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"Un terremoto del genere avrebbe raso al suolo un quarto dell'Italia" (VIDEO)

Abbiamo contattato Riccardo Baima, dell'associazione di Nole "Base Sierra", che è andato in Turchia per aiutare nei soccorsi

Riusciamo a metterci in contatto con Riccardo mercoledì 15 febbraio, verso le ore 20 ora italiana. Lui ci risponde dalla Turchia, e così cominciamo la video-intervista in diretta social, che i lettori de La Voce trovano allegata a quest'articolo. Riccardo Baima è il presidente dell'associazione nolese di protezione civile Base Sierra, e la scorsa settimana è partito alla volta della Turchia dopo il terremoto che ha devastato il sudovest della nazione, causando circa 40mila morti.

Riccardo è partito per via delle sue conoscenze in fatto di telecomunicazioni, un fiore all'occhiello di Base Sierra, riconosciuta a livello nazionale come associazione all'avanguardia sul tema. La sua esperienza trentennale di volontario nell'ambito della protezione civile lo ha portato in teatri drammatici, come i terremoti che hanno colpito L'Aquila e Amatrice. Anche se un terremoto come quello turco Riccardo non l'ha mai visto.

Riccardo Baima

Ciao Riccardo. Prima di tutto: in questo momento dove ti trovi?
Mi trovo ad Antiochia, nel parcheggio dell'Atay Stadium, dove sono situate le squadre di ricerca di Vigili del Fuoco e Guardia di Finanza. Le ricerche sono state gestite a livello internazionale e ogni area dello stadio ospita diverse attività di ricerca.

Iniziamo ripercorrendo cronologicamente la tua scelta di partire. Come associazione siete specializzati nelle cosiddette "prime partenze": partite subito dopo l'accadimento di eventi disastrosi come questo. In questo caso come sono andate le cose? Come
hai deciso di partire? 
La richiesta di partenza avviene quando viene avanzata dallo Stato che subisce una calamità. È così che si attiva tutto il meccanismo di protezione civile, con una serie di passaggi ormai collaudati. All'interno della struttura che si attiva in questi casi c'è anche la nostra federazione, che ha all'interno volontari come me, abilitati all'attività internazionale e, nel mio caso, alle telecomunicazioni. Dopo la prima settimana in cui sono intervenuti i colleghi del Dipartimento è stata richiesta la disponibilità di due persone che si occupassero di telecomunicazioni. Così siamo arrivati io e un collega di Napoli. Originariamente la missione doveva essere di una settimana, ma qui tutto si modifica e muta in continuazione, e le attività sono state prolungate fino a mercoledì prossimo.

Quali sono i tuoi compiti lì?
Noi, nel dettaglio, dobbiamo garantire che i funzionari del Dipartimento possano comunicare da e per l'Italia; può sembrare semplice ma in un contesto così complicato non lo è affatto: la Turchia, per esempio, non fa parte dell'Unione Europea e quindi la gestione delle Sim per comunicare è complessa.

L'ospedale da campo di Antiochia con le bandiere italiana e turca

Una volta arrivato sul posto qual è stata la tua prima impressione dello scenario che ti trovavi davanti?
Ho trovato i team internazionali che gestivano un punto di raccolta di aiuti, come è accaduto in Italia dopo i terremoti. Quindi, ci sono le persone che arrivano e chiedono aiuti e il personale volontario gli dà una mano; Per quanto riguarda invece la situazione in città, oggi siamo riusciti a farci un giro, e ogni volta che si percorrono le strade dei quartieri più interni si scopre l’ecatombe. Rispetto a L'Aquila e ad Amatrice l’entità e la vastità del danno qui è una cosa inimmaginabile. Lo stesso danno avrebbe distrutto  un quarto dell'Italia: ci troviamo di fronte a immagini di distruzione imponenti, con quartieri completamente distrutti, dove non c’è neanche la luce elettrica la sera. È una situazione davvero complicata.

Immaginiamo che si tratti davvero di un contesto drammatico; hai già avuto l’opportunità di interagire con persone del luogo?
In realtà per noi l’interazione avviene soprattutto con gli esperti presenti in questo campo. Interagire con le persone del luogo è sempre complicato: la lingua è difficile, si parla poco l’inglese, ci sono usi e costumi che vanno conosciuti. Anche se oggi pomeriggio è accaduta una cosa molto particolare durante un rifornimento: il signore che ci ha fatto questo rifornimento è scoppiato a piangere e in due o tre volontari ci siamo abbracciati con lui, siamo stati un attimo con lui e siamo ripartiti, perché non si può fare altro. La disperazione si legge dappertutto.

Immaginiamo... ora vorremmo capire come si strutturano le tue giornate: cosa si fa durante il giorno nel campo?
Fortunatamente le nostre sono giornate tranquille: la mattina dobbiamo fare i check dei sistemi e durante il giorno possiamo dare una mano nell’attività di gestione del campo, occupandoci anche solo della cucina e della pulizia. Si interagisce molto con altre squadre. Per di più qui non c’è il cuoco né l'addetto delle pulizie, e ognuno deve dare una mano. Fino a ieri le squadre di ricerca erano h24 sul posto e c’erano un po’ di attività anche la sera, oggi invece si sono concluse le attività di ricerca e quindi qui dal campo siamo un po’ più tranquilli. 

La base operativa italiana di Antiochia



Le attività di ricerca dunque si sono concluse: quali saranno i tuoi compiti da qui a mercoledì?
Finché il Dipartimento resta qui io resterò a supportarli e loro faranno da coordinamento delle attività. Quando qui chiuderemo tutto ci sposteremo al Campo Piemonte e forniremo sempre servizio di mantenimento delle strutture delle telecomunicazioni.

Ci sono dunque moltissimi volontari italiani e piemontesi, ma ci sono anche dei volontari provenienti da altre nazioni?
In questa zona ci sono circa quindici team internazionali, che vengono dalla Cina alla Corea, dalla Serbia alla Russia. E poi ci sono australiani e inglesi... in tutto parliamo di circa quindici team Usar, specializzati nella ricerca dei dispersi sotto le macerie.

Mi ha colpito molto il paragone che hai fatto prima dicendo che un terremoto del genere non l'avevi mai visto neanche a L'Aquila e ad Amatrice: ti vorrei chiedere di approfondire questo ragionamento. Cosa ha reso questo terremoto così devastante? 
Beh, sicuramente il numero delle vittime; qui si parla di 40mila persone, cioè la popolazione di una cittadina media italiana... il problema, inoltre, è la vastità dell’area colpita, come mostrano le immagini: volendo fare un paragone con l'Italia, potremmo dire che dopo un terremoto del genere l'area che va da Roma fino a Napoli non ci sarebbe più. Inoltre qui alcune zone sono rurali, e questo crea non pochi problemi tecnici. In più, a circa 15 chilometri c’è il confine con la Siria, che ha dei problemi importanti dal punto di vista geopolitico. Infine, noi siamo arrivati qui per essere autonomi: abbiamo dovuto provvedere a portare al campo gruppi elettrogeni, cibo, acqua, servizi igienici. Non abbiamo chiesto aiuto e abbiamo voluto fare tutto da soli, perché siamo venuti qui per aiutare e non per essere aiutati. 

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