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Cronaca
02 Marzo 2023 - 22:37
Le salme di alcune vittime del Covid nella bergamasca
Nonostante l'impennata dei contagi tra la fine di febbraio e i primi giorni di marzo e lo scenario "catastrofico" acclarato, non fu istituita alcuna zona rossa ad Alzano Lombardo e Nembro, per altro già pronti a 'isolarsi' per evitare di dover contare oltre 4 mila morti di Covid.
E non fu applicato il piano influenzale pandemico, pur risalente al 2006: mancanza che ha comportato una catena di ritardi e omissioni che avrebbero poi determinato la "diffusione incontrollata" del virus.
Una diffusione che in fece salire alla ribalta l'ospedale Pesenti Fenaroli di Alzano, epicentro delle pandemia nella bergamasca dove già, quasi in contemporanea con la scoperta di Paziente 1, erano stati registrati parecchi casi e anche vittime.
Sono questi in sostanza i tre grandi temi messi nero su bianco dalla Procura di Bergamo nell'avviso di chiusura dell'indagine sulla gestione della prima ondata del Covid nella zona più colpita d'Italia, come testimoniano i dati e le immagini delle lunghe colonne di camion dell'Esercito con sopra le bare di chi ha perso la vita in questa tragedia che, dicono gli inquirenti, avrebbe potuto essere meno pesante.
L’ex premier Giuseppe Conte
Indagine in cui gli indagati sono 19, e tra questi l'ex premier Giuseppe Conte, l'ex ministro Roberto Speranza - per loro due è competente il Tribunale dei Ministri con sede a Brescia - il presidente della Lombardia Attilio Fontana, l'ex assessore del Welfare lombardo Giulio Gallera, e vari esponenti di rilievo del mondo della sanità italiana, come Claudio D'Amario ex dg della prevenzione del ministero, Agostino Miozzo coordinatore del Comitato Tecnico Scientifico, Silvio Brusaferro, direttore dell'Istituto Superiore di Sanità, e Angelo Borrelli, ex capo della Protezione Civile.
Roberto Speranza
Le accuse contestate a vario titolo, sono epidemia colposa aggravata, omicidio colposo, rifiuto d'atti d'ufficio e falsi.
C'è stata "un'insufficiente valutazione di rischio", ha spiegato il Procuratore Antonio Chiappani, aggiungendo che "di fronte a migliaia di morti e alle consulenze che ci dicono che potevano essere eventualmente evitati, non potevamo chiudere con una archiviazione".
Così oggi, dopo che ieri sera erano già noti i nomi degli indagati, sono stati notificati gli avvisi di conclusione dell'inchiesta, non senza qualche polemica per il modo con cui è stato gestito il caso 'coperto' da un innegabile interesse pubblico: "E' vergognoso che una persona che è stata sentita a inizio indagine come informata dei fatti scopra dai giornali di essere stata trasformata in indagato - ha sbottato Fontana -. E' una vergogna sulla quale non so se qualche magistrato di questo Paese ritiene di indagare. Sicuramente non succederà niente".
Attilio Fontana
Secondo la ricostruzione di inquirenti e investigatori, riportata nell'atto, la mancata istituzione della zona rossa avrebbe causato "la diffusione dell'epidemia" in Val Seriana con un "incremento stimato non inferiore al contagio di 4.148 persone, pari al numero di decessi in meno che si sarebbero verificati" qualora fosse stata disposta dal 27 febbraio 2020 o da Conte o da Fontana.
L'allora presidente del Consiglio, invece, assieme ai componenti del Cts, nelle riunioni del 29 febbraio e 1 marzo 2020, si sarebbe "limitato a proporre (...) misure meramente integrative, senza ancora una volta, prospettare di estendere" la decisione già adottata nel Lodigiano, "nonostante l'ulteriore incremento del contagio" e "l'accertamento delle condizioni che (...) corrispondevano allo scenario più catastrofico".
In merito alla mancata applicazione del piano pandemico esistente si imputa a Brusaferro di aver proposto non tanto la sua "attuazione" bensì "azioni alternative, così impedendo l'adozione tempestiva delle misure in esso previste".
Accusa, questa di cui risponde tra l'altro Speranza con gli allora suoi tecnici e, per non aver applicato il piano regionale Gallera e l'ex dg del Welfare Luigi Cajazzo.
Infine il capitolo che riguarda l'ospedale di Alzano per cui sono indagati i vertici e dirigenti della Asst di Bergamo Est: secondo l'ipotesi non furono adottate misure per contenere il virus e il suo pronto soccorso venne chiuso e poi riaperto senza l'adeguata sanificazione.
Ciò ha comportato un accelerazione dei contagi e la morte pure di qualche medico.
"Ritengo di aver agito con la massima umiltà nel confronto con gli esperti" e "con il massimo senso di responsabilità e il massimo impegno", è ritornato a commentare in serata Conte. "Ci sono delle verifiche giudiziarie in corso, ben vengano. Risponderò nelle sedi opportune ma non vi aspettate da me show mediatici".
Il fascicolo fu aperto ai primi di aprile, non molti giorni dopo che quelle immagini delle bare trasportate dall'Esercito avevano fatto il giro del mondo. Ed è stato chiuso dopo 3 anni con migliaia di pagine di atti finiti nell'inchiesta sulla gestione della pandemia di Covid e sulla diffusione "incontrollata" dei contagi nella Bergamasca.
Indagine che ora può far finire a processo quella classe politica che cercava all'epoca soluzioni in una situazione mai affrontata, ma anche vertici, dirigenti e tecnici delle istituzioni sanitarie nazionali e locali.
Tassello dopo tassello, nell'indagine con al centro la più grave ecatombe d'Europa di quei mesi drammatici, si è arrivati a rintracciare presunte responsabilità sui due fronti principali dell'inchiesta: la mancata attuazione del piano per contrastare le pandemie, che c'era anche se fermo al 2006, e la decisione di non istituire la zona rossa ad Alzano e Nembro, il focolaio della Val Seriana, come invece era avvenuto già il 23 febbraio nel Lodigiano.
L'inchiesta, prima di allargarsi fino a toccare le decisioni prese a Roma, partì inizialmente con accertamenti molto più localizzati, sulle presunte anomalie nella gestione dei pazienti all'ospedale di Alzano Lombardo, dove il pronto soccorso venne chiuso e riaperto in poche ore il 23 febbraio, dopo la scoperta dei primi casi positivi.
Coordinata dall'aggiunto Cristina Rota, affiancata nel tempo da 4 pm, Silvia Marchina, Paolo Mandurino, Guido Schininà e Emma Vittorio, e sotto il coordinamento del Procuratore Antonio Chiappani, le indagini sono andate avanti passo passo guardando a quei numeri delle vittime che si moltiplicavano di giorno in giorno.
Nel marzo di tre anni fa, ha stabilito poi la maxi consulenza affidata nel giugno 2020 al microbiologo Andrea Crisanti, a Bergamo e provincia i morti erano stati quasi 5.200 in più della media mensile degli anni precedenti, che si aggirava attorno agli 800.
A queste cifre spaventose gli inquirenti hanno cercato di dare risposta.
Una strage che, intanto, si consumava anche dentro le Rsa, dove in due mesi sono stati registrati circa 1300 morti contro una media precedente di 600.
Tra i primi indagati per epidemia colposa ci fu l'allora dg del Welfare lombardo Luigi Cajazzo, oltre ai vertici dell'Asst Bergamo Est.
A fare salire di livello l'inchiesta, dopo una serie di audizioni a Roma, tra cui quelle dell'ex premier Giuseppe Conte, dell'ex ministro della Salute Roberto Speranza e dei tecnici del ministero e del Cts (che sono finiti indagati), sono stati gli accertamenti che hanno riguardato proprio la mancata creazione della zona rossa.
Con quelle testimonianze si scoprì che il piano pandemico non era stato aggiornato dal 2006 e che non era stato nemmeno applicato, malgrado le raccomandazioni dell'Oms.
Poi, le acquisizioni di documenti, circolari, chat estrapolate dai cellulari e mail, tra cui due di fine febbraio in cui il governatore Attilio Fontana non avrebbe segnalato criticità nei comuni della Val Seriana, né chiesto ulteriori zone rosse.
Sulla questione piano pandemico, nelle pieghe dell'inchiesta, è venuto fuori pure un forte scontro tra il ricercatore dell'Oms Francesco Zambon e l'allora direttore vicario dell'organismo Ranieri Guerra, che è stato, poi, indagato per false dichiarazioni ai pm.
Infine, a portare ad allargare l'indagine fino a Conte, Speranza, Fontana, all'ex assessore Giulio Gallera e ai molti tecnici, si è aggiunta proprio anche quella maxi consulenza di Crisanti, depositata nel gennaio 2022.
Analisi che hanno confermato che presunte omissioni ed errori nella valutazione del rischio, su cui la Procura stava lavorando, sarebbero stati una sorta di "acceleratore" nella diffusione del virus che, quando fu diagnosticato il caso del Paziente 1 a Codogno, già circolava e aveva infettato un centinaio di persone nella Bergamasca.
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