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18 Aprile 2023 - 19:13
Era il 17 maggio del 1924 quando, con atto del commissario prefettizio venne conferita la cittadinanza onoraria a Benito Mussolini.
A partire dal 1923 centinaia di città italiane, dai piccoli centri alle grandi città, lo fecero. Ma se negli anni successivi alla caduta del regime molti Comuni hanno deciso di revocare tale onorificenza, questo a Brandizzo, in 99 anni, non è mai successo.
Eppure ci sono state città come Napoli che l'hanno fatto già durante la guerra. Era il 1944.
A prendere l'iniziativa, a quasi un secolo di distanza, è il Partito Democratico guidato in Consiglio da Marco Volpatto che, a tal riguardo, ha presentato un Ordine del giorno che verrà discusso dal parlamentino brandizzese durante la seduta del prossimo 26 aprile.
MARCO VOLPATTO, capogruppo del PD
Una data simbolica, che porta con sé un significato importante. Il Il 26 aprile del 1945, infatti, è il giorno un cui fu liberata Brandizzo.
Nel documento presentato il Pd scrive: "Era il 1924, non un periodo qualunque. E' l'anno delle elezioni che, complice l'iniqua legge Acerbo, assicurano ai fascisti la maggioranza in Parlamento. E' l'anno dell'arresto di Piero Gobetti, dell'assassinio di Don Giovanni Minzoni, dell'aggressione a Giovanni Amendola, Mancano pochi giorni alla vile imboscata che porterà alla morte di Giacomo Matteotti assassinato proprio per aver denunciato violenze, brogli elettorali e abusi del Partito fascista".
GIACOMO MATTEOTTI
I Dem, poi aggiungono: "Preso atto che negli anni successivi alla caduta del regime molti Comuni, alcuni già durante la Guerra, come Napoli, altri dopo, hanno preso la decisione di revocare tale onorificenza. Che la nostra Costituzione, "legge delle leggi", frutto di una difficile mediazione tra posizioni diverse, è espressione di un principio comune: la libertà dal fascismo. Noi continuiamo a credere che questo concetto sia giusto e vada ribadito e crediamo sia giusto affermare che essere cittadini italiani ed europei significhi essere figli di quel patto".
Per il Pd la cittadinanza onoraria a Mussolini è in contrasto, dunque, con quanto sancito dalla Costituzione repubblicana e per questo motivo "la revoca di tale atto è un'azione doverosa nei confronti della Storia e della comunità italiana e brandizzese. espressione della necessità di riaffermare l'antifascismo come valore assoluto in un momento storico in cui si riaffacciano razzismi, xenofobia, negazionismo e manifestazioni di nostalgia per il violento e antidemocratico regime fascista.
Un atto comune tardivo, per il gruppo guidato da Volpatto: "Seppur tardivo, riteniamo sia giunto il momento di assumere una decisione che cancelli definitivamente una scelta incompatibile con il Patto Costituente e restituisca alle vittime del fascismo, ai molti giovani italiani che si unirono alle forze partigiane e a quanti si impegnarono nei gruppi di azione patriottica e lottarono con coraggio, anche qui a Brandizzo, contro la dittatura".
Per i consiglieri Marco Volpatto e Monica Durante che hanno portato avanti l'istanza: "E' necessario valorizzare quella "Resistenza diffusa e non armata" che si sviluppò spontaneamente tra i brandizzesi dal settembre 1943 all'aprile 1945 e che trovò anch'essa sintesi nella Costituzione democratica".
MONICA DURANTE
Per i Dem, revocare la cittadinanza onoraria a Benito Mussolini è un gesto doveroso, teso a non cancellare il passato, ma a dare concretezza ai principi della nostra Carta Costituzionale.
Per tutti questi motivi hanno chiesto al Consiglio di impegnare il sindaco e la giunta a predisporre gli atti necessari a revocare quanto prima a Benito Mussolini la cittadinanza onoraria della Città di Brandizzo.
Il capogruppo Marco Volpatto, a margine dell'Ordine del Giorno, scrive:
Nell’aprile di settantotto anni fa le dittature europee consumavano i loro ultimi, tristi giorni e si arrendevano ad alleati e partigiani. Parafrasando Hemingway: “Ogni essere umano che ami la libertà deve più ringraziamenti a quegli uomini e a quelle donne di quanti ne possa pronunciare in tutta la sua vita.”
Merito degli eserciti alleati, che ebbero un ruolo rilevante, ma anche di tutti coloro, compresi i nostri Partigiani, che credevano nella giustizia e nella libertà e avevano intuito quanto pericolose fossero le dittature. La guerra ce la siamo sentita raccontare da chi l’ha vissuta, gli uomini al fronte, le donne a casa a pregare e tenere in piedi la vita, unite le famiglie, funzionanti fabbriche e campagne, crescere i loro figli e quelli degli altri. Il pensiero va ai bambini, ai ragazzi di quegli anni là cui è stato rubato il tempo più bello. Chi è sopravvissuto lo ha fatto nella paura, poi nella fame, costretto a scappare, e molti furono i rifugiati di guerra ospiti di famiglie già povere del loro, eppure capaci di convivere e condividere.
È necessario ricordare che quella guerra è iniziata al centro d’Europa, la terra dell’illuminismo, del diritto, la patria di Socrate, Leonardo, Sant’agostino, Dante, Beethoven. C’è voluta la guerra più sanguinosa per portare quella stessa civiltà a dimostrarsi capace di dialogo, sapere, condivisione, umanità, con l’idea che l’altro può essere un avversario da contrastare, mai un nemico da abbattere. Forse non era primavera per caso quando si disse – e scrisse ben chiaro nella nostra Costituzione – che la guerra non si fa più perché non ce n’è una in tutta la storia che sia finita bene: vite sospese, speranze disilluse, progetti distrutti, e poi il pericolo costante, la paura.
Il giorno in cui finì, si fece giustamente festa: era tornata la bellezza e si esaltò la forza delle genti umili di stare dentro la tragedia e trasformarla in futuro.
Cioè noi.
LA VOCE DEL CANAVESE
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