Vigilia di apertura delle scuole, ma non per tutti. Sono infatti oltre un milione le bambine e i bambini tra zero e tre anni esclusi dagli asili nido. Un'impossibilità dettata da motivi diversi: a volte per scelta delle famiglie ma, soprattutto, perché 'respinti', tra una scarsa offerta pubblica, in progressivo definanziamento, e l'esosa richiesta privata. A sottolineare questo dato è una elaborazione della Fp Cgil Nazionale, condotta sui dati Istat relativi all'offerta comunale di asili nido e altri servizi socio-educativi per la prima infanzia in parallelo con le rilevazioni della banca dati I.Stat, per denunciare "come sia necessario invertire la rotta sugli investimenti sul personale che opera nel settore, attraverso nuove assunzioni, percorsi di riqualificazione e rinnovo del contratto nazionale". Entrando nel dettaglio dell'elaborato, che rilancia la campagna della categoria dietro le parole '#ChiedoAsilo: perché l'asilo nido sia un diritto e non più un servizio a domanda individuale', la Fp Cgil riporta come l'Istat abbia censito sull'intero territorio nazionale, per l'anno scolastico 2016-2017, 13.147 servizi socio-educativi per l'infanzia, tra pubblici e privati, di cui 11.017 sono asili nido. Una mole tale da coprire nel complesso circa 354 mila bambine e bambini, in poco più della metà dei casi allocati in posti pubblici, e di cui 320 mila nei nidi. Numeri che corrispondono al 24% del potenziale bacino di utenza, ovvero 24 posti ogni 100 bambini, ancora ben al di sotto da quel 33% fissato dall'Unione Europea nella (passata) strategia di Lisbona che prevedeva entro il 2010 una copertura pari al 33%. Parametro ampiamente superato al centro nord (Valle d'Aosta record con il 44,/%, ma anche Emilia Romagna, Toscana, Provincia di Trento) mentre nel Mezzogiorno si è ancora molto lontani: in Abruzzo, Molise e Sardegna i posti privati e pubblici superano il 20%, con il minimo del 7,6% di copertura in Campania. Diminuiscono i nidi gestiti dai comuni a favore di una crescente scelta delle amministrazioni a forme di privatizzazioni o servizi privati puri. In particolare la spesa dei comuni per i nidi ha smesso di crescere, passando da 1,6 miliardi di euro del 2012 a 1,475 miliardi del 2016. Nonostante ciò la compartecipazione delle famiglie cresce dal 2004 al 2014 passando dal 17% al 20% della spesa corrente impegnata dai Comuni. La spesa media dei comuni a livello regionale varia drasticamente: per un bambino della Calabria i comuni stanziano in media solo 88 euro per i servizi offerti, contro i 2.209 euro del Trentino. Gli addetti ai servizi socio educativi sono in prevalenza donne, 181.170 lavoratrici a fronte di circa 2 mila lavoratori. Ma lavorare negli asili nido è anche usurante, in particolare perché sta aumentando le età: tra le donne il 68% su piano nazionale ha più di 40 anni. Inoltre, almeno il 50% delle lavoratrici degli asili nido e delle scuole per l'infanzia riscontra la presenza di problemi fisici alla schiena e ha vissuto aggressioni verbali ai loro danni nella relazione con i genitori dei bambini. "Per raggiungere la quota del 33% di copertura - spiega la Fp Cgil - garantire risorse per 2,6 miliardi di euro, da tradurre in costruzione di nuovi asili e nell'assunzione di almeno 20 mila docenti nel segmento 0-3. Non è con la video sorveglianza che garantiremo un futuro al paese. Non è possibile che l'unica risposta negli ultimi anni sia quella delle somme stanziate per l'installazione di impianti per la video sorveglianza permanente: la scelta recentemente fatta dal Parlamento è una scelta sbagliata. Solo un servizio universale e pubblico è garanzia di qualità".
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