Lo scorso 8 gennaio, per definire l’arlecchinesca presa del Campidoglio di Washington, il quotidiano francese «Le Figaro» è ricorso all’espressione «assalto dantesco», precisando che era opera delle «orde pro-Trump». Mai titolo fu più azzeccato. Come definire, d’altronde, le prodezze dell’inverosimile folla aizzata dallo «sciamano» a stelle e strisce, già segnalatosi nei cortei della nota attivista svedese Greta Thunberg? In fondo, l’immagine reale o metaforica delle Malebolge dantesche, simbolo di baraonda, putiferio e scompiglio, appartiene pienamente alla cultura occidentale. E svela tutta l’attualità del «sommo poeta» nell’anno in cui gli si rende omaggio, essendo deceduto sette secoli or sono, la notte fra il 13 e il 14 settembre 1321. Senza scomodare Dan Brown e il suo thriller «Inferno», disseminato d’incongruenze, l’Alighieri è ben vivo oltreoceano. Proprio a Washington, nel Meridian Hill Park, a meno di tre miglia e mezzo da Capitol Hill, sorge un bel monumento al padre della lingua italiana. Eretto nel 1921 in concomitanza col sesto centenario della morte di Dante, è opera dell’artista siciliano Ettore Ximenes (1855-1926). In realtà si tratta di una copia: l’originale è a New York, nel Dante Park di Manhattan, di fronte al Lincoln Center.
La statua di Dante nel Meridian Hill Park di Washington
Anche a Parigi, dove ha sede «Le Figaro», aleggia lo spirito dell’Alighieri: nel quartiere amministrativo della Sorbona (quinto «arrondissement»), oltre alla statua bronzea innalzatagli nel 1882, esiste la «rue Dante», l’antica «rue du Fouarre», che il poeta menziona nel decimo canto del Paradiso, evocando il filosofo Sigieri di Brabante che insegnò nel «vico de li Strami». Più di uno studioso ritiene che Dante abbia soggiornato proprio da quelle parti, quando frequentava la Sorbona. In Italia, «nave sanza nocchiere in gran tempesta», la situazione è un po’ più complessa. Mentre fervono i preparativi per l’anniversario dantesco, qualche invasato alla ricerca di visibilità e finanziamenti pubblici vorrebbe censurare la Commedia perché intrisa di supposti contenuti razzisti, misogini e islamofobi, oltreché antisemiti e omofobi. In sostanza, una vera schifezza. Ahinoi! Rincuoriamoci pensando che gli indignati moralizzatori troveranno sicuramente un posto nelle «orde» dantesche di Capitol Hill. In realtà, fuor di metafora, i titoli dei giornali e le polemiche all’insegna del «politically correct» confermano che l’Alighieri è un autore molto moderno. La Commedia, in particolare, trascende il tempo. Al poeta, infatti, interessa l’essenza inalterabile dell’uomo e non le accidentalità che sono mutevolissime. Esule e perseguitato, estraneo ai compromessi avvilenti, Dante ci parla di politica. Ci sollecita a riflettere sul significato della vita, sul destino dell’uomo e sull’aldilà. Stimola ognuno di noi ad assumersi la responsabilità delle sue azioni. Guidati dal proprio intelletto, le persone – ci ammonisce nel sedicesimo canto del Purgatorio, dove è sviluppato il tema del libero arbitrio – possono sempre scegliere fra il bene e il male. Primo Levi racconta che, nel lager di Auschwitz-Monowitz, cercò di spiegare allo studente alsaziano Jean Samuel, ebreo, il ventiseiesimo canto dell’Inferno, quello di Ulisse. E osserva: «Ha ricevuto il messaggio, ha sentito che lo riguarda, che riguarda tutti gli uomini in travaglio, e noi in specie; e che riguarda noi due, che osiamo ragionare di queste cose». Quei versi gli erano indispensabili per salvaguardare la sua dignità, fra «genti dolorose», in un inferno a cui «la divina potestate, la somma sapienza e ʻl primo amore» risultavano affatto estranei. È per tali ragioni che l’argentino Jorge Luis Borges (1899-1986), uno fra i maggiori scrittori novecenteschi, poteva sostenere che la Commedia è «l’apice della letteratura e delle letterature».
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