"Più soldi alla cultura" già con la prossima finanziaria. Ma anche assunzioni mirate "per archivi, biblioteche, soprintendenze e musei", attenzione per i giovani, progetti per le periferie, ridefinizione del rapporto pubblico/privato, visibilità e sostegno di Stato per tutti i settori della cultura, dalla lirica alla moda. Parlantina sicura e un fascio di slide per fissare le sue priorità, il neo ministro dei Beni culturali Bonisoli racconta pacato ai parlamentari la sua idea di rivoluzione culturale. Per il momento senza numeri né obiettivi concreti, come qualche parlamentare dell'opposizione nella sala del Mappamondo gli fa notare, ma con un progetto d'insieme che lui stesso non esita a definire "ambizioso". "I tempi dei tagli della cultura sono finiti, chi è arrivato prima di me ha già fatto molto, ma la nostra ambizione è alta, puntiamo a un cambio di passo", premette il tecnico Cinquestelle, dopo aver rassicurato i parlamentari ("molti in questa sala sono nuovi") sulla sua disponibilità all'ascolto e al confronto. Nessun discorso scritto, il manager alla sua prima esperienza di 'dipendente pubblico', come si definisce lui stesso sorridendo alla folla di parlamentari seduti nei banchi del grande salone di Montecitorio, parla a braccio per oltre un'ora elencando principi fondamentali, priorità, progetti, aspettative. Per poi soffermarsi sulle questioni più dibattute, dalla tutela alla valorizzazione, dalla formazione alla necessità di una legge per lo spettacolo dal vivo, dai finanziamenti per lo spettacolo a quelli per il cinema. Sul grande schermo al suo fianco scorrono quindici slide, ognuna divisa in cinque capitoli. La partenza è sui soldi, argomento fondamentale per un settore che negli ultimi decenni è stato martoriato dai tagli e per un ministero, che nonostante "i passi avanti di chi mi ha preceduto" continua ad essere a corto di risorse e di personale. Un maggiore finanziamento della cultura, assicura Bonisoli, "è tra i principi fondanti" del suo mandato e del governo. "Cultura per coltivare la memoria storica e vivere il presente, costruendo ponti utili al progresso civile e al superamento delle distanze tra le civiltà", arringa sicuro. Fratoianni di Leu gli fa notare che il governo in cui milita, in particolare con la politica verso i migranti, non sembra lavorare molto per i ponti tra civiltà. A lui come a tutti i parlamentari, il ministro risponderà la prossima settimana. Intanto spiega di essere tutto sommato contento di non avere più la responsabilità del turismo ("ci focalizzeremo di più sui beni e le attività culturali"), chiarisce di voler lavorare "in trasparenza" e con il coinvolgimento di tutti, garantisce che a dispetto delle polemiche e delle insoddisfazioni interne per il momento non smonterà la nuova organizzazione del ministero voluta da Franceschini ("Non si può rischiare di creare un ulteriore spaesamento"), anche se qualche correttivo sarà necessario, a partire da una massiccia digitalizzazione della macchina. Tanti gli argomenti caldi, dal rapporto pubblico privato ("Vengo dal privato, il privato mi piace ma bisognerà definire regole chiare") alla 18App introdotta dal governo Renzi ("Dal 2019 si cambia, aperture a tutti i giovani e attenzione ai più disagiati, non siamo tutti uguali, le industrie creative ci aiutino"), dalla corsa per Matera 2019 fino alle domeniche gratuite nei musei, che annuncia di voler superare: "Fino a settembre rimangono, a ottobre non lo so, a novembre vedremo". Niente da dire sul successo dell'iniziativa lanciata da Franceschini, che è servita per richiamare l'attenzione popolare sul patrimonio e far crescere i visitatori, ma "le opportunità da vagliare sono tante". Tant'è, i temi su cui il ministro lombardo si scalda di più sono quelli dell'occupazione ("Il ministero ha bisogno di migliaia di assunzioni, dobbiamo trovare i soldi per farle e poi concorsi per assumere professionalità riconosciute e senza contratti precari") e della necessità di puntare sul Sud e sulle aree disagiate del paese, le periferie. Senza dimenticare la moda, suo primo amore: "Dobbiamo darle visibilità, assurdo che proprio in Italia la moda non abbia neanche un museo".
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