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Rocca Canavese
24 Gennaio 2023 - 18:08
Una banda partigiana
Ultimamente si sente spesso in giro: certo, i partigiani avranno pure liberato l'Italia, ma di porcate ne hanno fatte pure loro... Per motivare quest'affermazione entrano in gioco spesso e volentieri racconti di parenti più anziani, testimonianze, vicende dai tratti talvolta leggendari o comunque non storiograficamente acclarate.
E sicuramente saranno tutti fatti veri, che tante persone hanno visto coi loro occhi. Ma il valore intrinseco della Resistenza come grandissimo fenomeno popolare che ha democratizzato a fondo un'Italia crollata sotto il peso di vent'anni di fascismo può essere ridotto ad alcuni episodi di violenza (ingiustificata?) di pochi sparuti partigiani?
Nella Presentazione all'edizione del 1964 del Sentiero dei Nidi di Ragno, Italo Calvino descrisse con incredibile chiarezza quel "patto" che, nello scrivere il libro, aveva fatto con chi tendeva a diminuire il valore politico della Resistenza: "D'accordo, farò come se aveste ragione voi, non rappresenterò i migliori partigiani, ma i peggiori possibili [...]. Ebbene: cosa cambia? Anche in chi si è gettato nella lotta senza un chiaro perché ha agito un'elementare spinta di riscatto umano, una spinta che li ha resi centomila volte migliori di voi, che li ha fatto diventare forze storiche attive quali voi non potrete mai sognarvi di essere!".
Il post di Alessandro Lajolo: "Bisogna trasmettere la storia senza influenze di una parte o dell'altra"
Forse potrebbe essere inquadrata così la vicenda che raccontiamo qui. Tutto parte da un post su Facebook del sindaco di Rocca Canavese, Alessandro Lajolo. Nel post il primo cittadino ringraziava Giuseppe Vieta, di Forno Canavese, per aver tenuto nelle scuole elementari di Rocca una lezione sulla battaglia del Monte Soglio, che ebbe luogo l'8 dicembre del 1943.
E fin qui tutto bene. A essere più controverse, però, sono le parole che Lajolo dedica successivamente al "giudizio storico" degli eventi resistenziali canavesani: "Guardo con grande rispetto storico gli accadimenti del periodo bellico riferito alla seconda guerra mondiale. Questo anche se, stando ai racconti dei nostri nonni, qualcuno di quelli che si annoverava nelle truppe partigiane locali non ha lasciato nella comunità rocchese propriamente un bel ricordo, anzi".
Tuttavia, ha scritto Lajolo, "sono certo della sensibilità e di come i docenti sappiano trasmettere ai ragazzi i contenuti storici senza influenze di una compagine o dell'altra, lasciando ai genitori dei rispettivi le opportune valutazioni. Ho spiegato ai ragazzi come la guerra non abbia vinti o vincitori, ma solo perdenti e terribili atrocità. Sta anche, e soprattutto, nelle loro mani di futuri adulti, crescere e vivere in modo da scongiurare sempre e comunque ogni tipo di violenza, sopruso e conflitto".
Il chiarimento di Lajolo: "Non voglio passare per il sindaco che diffonde la storia partigiana"
Abbiamo quindi chiesto un chiarimento proprio ad Alessandro Lajolo, in modo da farci raccontare in maniera più ampia la sua idea della Resistenza. La versione che Lajolo ha fornito nel suo post è totalmente confermata: "Ho grande rispetto - premette al telefono - degli eventi storici che sono accaduti e che hanno segnato le pagine di storia legate agli accadimenti bellici".
Per Lajolo "parlare della guerra quando si è in tempo di pace è impossibile se non facendo una affermazione chiara: la guerra va evitata in tutti i modi".
Lajolo passa poi al cuore dell'argomentazione: "Il territorio rocchese in quel periodo, in base al racconto di molti dei nostri nonni, non ha vissuto tanto la tragedia bellica, e quindi i bombardamenti come successo a Torino o a Ciriè, ma purtroppo la comunità rocchese è stata vittima di razzie e scorribande da parte di alcuni soggetti che si annoveravano o autonomamente o legittimamente nelle truppe partigiane. Questi soggetti scendevano a valle e rubavano, razziavano, stupravano e facevano ciò che la guerra porta gli uomini a fare".
Il peso di questi eventi sarebbe stato talmente forte che, per Lajolo, "la Liberazione qui la ricordiamo con queste tragiche storie". E quindi per il primo cittadino "è importante trasmettere ai nostri figli il cenno storico come rappresentanti delle istituzioni", insomma, è importante parlare in maniera oggettiva e neutra di quegli eventi, "dopodiché le interpretazioni vanno lasciate alle persone".
Alessandro Lajolo, sindaco di Rocca
In quel caso si trattava di una lezione a scuola, e per Lajolo a maggior ragione "parlare a un ragazzino che fa prima o seconda media di questi fatti è forse un po' presto, e quindi i professori, che sono la figura preposta per la narrazione storica, hanno il compito di farlo in questo modo".
Insomma, Lajolo non vuole "essere additato come sindaco che promuove la storia partigiana nelle scuole, perché qualcuno potrebbe dirmi 'ma sindaco, ti ricordi quando i partigiani stupravano le nostre nonne?". Il sindaco poi corregge parzialmente il tiro: "Certo, magari non erano partigiani ma solo delinquenti, e poi quando parleremo dei fascisti ne avrò sicuramente anche per loro, che arrivavano con la bottiglia di olio di ricino e facevano ciò che tutti sappiamo".
Le affermazioni di Lajolo lasciano spazio a qualche domanda: si può parlare di una sorta di "terzietà" storica rispetto alla lotta di Liberazione? Si può equiparare l'eventuale e rarissima efferatezza di alcuni gruppi partigiani verso i civili a quella, sistematica e assurda, dei repubblichini?
Basti ricordare alcuni episodi accaduti sul territorio canavesano. Come il vigliacco eccidio di Boschi di Barbania, accaduto il 3 settembre 1944 e perpetrato dalle forze repubblichine e tedesche, che, come rappresaglia in seguito a un attacco partigiano, incendiarono le case della frazione con i lanciafiamme, distruggendone settantanove su ottantatré, tra cui la scuola, e spararono colpi di mortaio anche nei boschi dove si era rifugiata la popolazione. Sette abitanti del luogo furono catturati e fucilati.
Resta quindi l'ultima domanda: può un sindaco dell'Italia repubblicana farsi promotore di questa lettura "imparziale" della Resistenza?
"Noi non siamo equidistanti, perché la nostra parte è quella della democrazia e dell'eguaglianza"
Ognuno dia la sua risposta. Noi, la nostra, l'abbiamo chiesta a Nino Boeti, presidente dell'Anpi provinciale di Torino. "Noi dell'Anpi - dice Boeti a La Voce - teniamo affinché la storia sia raccontata correttamente. Bisogna raccontare, soprattutto in questi giorni, la tragedia dell'Olocausto che ha causato sei milioni di morti tra gli ebrei. E bisogna anche ricordare che la Shoah fu preceduta dalle leggi razziali italiane, e che in quel periodo gli italiani furono conniventi e indifferenti".
Conniventi furono ad esempio di professori universitari, "che non dissero niente - racconta Boeti - quando videro che i colleghi ebrei venivano portati via dal loro ruolo. Come conniventi furono i commercianti, che non si opposero alla chiusura dei negozi dei colleghi ebrei perché tanto, dissero, almeno c'era un po' di concorrenza in meno".
Boeti tiene molto a rimarcare come "quelle leggi razziali portano un nome e un cognome, quello del partito Fascista e di Benito Mussolini. Gli italiani sono quelli che hanno contribuito, alleandosi coi nazisti, a portare in Europa la strage dell'Olocausto. Noi vogliamo che nelle scuole la storia sia raccontata per così come è accaduta, e nessun professore può dire nulla di diverso".
Nino Boeti
E la storia "per così come è accaduta" dice che "il fascismo in Italia è stato solo violenza e sopraffazione", e che gli italiani furono responsabili di tutto quello che è successo. Noi non siamo equidistanti, siamo di parte, perché la nostra parte è quella della democrazia e dell'uguaglianza".
E cosa risponde Boeti a chi dice che i partigiani razziarono, stuprarono e rubarono ai civili che incontravano per la propria strada? "Non so chi o cosa possano avere stuprato o rubato i partigiani - risponde - soprattutto quelli piemontesi, perché il Piemonte ha ricevuto la medaglia d'oro al valore civile, consegnata dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella nella sede del consiglio regionale".
Quello che emerge dalle ricostruzioni storiche, dice Boeti, è che "la popolazione piemontese accudiva i partigiani, offriva loro un letto caldo e preparava loro un piatto di polenta quando poteva. I piemontesi nascosero anche gli ebrei nelle loro case proprio per sottrarli alla ferocia dei fascisti. Non capisco quindi come un partigiano abbia potuto stuprare o uccidere chi lo proteggeva".
Si tratta, per Boeti, "di una bugia di chi pensa che oggi si possa fare pari e patta tra fascisti e partigiani".
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