Cerca

Economia

Britishvolt fallita. Stessa sorte per Italvolt?

La notizia arriva dall'Inghilterra. Carlstrom è nei guai seri

Lars Carlstrom

Lars Carlstrom

La notizia, che sta facendo il giro del mondo, arriva da oltremanica ed è la decisione di mettere in "amministrazione controllata" Britishvolt, la start-up che mirava a diventare uno dei principali produttori di batterie agli ioni di litio d'Europa. Molto preoccupati quei tanti che in Cavanese avevano gli occhi puntati su Italvolt, società italiana con un piano industriale simile. Britishvolt ha avuto, infatti, fino a due anni fa, quando si dimise, lo stesso CEO di Italvolt, Lars Carlstrom.

Stando al progetto iniziale, entro il 2024, Britishvolt avrebbe dovuto produrre centinaia di migliaia di batterie agli ioni di litio all'anno. Fondata nel 2019 dagli imprenditori svedesi Orral Nadjari e Lars Carlstrom, Britishvolt è nata con piani ambiziosi: la costruzione di uno stabilimento nel Northumberland, la creazione di 3.000 posti di lavoro diretti e 5.000 nell'indotto. Purtroppo non è mai riuscita a raccogliere i soldi necessari per andare fino in fondo.

Stando a quel che se ne sa, dal suo lancio, nel 2019, avrebbe raccolto qualcosa come 2,5 miliardi di dollari di impegni di finanziamento, tra cui 100 milioni di sterline (circa 113 milioni di euro) dal governo britannico.

Nel 2022, in occasione dell'annuncio, l'allora primo ministro britannico Boris Johnson definì l'impianto "una forte testimonianza sulla presenza di lavoratori qualificati del nord-est e sul ruolo del Regno Unito come leader della rivoluzione industriale verde globale". Seguì il sostegno all'iniziativa di diverse case automobilistiche come Lotus e Aston Martin e di diverse grandi aziende per un investimento totale di 200 milioni di sterline.

Qualche mese dopo, ad agosto, l'annuncio del licenziamento della maggior parte dei 232 dipendenti e delle dimissioni di Najdari, sostituito dall'ex dirigente di Ford Graham Hoare, con il ruolo di presidente delle operazioni globali.

Troppo tardi considerando che l'azienda aveva già accumulato un monte salari arretrato di 3 milioni di sterline tanto da annunciare (siamo ad ottobre) di aver bisogno di 200 milioni di sterline per arrivare all'estate del 2023. Tropppi per gli investitori e pure per il Governo britannico.

Tra i principali motivi della catastrofe, almeno questo dicono nel Regno Unito, il fatto che i fondatori non avessero esperienza nel settore dei veicoli elettrici, a cui si erano avvicinati con un approccio più simile a quello di una startup  e ricorrendo per esempio all'autofinanziamento, oltre a fare promesse su una futura crescita. 

S'aggiunge che in alcune occasioni Britishvolt si sarebbe comportata come se non avesse problemi di liquidità. Era stata affittata una villa da 2,8 milioni di sterline per i propri dirigenti e pare che i due fondatori, per qualche tempo, facessero avanti e indietro dagli edifici di Britishvolt in jet privato. Il Guardian ha riportato che il personale aveva accesso a lezioni di yoga impartite da un istruttore di fitness di Dubai. Altra chicca: tutti i dipendenti che lavoravano in sede avrebbero ricevuto monitor Lg da 35 pollici e un dock con un prezzo di listino complessivo vicino ai mille euro.  

Non è chiaro cosa succederà alla società e ai suoi beni. Dan Hurd, socio di Ey-Parthenon, la società incaricata di supervisionare l'insolvenza e l'amministrazione dell'azienda, ha indicato in un comunicato come priorità la protezione degli interessi dei creditori dell'azienda, il vaglio delle opzioni per la vendita dell'azienda e dei suoi beni e il sostegno ai dipendenti. Il Dipartimento britannico per le imprese, l'energia e la strategia industriale, che un anno fa aveva sostenuto Britishvolt con grande entusiasmo, ha rifiutato di fornire una dichiarazione.

Morale? A leggere questa cronaca viene in mente quel che Lars Carstrom sta cercando di fare in Italia. Anche Italvolt, fondata nel 2020, ha annunciato la costruzione di una GigaFactory europea, negli ex stabilimenti Olivetti di Scarmagno, per la produzione di batterie. Anche Italvolt ha ambiziosi piani per la creazione di posti di lavoro e per diventare la risposta europea a Tesla.

Il premier Meloni

Da qui in avanti la domanda è: il Governo Meloni si fiderà di Lars Calstrom? E la Commissione Europea? Anche a Bruxelles prima di autorizzare  l’investimento dovranno fidarsi di lui. Diciamo che se tutti si fideranno della Italvolt, Carlstrom potrà andare alla ricerca di altri soci finanziatori. Oppure sarà vero il contrario e cioè che solo se Lars Calstrom riuscirà a trovare dei soci finanziatori, il Governo si fiderà di lui.  Il finale è, insomma, ancora tutto da scrivere o forse è già scritto: a Scarmagno resterà l'erba alta e gli edifici continueranno inesorabilmente a sgretolarsi giorni dopo giorno sempre di più. Colpa del tempo, governo ladro....

I nostri dubbi nel febbraio del 2021

Brindisi con spumante di quello buono. Balli caraibici e  pupille che si arrotolavano su se stesse non potendo credere  ai propri occhi. La notizia di una super azienda per la super batteria in quel di Scarmagno nei primi mesi del 2021 aveva scaldato gli animi di un bel po' di persone a cominciare dal presidente di Confindustria Canavese Patrizia Paglia, passando dal sindaco di Ivrea Stefano Sertoli, a quello di Scarmagno Adriano Grassino e a un bel numero di consiglieri regionali, non in ultima il leghista Andrea Cane, tanto per citarne uno. Talmente incredibile da indurre la vicesindaca di Ivrea Elisabetta Piccoli a farsi fregio del "successo" con una nota nella relazione programmatica al bilancio... 

Carlstrom con gli amministratori pubblici del Canavese

Perchè significava ripresa, voglia di ricominciare. Significava posti di lavoro. Soldi. Benessere. La domanda oggi come ieri era una soltanto e non ce la eravamo fatta dandoci più di una risposta: quanto ci si poteva fidare del Ceo di Italvolt Spa, lo svedese Lars Carlstrom, il cui cognome, nella lingua originale, si scrive con due puntini sulla “o”. 

La risposta è: “boh”.

Di lui, oltre all’età (57 anni) si sapeva solo quel che avevano scritto i tabloid inglesi, non foss’altro che, alcune settimane prima, aveva rassegnato le dimissioni dalla presidenza di una società inglese che aveva contribuito a fondare, anche questa impegnata nella costruzione di un mega stabilimento per la produzione di batterie al litio.

Obiettivo? Tremila dipendenti.... Il nome dell’azienda? Britishvolt

Sembrava una barzelletta, purtroppo non lo era. Molto serio era, infatti, il motivo per cui si era dimesso. Lo aveva fatto in seguito alla notizia, diffusa a piene mani, di una sua condanna per frode fiscale in Svezia, risalente a circa 25 anni prima.

Otto mesi di carcere e il divieto ad esercitare attività commerciali per quattro anni. 

Pena poi ridotta a  60 ore di lavoro socialmente utile.

“Sono a conoscenza di questa accusa - si era difeso Lars Carlstrom con i giornalisti d’oltre Manica - Per questo, data l’importanza dell’operazione che vuole mettere il Regno Unito in prima linea nell’industria globale delle batterie e non desiderando affatto di diventare un impedimento, mi faccio da parte con effetto immediato...”.

E non era ancora finita lì. Stando alle cronache, lo svedese avrebbe avuto legami con il poco raccomandabile uomo d’affari russo Vladimir Antonov durante il tentativo di salvataggio della casa automobilistica svedese Saab.

Un’operazione  bloccata dalla Banca europea per gli investimenti. 

Epperò Antonov, nel Regno Unico, si era fatto conoscere per ben altro e come presidente, per poco più di 6 mesi, nel 2011, del Portsmouth FC, poi passato all’Amministrazione controllata.

Arrestato  a Londra pochi giorni prima di dimettersi dal club, in seguito ad un mandato di cattura europeo emesso dall’Autorità giudiziaria della Lituania interessata ad approfondire una presunta distrazione di quasi mezzo miliardo di euro di una banca fallita, la Snoras, di cui era l’azionista di maggioranza.

Seguì la fuga in Russia, pochi giorni dopo l’estradizione negata.

Si dirà... Che cosa c’entrava tutto questo con Carlstrom

Nulla, salvo il fatto che Carlstrom avesse aiutato Antonov ad aprire una filiale di Snoras in Svezia e, più o meno nello stesso periodo, il 2011, un giornale svedese (Realtid) riferiva che una delle società del signor Carlstrom era sotto indagine per una fattura non pagata di 215.000 corone svedesi e di un debito non onorato di 1,5 milioni di corone nei confronti di un studio legale londinese Reynolds Porter Chamberlain.

Alcuni siti inglesi  riferivano poi che “prima di fondare Britishvolt”,  Carlstrom, grande appassionato di golf, avrebbe lavorato alla  Jool Capital Partner  di Göteborg, una grossa società di consulenza finanziaria e di raccolta fondi. 

Alla Jool Capital (almeno fino al 2018) avrebbe lavorato  anche Orral Nadjari, che nel 2021 ha preso il posto di Carlstrom alla Britishvolt. A lui (a Orral nadjari) si deve una delle più grandi raccolte fondi mai realizzate in Svezia pari a 335 milioni di corone nel 2016 ben poca roba rispetto ai miliardi che avrebbe dovuto raccogliere per Britishvolt. Da qui la richiesta di un sostegno al Governo e l'impegno (mai accertato) di sostenitori internazionali ​​degli Emirati Arabi Uniti e della Scandinavia.

Nel luglio del 2021, il Financial Times riferiva che la Britishvolt stava pianificando una quotazione in borsa per raccogliere tra i  300 milioni e i 400 milioni di sterline.

La presa per i fondelli...

A prescindere da Carlstrom, nel settore delle batterie per auto sono in tanti ad essersi buttati. Perchè l’automotive va in questa direzione, ma anche perchè l’Europa ha deciso di investire un bel mucchio di quattrini con dei veri e propri “Aiuti di Stato” ed è la prima volta che capita.

Carlstrom con l'ex presidente di Confindustria Patrizia Paglia

Obiettivo dichiarato: limitare la dipendenza dall’estero e soprattutto dalla Cina. Francia e Germania hanno fatto nascere un consorzio (Battery alliance), dal quale l’Italia, con il governo Pd-Cinquestelle era rimasta fuori, anche dal “board”.

Con Mario Draghi, almeno in teoria, si sarebbe dovuta inserire la quinta marcia. Certo sarebbe stato decisamente più “bello” se il progetto di una gigaafactory in quel di Scarmagno o in una qualsiasi altra parte d’Italia lo avesse  firmato l’Ad di Stellantis o di Volkswagen. Un imprenditore con i soldi. Uno a cui piacciono le catene di montaggio. Come si faceva una volta, insomma. All’interesse finanziario si sarebbe aggiunto un vero e proprio interesse alla produzione, ma tant’è!

E’ un po’ pochino? Diciamo di sì!

Per questo, qualche mese fa avevamo chiuso uno dei nostri approfondimenti con una supplica. Quel che si chiedeva a Carlstrom era di non prenderci per i fondelli come già in tanti hanno fatto in questi ultimi 30 anni in cui si è solo ed esclusivamente assistito ad aziende che chiudono o a imprenditori che investono i soldi dello Stato per poi scappare via. Quel che si chiedeva a Carlstrom era di non approfittare della disperazione che c’è, capace di tutto anche a farci credere in un nuovo miracolo economico...

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edicola digitale

Logo Federazione Italiana Liberi Editori