperta è corta. Il bilancio dell'Asl To4 è in disavanzo e le spese che la Regione destina alla sanità non sono mai abbastanza.

Da qui l'idea dei consulenti: privatizziamo tutto e togliamoci il pensiero. Poco importa se un intero territorio montano o pre-montano resta senza servizi. Poco importa se, oltre alla desertificazione umana e commerciale, i territori del Canavese e delle Valli di Lanzo rischiano anche la desertificazione sanitaria.

Il ruolo della politica

All'assemblea dei sindaci Asl To4 della scorsa settimana, il Direttore Generale dell'azienda Stefano Scarpetta allargava le braccia ogni qualvolta un sindaco gli esprimeva una perplessità o una preoccupazione in merito al futuro dei due piccoli presidii ospedalieri.

E questo perché a rispondere alle perplessità degli amministratori ci avrebbe dovuto pensare la Regione, in virtù del suo ruolo politico. Quella stessa Regione che sbandiera da sempre l'attenzione alla montagna e al ripopolamento delle zone marginali. E invece dall'assessore alla sanità Luigi Genesio Icardi, per ora, nessuna certezza.

Luigi Genesio Icardi

Quantomeno ci si aspetterebbe che la politica regionale faccia una scelta netta, anche se controcorrente. Il ragionamento potrebbe suonare così: abbiamo difficoltà a trovare i medici? Gli ospedali di periferia ci costano troppo? Poco importa: noi continuiamo a tenerli aperti nell'ottica di valorizzare un territorio con un progetto di sviluppo a lungo termine, che punti ad aumentare il numero di residenti e il numero di servizi.

E invece abbiamo visto che le cose non stanno così. Lo abbiamo visto coi disastri combinati dalla Regione con la linea Rivarolo Pont o con la Torino Ceres. Lo abbiamo visto con gli stessi ospedali di Cuorgnè e di Lanzo, già largamente depotenziati e ora pure  minacciati dalla privatizzazione.

Quei servizi nelle aree interne che veicolano diritti

"Nelle aree interne vivono circa 13 milioni di persone. Corrispondono a più del 50% dei Comuni italiani". Così Filippo Barbera, sociologo e docente universitario con una lunga riflessione alle spalle in tema di aree interne. Quello che tiene assieme queste aree è il depopolamento: una tendenza strisciante e continua che negli anni porterà questi luoghi a diventare dei deserti.

Per evitare che questo accada, da undici anni esiste la cosiddetta SNAI, Strategia Nazionale Aree Interne. Un progetto che mira ad aumentare i servizi di ogni tipo nei territori marginali, "non calato dall'alto - come spiega Barbera - ma co-progettato assieme ai territori grazie a delle équipes di esperti che lavorano assieme alle aree interne per ovviare alle loro mancanze".

Filippo Barbera

Barbera ci spiega con chiarezza il motivo per cui un ospedale o una stazione, in questi contesti, sono molto di più che un ospedale o una stazione. Sono presidii di democrazia, "vettori di benessere concreto che realizzano i nostri diritti formali sanciti dalla Costituzione".

Diritti di cui non tutti godono allo stesso modo. Lo disse lo stesso presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio quando venne a visitare l'ospedale di Cuorgnè: i diritti di chi abita a Frassinetto devono essere gli stessi di chi abita a Torino. Perché di diritti si tratta.

Una contraddizione in termini

Ebbene, Barbera lo dice chiaramente: "la riduzione di servizi non rientra nella filosofia della SNAI". La quale per le aree montane non prevede di certo la costruzione di nuovi ospedali di montagna, ma nemmeno la deprivazione del carente patrimonio sanitario presente sui territori.

"Le ospedalizzazioni nelle aree interne sono molto alte - spiega Barbera - perché le persone vanno in ospedale anche quando avrebbero la possibilità di curarsi in presidii di più semplici". Come i medici di base o i pediatri, anche quelli sempre più rari in montagna.

La bussola, insomma, dovrebbe essere quella del rafforzamento della medicina territoriale, che alleggerisca gli ospedali rendendoli più efficienti. Un po' come sta succedendo nelle Valli di Lanzo, dove l'effetto combinato di Pnrr e Snai ha l'ambizione di creare una vera e propria medicina "diffusa", che sfrutta anche la tecnologia per arrivare anche all'ultimo anziano in fondo alla valle.

"Certo è che - conclude Barbera - dal momento in cui esiste una Snai [concordata dai territori anche con la Regione, ndr] sarebbe strano investire nella privatizzazione degli ospedali: è una contraddizione".

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edicola digitale

Logo Federazione Italiana Liberi Editori