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24 Febbraio 2023 - 18:22
Riccardo Baima in Turchia
Ci rimettiamo in contatto con Riccardo Baima, il presidente dell'associazione di Protezione Civile nolese Base Sierra. Lo avevamo contattato di corsa mentre si stava recando in Turchia dopo la potente scossa di terremoto del 6 febbraio scorso che ha messo in ginocchio il paese, causando 43.556 morti in Turchia e 6.700 nella vicina Siria. Lo avevamo poi cercato di nuovo dopo qualche giorno di permanenza sul posto, curiosi di capire come stessero andando le cose.
Contattarlo una terza volta non era nei piani, ma un altro, drammatico evento l'ha reso, se non necessario, quantomento utile. Il 21 febbraio scorso, infatti, una nuova scossa di magnitudo 6,4 (la prima era stata di 7,9) ha colpito la Turchia. E questo ha imposto una riorganizzazione e un mutamento dei piani per i volontari che, come Riccardo, sono accorsi per dare una mano.
Riccardo Baima
Riccardo Baima ci risponde dal Campo Piemonte, la struttura di emergenza allestita dalla Regione per organizzare i soccorsi. Quel campo da calcio a Defne (città attaccata ad Antiochia) è ormai diventata l'ospedale cittadino della zona, perché quello "ufficiale" è stato raso al suolo.
Doveva stare in Turchia per una settimana. Poi il tempo di permanenza si è allungato di tre giorni e, infine, è arrivato a quindici. Domani pomeriggio ripartirà per l'Italia. Al momento della scossa, però, Riccardo non si trovava al campo. "Eravamo in un centro commerciale - ci racconta - e un po' di panico c'è stato".
Subito dopo il sisma, l'ospedale allestito a Defne si è trasformato in un punto di accoglienza per le emergenze: "I medici si sono preparati ad attendere eventuali feriti, e fortunatamente ne sono arrivati pochi e non in gravissime condizioni. Alcuni medici, però, ci hanno raccontato che durante la scossa le persone ricoverate, traumatizzate dalla prima scossa, hanno reagito in maniera abbastanza forte pur essendo in tende sicure".
Abbiamo contattato Riccardo, che ci ha risposto direttamente dal campo Piemonte
Dopo la scossa, Riccardo ha continuato a fare il suo lavoro: "Abbiamo mantenuto la connettività su tutto il campo, anche grazie a Vodafone Turchia che l'ha garantita". Anche perché i dispositivi devono funzionare, perché talvolta assumono funzioni vitali: "In Pronto Soccorso e in sala operatoria vengono infatti usati dispositivi di traduzione, ad esempio" spiega Riccardo.
E così, dopo quindici lunghi giorni Riccardo tornerà a casa. "La prima cosa che farò è bere tanti caffè - sorride Riccardo, che però poi torna serio - perché qui è ovviamente più difficile trovarlo. Il caffè si potrebbe prendere nelle case delle persone, ma qui purtroppo di case ne sono rimaste poche".
Anche se, a dire il vero, in quello scenario di devastazione in cui versa la Turchia è stato proprio un caffè a restituire un piccolo momento di tranquillità e di convivialità tra turchi e italiani.
"Mentre montavamo delle tende alla diocesi di Alessandretta, dei turchi ci hanno offerto del caffè" racconta Riccardo. Quel caffè non filtrato, i cui fondi, si dice, nascondano profezie sul futuro, è stata l'occasione per distendersi un secondo. Alla diocesi di Alessandretta, tra l'altro, i volontari hanno fatto delle conoscenze non da poco.
"Abbiamo conosciuto il parroco di questa piccola comunità cristiana e anche il vescovo di Antiochia - dice Riccardo - e nello stesso posto era presente la Caritas, che dava un grosso aiuto". Ma non è solo la Caritas a dare una mano. Anche i locali lo fanno, e tra questi ci sono i soldati.
"Sui loro volti si leggeva la guerra - racconta Riccardo - e spesso venivano dalla vicina Siria. Probabilmente sono stati dislocati lì per rifiatare un attimo. Ciò che è impressionante è che quello che per noi è uno scenario di distruzione, probabilmente per loro era uno spazio di riposo. Sono due facce della stessa realtà: probabilmente, in questa 'capsula di bontà' loro ritornano alla normalità".
Eppure, nonostante la diversità di storie e di vissuti che si possono incontrare in un campo per i soccorsi, per Riccardo "chi fa volontariato è uguale un po' dappertutto. Per di più, molti di questi volontari turchi avevano una famiglia e una casa, ma continuavano a dare una mano".
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