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Aziende in crisi
08 Giugno 2023 - 17:00
Disastro TLC! Il settore delle telecomunicazioni in Italia è sull'orlo del baratro, una vera e propria catastrofe!
Le aziende stanno affrontando una crisi profonda, devastate dall'avidità, dal dumping, dagli "spezzatini" e dall'outsourcing. Le infrastrutture e la tecnologia sono in rovina, i salari vengono abbattuti e si registrano perdite incredibili, nonostante gli investimenti enormi.
Difficoltà di carattere nazionale, ma che preoccupano - non poco - Torino e la sua provincia, soprattutto per quanto riguarda il Canavese e la zona di Ivrea in particolare, erede di una storia come quella di Olivetti.
"Su Torino gravita il futuro della Telecom ex monopolista, da anni in riorganizzazione, passata da 120000 dipendenti a livello nazionale, all’epoca della privatizzazione, a meno di 40000 attuali - dicono i rappresentanti dei lavoratori -. La società porta con sé un debito molto gravoso di 23 miliardi di euro. Il futuro di Tim dipenderà molto dal futuro della rete".
British Telecom Italia ha annunciato a livello Nazionale 128 esuberi su 484 dipendenti, l’impatto di questa operazione sulla città di Torino sarà di 18 lavoratori su 48. Sempre a Torino, trovano sede due grosse aziende di call center Comdata, con circa 500 dipendenti, e Covisian con circa 1400 dipendenti.
Su Ivrea la situazione è ancora più particolare: le Telecomunicazioni erano la speranza che potenzialmente doveva colmare il vuoto lasciato dall’Olivetti. Ultimamente proprio negli ex locali Olivetti, Vodafone dichiara esuberi, 1003 a livello nazionale su 5411 dipendenti e su 474 dipendenti della sede eporediese, 118 sono esuberi.
"Mentre Wind dichiara la cessione del ramo d’azienda rete, che coinvolgerà 2000 dei circa 6000 lavoratori a livello nazionale, i restanti 4000 dipendenti rimarranno in una azienda puramente commerciale che, privata del settore infrastrutturale tecnologico di rete, potrebbe trovarsi in grandi difficoltà. Su Ivrea dei quasi 500 dipendenti si ipotizza che tra i 100 e i 150 potrebbero essere coinvolti nella cessione", dicono ancora i sindacati.
A Palazzo Uffici (Ivrea), risiede anche un’altra sede di Comdata con 1000 dipendenti che continua con l’utilizzo di ammortizzatori sociali, questo anche a causa della perdita della commessa Inps. Il committente pubblico, infatti, ha deciso di reinternalizzare l’attività, ma scegliendo di non utilizzare la clausola sociale, obbligando pertanto le persone che hanno accettato il passaggio a veder ridotto sensibilmente il proprio salario.
Il rischio reale, concludono i rappresentanti dei lavoratori, "è di una perdita di circa 20.000 posti di lavoro solo nelle compagnie telefoniche, a cui si aggiunge l’indotto d’impiantistica e installazione delle reti e dell’assistenza clienti". "Esistono delle responsabilità politiche dei vari governi succeduti, il mercato non può essere lasciato privo di regole ed non è più rimandabile un vero piano industriale Italiano delle Tlc. Il governo deve intervenire subito e le aziende devono superare le loro miopie", conclude il segretario generale della Uilcom Piemonte e Valle d’Aosta, Ivano Griffone.
«L’immagine del disastro? Aziende che trascorrono le giornate a ridurre i perimetri occupazionali e a far scempio di diritti e salari». Così Riccardo Saccone, segretario nazionale Slc Cgil, ha riassunto lo scenario odierno delle telecomunicazioni in Italia.
Riccardo Saccone
In occasione del primo sciopero nazionale dell’intero settore – dunque trasversale ai comparti rete, telco e customer – migliaia di lavoratrici e lavoratori di tutta la penisola sono scesi in piazza Santi Apostoli a Roma, allo slogan di “Riprendiamoci il futuro”.
Perché «se questo settore riguadagna il futuro, a farlo al contempo è l’intero Paese» – ha precisato Saccone dal palco.
«Una volta le telecomunicazioni erano sinonimo di modernità, invece oggi il settore è stato sfruttato dalla finanza che – ha aggiunto il segretario – ha trattato le nostre aziende come dei bancomat, ossia luoghi da depredare».
«Diciamo a questo Esecutivo - ha chiosato - come a tutti quelli che si sono succeduti fino a oggi: dobbiamo ripartire dal lavoro. Separare le reti dai servizi porterà le nostre aziende a diventare dei semplici empori. E l’Italia a perseverare nella condizione di diseguaglianza da cui sarebbe dovuta uscire con la crisi pandemica», cioè quando migliaia di persone sono state costrette in cassa integrazione perché – in assenza di una banda ultralarga – non erano in grado di svolgere la loro attività da remoto. «Questa arretratezza il nostro Paese non se la può più permettere».
Solo l'inizio di un mese di intensa protesta sindacale, con numerosi scioperi in programma per giugno.
E così mentre negli ultimi 20 anni in tutti i paesi tecnologicamente avanzati si continuava a creare occupazione di qualità nonostante le difficoltà economiche generali, in Italia si assisteva a una erosione dei ricavi e a una drastica riduzione dei posti di lavoro. Si sono aggiunti gli ammortizzatori sociali, gli esodi incentivati, i tagli nella contrattazione aziendale e la perdita di competenze professionali importanti.
Ora la situazione è ancora più critica, poiché le principali aziende TLC stanno adottando una nuova strategia che rischia di trasformarsi in una bomba sociale. L'idea di separare l'industria delle infrastrutture dai servizi, un approccio miope e dannoso secondo i sindacati, porterà ulteriori impoverimenti, trasformando le aziende leader in semplici rivenditori di servizi, guidati da azionisti stranieri.
Questa prospettiva è estremamente preoccupante, soprattutto per le aziende che rimarranno senza infrastrutture di proprietà. In un mercato ipercompetitivo, le aziende saranno costrette a ridurre i costi del lavoro, riducendo così ulteriormente l'occupazione.
Anche i call center in outsourcing, già in difficoltà da tempo, si trovano in una situazione critica. Qui la competizione si concentra solo sul ribasso dei costi: vincerà chi offre un contratto con compensi ancora più bassi o, peggio ancora, chi opta per l'offshoring.
Nonostante alcune conquiste importanti, come le clausole sociali per gestire i cambi appalto e le tabelle ministeriali per il costo minimo del lavoro, ancora oggi molti committenti, a partire dalla Pubblica Amministrazione, si affidano a fornitori che applicano contratti "pirata", con riduzioni salariali e limitazioni dei diritti dei lavoratori.
Nel frattempo, la classe politica sembra ignorare completamente la situazione. Da mesi, si tengono incontri presso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, ma mancano proprio i rappresentanti dei lavoratori, e non si riesce nemmeno a capire di cosa si stia discutendo. I sindacati chiedono al governo Meloni, già sotto accusa per il decreto Lavoro, di ascoltarli.
Per quel che se ne sa, all'orizzonte ci sarebbe un possibile decreto che prevede aiuti alle aziende energetiche e una riduzione dei livelli di esposizione all'elettromagnetismo per favorire l'installazione del 5G, oltre ad agevolazioni per i prepensionamenti. Tutte misure che, secondo i sindacati, non affrontano i problemi strutturali del settore e sembrano pensate solo per dare un po' di respiro.
Insomma, se gli operatori telefonici vogliono tornare ad essere il motore della transizione digitale del Paese, dovranno investire nella riqualificazione dei lavoratori, soprattutto nel settore customer, dove la progressiva digitalizzazione dei processi lavorativi sta già portando a una grande rivoluzione.
Necessario, manco a dirlo, anche un dialogo aperto e costruttivo tra tutte le parti interessate per affrontare le sfide attuali e future. No meno importanti le politiche a lungo termine per promuovere la connettività e l'accesso alle telecomunicazioni in tutto il paese, specialmente nelle zone rurali o svantaggiate. Ciò potrebbe includere investimenti nelle infrastrutture di rete e la promozione di soluzioni innovative per garantire una connessione affidabile e veloce per tutti i cittadini.
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