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ROMA. Terrorismo: Halili l'ideologo, jihad è ordine Allah

"I soldati dello Stato islamico sono emigrati nelle terre del Jihad per adempiere all'ordine di Allah, sacrificando le loro vite e il loro sangue...Accorri al supporto del Califfato Islamico!...il Califfato ha allargato i propri territori". Elmahdi Halili cercava lupi solitari da arruolare alla guerra santa, giovani immigrati di seconda generazione e convertiti italiani da radicalizzare fino a trasformarli in terroristi pronti a compiere attentati. L'ideologo italiano dell'Isis è un giovane perito elettronico di 23 anni, nato il giorno di Capodanno del 1995 e cresciuto nella provincia torinese. Gli uomini dell'Antiterrorismo che sono andati a prenderlo a casa a Lanzo non lo hanno mai mollato da quando, 3 anni fa, scoprirono che c'era lui dietro il primo testo "organico" di propaganda dell'Is interamente in italiano. Lui l'aveva pensato, scritto e diffuso sul web. "Lo Stato islamico, una realtà che ti vorrebbe comunicare" è il titolo del documento di 64 pagine, che gli è costato una condanna a due anni. Lo stesso Halili, nella premessa, ne spiegava il significato: "ho deciso di scrivere questo testo per cercare di presentare in modo riassuntivo una realtà di cui si parla molto: l'Is, qualcosa che tutti conoscono tramite i media accusatori ma non tramite i media degli accusati". Il testo contiene foto e grafici, sermoni e video dei suoi 'padri spirituali' - il portavoce dell'Is Al Adnani, ucciso ad Aleppo nel 2016, e il 'Bin Laden di internet' Anwar Al Awlaki - interviste ai responsabili dell'ufficio della produzione del pane e per la protezione dei consumatori. Halili esalta poi la Sharia, grazie alla quale "si è instaurata una reale sicurezza per i cittadini dello Stato" e dedica un capitolo alla polizia dell'Isis, il cui compito più importante è "eliminare qualsiasi forma di Shirk (politeismo) dai territori controllati dallo Stato Islamico", distruggendo "qualsiasi tempio o tomba in cui viene adorato qualcun altro all'infuori di Allah". Parole e immagini che avevano in realtà un solo scopo: fare proseliti, portare alla causa dell'Is nuovi mujaheddin. E non è un caso, sottolineano gli investigatori, che proprio dopo aver subito la condanna Halili abbia accelerato il percorso di radicalizzazione, intensificando l'indottrinamento dei 'prescelti'. Tra loro giovani stranieri, soggetti spesso conosciuti dalle forze di polizia, che Halili incontrava nei bar e nelle piazze di Torino e provincia. E italiani, come Luca Aleotti, 34enne convertito di Reggio Emilia, ex amministratore della pagina Facebook 'Musulmani d'Italia' - poi chiusa - e sottoposto per diverso tempo a regime di sorveglianza speciale. "L'islam è equilibrio tra due sentimenti - spiegava agli uni e agli altri - amore per i credenti e odio per i miscredenti". Ma Halili era pure in contatto con Abderrahim Moutaharrik e Abderrahmane Khachia, il primo campione di kickboxing di Lecco il secondo fratello di un 'martire' morto in Siria dopo esser stato espulso dall'Italia, arrestati ad aprile 2016. Due soggetti, scrissero i giudici, "fortemente determinati a porre in essere attentati terroristici, uccidendo gli occidentali". Moutaharrik fu arrestato dopo che gli investigatori intercettarono un messaggio Whatsapp direttamente dalla Siria. "Ascolta lo sceicco, colpisci, fai esplodere la tua cintura nelle folle dicendo 'Allah Akbar'." Gli obiettivi erano l'ambasciata israeliana a Roma e il Vaticano. Sia Moutaharrik sia Khachia sono in carcere dove stanno scontando una condanna a 6 anni e a 5 anni e 4 mesi. Da oggi c'è anche Halili, senza pentimenti: "Tiranni!. Vado in prigione a testa alta. Sono fiero di andarci per Allah".
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