AGGIORNAMENTI
Cerca
INCHIESTA COVID
05 Marzo 2023 - 07:39
Giuseppe Conte
Era convinto che si dovesse "intervenire e anche in modo drastico" dato che la "Lombardia stava peggiorando seriamente" e che fosse necessaria "una soluzione ancora più rigorosa e complessiva, non limitata ai soli due Comuni della Val Seriana".
Così nel giugno di tre anni fa, l'allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte, aveva ricostruito davanti ai pm di Bergamo che stavano indagando sulla gestione del Covid in Val Seriana, quei giorni tra il 5 e il 7 marzo, in cui la tensione era alta per l'impennata dei dati dei contagi in Lombardia.
Conte, allora sentito come persona informata sui fatti, e che da tre giorni si è ritrovato indagato nell'inchiesta bergamasca per epidemia colposa con l'accusa di non aver istituito la zona rossa in Val Seriana, ai magistrati che si erano recati da lui a Roma, in piazza Colonna, ha raccontato che il 5 marzo, al termine del Consiglio dei ministri "mi è stato riferito dal segretario generale di Palazzo Chigi che era pervenuta una mail" con allegata la bozza del decreto presidenziale con la "proposta di istituzione di zona rossa nei Comuni di Alzano e Nembro. Non ricordo esattamente le modalità e i dettagli, ma sicuramente c'è stato un confronto con il ministro Speranza".
Con il quale aveva "convenuto di chiedere agli esperti un approfondimento sulle ragioni di questa proposta, alla luce del quadro epidemiologico di quei giorni che evidenziava un contagio ormai diffuso, in varie aree della Lombardia". L'approfondimento su Alzano e Nembro, ha aggiunto, "fu richiesto dal ministro Speranza" il quale la sera stessa "mi girò via WhatsApp la nota del prof. Brusaferro" e poi "firmò quella bozza" perché "mi anticipò che il giorno dopo avrebbe partecipato, a Bruxelles, a un incontro istituzionale (...) e quindi si convenì che per non ritardare il nostro intervento era bene che lui firmasse già" il provvedimento nel caso in cui "la decisione fosse stata confermata". Ma quel "documento firmato non è mai stato nelle mie mani".
Il giorno dopo, ossia il 6 marzo, in una riunione alla Protezione Civile, e con gli esiti degli approfondimenti richiesti "emerse l'orientamento degli esperti di una soluzione ancora più rigorosa e complessiva, non limitata ai solo due comuni della Val Seriana". Il 7 marzo fu elaborata una nuova bozza di Dcpm. L'8 marzo venne creata una zona arancione che comprendeva Regione Lombardia e altre 14 province e il 9 marzo fu decretato il lockdown.
Anche per Speranza, pure lui passato da teste a indagato ma per la mancata attuazione del piano pandemico, "non si riteneva più possibile contenere la diffusione del virus in aree circoscritte. C'era invece bisogno - aveva messo a verbale nel giugno 2020 - di misure rigorose che però avrebbero dovuto riguardare un'area molto più vasta". Davanti agli inquirenti e agli amministratori l'ex ministro, ai tempi in quota al Pd e ora leader di Articolo 1, ha ricordato di aver parlato della situazione di Nembro e Alzano con Conte il 4 marzo mentre ha negato di aver mai saputo prima, in particolare in riferimento a un verbale del Cts del 26 febbraio, se in Lombardia, dopo i 10 comuni del Lodigiano, ci fossero altre aree che era opportuno delimitare ai fini della quarantena.
Inoltre sia Conte che Speranza hanno dichiarato ai pm di non aver ricevuto alcuna richiesta di istituire la zona rossa in Val Seriana da Regione Lombardia, al contrario di quello che ha sostenuto il Governatore Fontana (anche lui indagato). Tra le carte dell'inchiesta di Bergamo spuntano anche alcune chat tra Speranza e i suoi tecnici. In particolare discutendo con il presidente dell'Iss Silvio Brusaferro, sulle indicazioni per le mascherine è stato categorico "decide l'Oms, non i sindacati" dei medici. E poi a proposito di quelle "swiffer" è sbottato: "Sono terrorizzato da questa cosa delle mascherine".
Agli atti dell'indagine c'è anche il quadro impietoso tracciato da Andrea Crisanti, il microbiologo ora senatore del Pd, che nella sua consulenza non ha fatto sconti a nessuno, nemmeno all'ex ministro che bene o male appartiene alla sua stessa area politica.
Oltre ad aver rilevato che per "16 anni", dal 2004 al 2020, non è "mai stata intrapresa una singola attività o progetto" per "valutare lo stato di attuazione del Piano Pandemico Nazionale" poi 'scartato' da Speranza e dai suoi tecnici senza che nemmeno lo avessero letto, ha sottolineato che non ci fu alcuna verifica sullo "stato di preparazione dell'Italia nei confronti del rischio" di una pandemia. E infine ha offerto una ricostruzione ben diversa sulla vicenda della zona rossa: nei giorni 27 e 28 febbraio 2020 "il Cts e il ministro Speranza hanno tutte le informazioni sulla progressione del contagio che dimostravano come lo scenario sul campo" fosse "di gran lunga peggiore di quello ritenuto catastrofico".
Il "28 febbraio 2020" fu il giorno cruciale in cui l'Italia si consegnò alla pandemia perché, malgrado ci fossero già tutti i dati a disposizione di uno "scenario" di "gran lunga peggiore di quello ritenuto catastrofico", invece che puntare sulle zone rosse, come quella da applicare subito in Val Seriana, il Comitato tecnico scientifico si affidò a "misure proporzionali", per non dire blande, per combattere un "virus che si propagava esponenzialmente".
E' di 83 pagine, più gli allegati, la relazione del microbiologo, e ora senatore Pd, Andrea Crisanti, centrale nell'inchiesta della Procura di Bergamo sulla gestione del Covid nella Bergamasca. Un atto d'accusa su omissioni, ritardi, inefficienze che chiama in causa le "responsabilità degli organi decisionali nazionali (Cts, ministero della Sanità e Presidenza del Consiglio) e di Regione Lombardia", le cui figure chiave sono finite indagate nell'indagine da poco chiusa.
Una maxi consulenza, con schemi e calcoli matematici (tra cui la cifra di oltre 4mila morti che si sarebbero potute evitare), che racconta anche che "per 16 anni", dal 2004 al 2020, non fu mai "intrapresa una singola attività o progetto che avesse l'obiettivo di valutare lo stato di attuazione del Piano Pandemico Nazionale" o di "verificare lo stato di preparazione dell'Italia" al "rischio pandemico".
Un piano c'era, datato 2006 ma comunque "un manuale di istruzione", secondo Crisanti. Non fu applicato. Venne "scartato a priori", anche perché l'allora ministro Roberto Speranza disse che non era "costruito specificamente su un coronavirus ma su un virus influenzale". Mentre Silvio Brusaferro, direttore dell'Iss, ai pm ha riferito di averlo letto "per la prima volta" nel "maggio 2020".
E tutti, sempre a detta del professore, erano "consapevoli del fatto che" doveva "essere aggiornato almeno dal 2017". "Consapevoli" che è pure la parola chiave sul fronte della mancata zona rossa ad Alzano e Nembro: nei giorni 27 e 28 febbraio "il Cts e il ministro Speranza" avevano "tutte le informazioni sulla progressione del contagio".
Allo stesso modo, anche il governatore Attilio Fontana e l'assessore Giulio Gallera. E le "informazioni sulla gravità della situazione" nei due comuni erano state oggetto di una riunione del Cts del 2 marzo "non verbalizzata ufficialmente" alla presenza "del ministro Speranza e del presidente Conte".
Speranza e Conte che, però, "raccontano alla Procura di Bergamo di essere venuti a conoscenza del caso" della Val Seriana "rispettivamente" solo il 4 e il 5 marzo. Il punto è che non vennero messo in campo "azioni più tempestive e più restrittive", perché, come avrebbe affermato l'allora premier nella riunione del 2 marzo, "la zona rossa va utilizzata con parsimonia perché ha un costo sociale politico ed economico molto elevato'".
E Speranza scriveva a Brusaferro: "Conte senza una relazione strutturata non chiude". Considerazioni che, scrive Crisanti, "hanno prevalso sulla esigenza di proteggere gli operatori del sistema sanitario nazionale e i cittadini".
Intanto, il Piano Covid elaborato il 20 febbraio dal consulente Stefano Merler sarebbe stato secretato "per non allarmare l'opinione pubblica" e accantonato sempre quel 28 febbraio, data spartiacque. Andando indietro nel tempo, già dal 12 febbraio, otto giorni prima di Paziente 1, la task force del ministero e il Cts erano "consapevoli della difficoltà di reperire Dpi" e conoscevano "la situazione di vulnerabilità".
Sempre quel giorno Merler in una riunione al Ministero aveva già messo tutti in guardia sul virus "devastante" che poteva essere bloccato solo con le zone rosse. Non si facevano, però, tamponi agli "asintomatici", mentre il virus già circolava all'ospedale di Alzano dal 4 febbraio. Ci si ritrovò così, chiosa l'attuale senatore, "in balia all'improvvisazione".
Edicola digitale
I più letti
LA VOCE DEL CANAVESE
Reg. Tribunale di Torino n. 57 del 22/05/2007. Direttore responsabile: Liborio La Mattina. Proprietà LA VOCE SOCIETA’ COOPERATIVA. P.IVA 09594480015. Redazione: via Torino, 47 – 10034 – Chivasso (To). Tel. 0115367550 Cell. 3474431187
La società percepisce i contributi di cui al decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70 e della Legge Regione Piemonte n. 18 del 25/06/2008. Indicazione resa ai sensi della lettera f) del comma 2 dell’articolo 5 del medesimo decreto legislativo
Testi e foto qui pubblicati sono proprietà de LA VOCE DEL CANAVESE tutti i diritti sono riservati. L’utilizzo dei testi e delle foto on line è, senza autorizzazione scritta, vietato (legge 633/1941).
LA VOCE DEL CANAVESE ha aderito tramite la File (Federazione Italiana Liberi Editori) allo IAP – Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria, accettando il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.