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22 Marzo 2023 - 11:37
Lucy Salani aveva 99 anni
Con i suoi 99 anni, Lucy Salani era considerata la trans più vecchia d'Italia. L'unica sopravvissuta ai campi di concentramento.
"Lucy non c'è più. Lucy e il suo quasi secolo di vita. Lucy e i campi di concentramento. Lucy orgogliosamente trans. Lucy persona libera. Lucy tesserata dei Sentinelli. Lucy una di noi" scrivono sul loro sito Fb I Sentinelli di Milano».
Nata come Luciano Salani a Fossano, nel 1924, Lucy era stata deportata a Dachau nel 1944, dove era rimasta per sei mesi, fino alla liberazione nel 1945. Dopo la guerra si era stabilita fra Torino e Bologna. Nel mentre, l'operazione per diventare donna, fatta negli anni '80 a Londra.
La sua storia è diventata nota grazie alla biografia di Gabriella Romano 'Il mio nome è Lucy.
L'Italia del XX secolo nei ricordi di una transessuale', pubblicata nel 2009 da Donzelli Editore. Due anni più tardi Gabriella Romano ha realizzato anche il documentario 'Essere Lucy'.
Nel 2014, il regista Gianni Amelio l'ha intervistata nel documentario 'Felice chi è diverso'.
Tra il 2020 e il 2021 Matteo Botrugno e Daniele Coluccini hanno girato il documentario selezionato alla 39a edizione del Torino Film Festival 'C'è un soffio di vita soltanto' dove la si vede a Dachau, dove era stata invitata per il 75esimo anniversario della liberazione del campo.
Lo scorso settembre, a Milano, ha inaugurato la prima festa dei Sentinelli "perché avevamo fatto una mostra, 'Homocaust' - spiega Luca Paladini, portavoce del movimento - che raccontava le storie di persone passate dai campi di concentramento in quanto omosessuali. Per noi Lucy è stata una conoscenza arrivata negli ultimissimi anni della sua vita, abbiamo presentato il film che racconta la sua storia incredibile, è l'unica persona trans passata dai campi di concentramento, e tornata libera ha sempre fatto la sua vita da donna libera rivendicando il suo essere".
"Era terribile durante il fascismo essere transessuale - aveva raccontato Lucy alla festa dei Sentinelli - Mi picchiavano e mi facevano fare delle cose schifose. Mi imbrattavano con il catrame e mi hanno rasato. Ho subito anche questo, ho preso le botte dai fascisti perché mi ero atteggiato a donna e per loro questo era inconcepibile".
Durante la prigionia a Dachau il suo compito era di "portare i cadaveri alla cremazione - aveva ricordato -, tutte le mattine dopo l'appello ero obbligata a trasportare i corpi dalle baracche".
Per descrivere l'inferno che aveva visto e vissuto a Dachau, Lucy Salani usava queste parole : "In qualche modo mi sento come se fossi già morta a Dachau, quindi la vita che ho avuto l’opportunità di vivere è stata comunque un miracolo, anche se ho subito molta discriminazione. Ho cercato di vivere vicino alle persone che mi volevano bene, rimanendo libera, anche se a tanti non andava bene chi io fossi”.
Lo scorso luglio il Comune di Bologna le ha conferito l'onorificenza della Turrita di bronzo.
Nel 2019 per lei il Gay Center aveva chiesto al presidente della Repubblica Sergio Mattarella la nomina a senatrice a vita.
"C'è un soffio di vita soltanto", realizzato quasi interamente durante la pandemia, racconta la singolare storia di Lucy nata a Fossano, provincia di Cuneo, nel 1924, come Luciano.
Racconta nel docu: “Mi sono sempre sentita femmina fin da piccola. Mia madre era disperata. Volevo sempre fare ciò che a quell’età facevano le bambine: cucinare, pulire e giocare con le bambole”.
Alcuni uomini adulti iniziano ad approfittarsi di lei e i suoi genitori si accorgono che qualcosa non va tanto da trasferirsi con tutta la famiglia a Bologna.
Qui conosce un gruppo di ragazzi omosessuali che si prostituiscono e inizia a farlo anche lei.
Nel 1940 arriva la guerra e Lucy viene chiamata ad arruolarsi: “È stata dura. Io ho detto quello che ero, ma non ci hanno creduto. Ho detto di essere omosessuale. E loro: ‘Eh sì, dicono tutti così, vai, vai…’. Non mi hanno creduto!”.
Dopo una serie di fughe finite male, in cui Lucy viene arrestata più volte si ritrova nel campo di concentramento di Dachau. “Quello che ho visto lì è stato spaventoso – dice -. L’Inferno di Dante a confronto è una passeggiata. Impiccati, gente che moriva per la strada, persone che erano solo pelle e ossa. Facevano esperimenti, bruciavano i morti e c’era chi era ancora vivo, che si muoveva fra le fiamme. La mattina quando ti alzavi e guardavi la recinzione elettrificata, trovavi un mucchio di ragazzi attaccati. Avevano provato a scappare durante la notte”.
Lucy riesce a sopravvivere al campo di concentramento e a tornare a Bologna. A metà degli anni Ottanta, si sottopone alla riattribuzione chirurgica di sesso a Londra.
Torna in Italia, ma si rifiuta di cambiare nome: “Me l’hanno dato i miei genitori, è sacro. Perché, una donna non si può chiamare Luciano? Perché no?”.
“Abbiamo visto Lucy per la prima volta in un’intervista su YouTube – spiegano i registi – . L’abbiamo poi scovata nella sua casa bolognese, l’abbiamo conosciuta e ascoltato per ore la storia della sua vita, decidendo di realizzare un film su di lei, sulla sua umanità, sul suo coraggio e sul suo indistruttibile attaccamento alla vita. C’è un soffio di vita soltanto – concludono Botrugno e Coluccini – è la storia di un’identità che resiste e sopravvive, malgrado tutto, in un XXI secolo in cui il senso della Memoria sembra affievolirsi di fronte al lento incedere dei fantasmi del passato”.
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