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24 Novembre 2016 - 10:36
Bruno Caccia
Nell'ambito del processo davanti alla Corte d'Assise di Milano che vede imputato Rocco Schirripa come presunto esecutore materiale dell'omicidio nel 1983 del procuratore di Torino Bruno Caccia è stato ascoltato oggi Placido Barresi. L'affiliato del clan ha detto di aver provato "terrore", quando ricevette una "lettera anonima", all'idea di perdere il regime di semilibertà con cui sta scontando l'ergastolo per associazione mafiosa.
Già assolto in via definitiva nel processo in cui è stato condannato Domenico Belfiore come mandante dell'omicidio del magistrato piemontese, l'esponente del clan, ascoltato come testimone, ha negato ogni coinvolgimento con il delitto avvenuto 33 anni fa. Barresi ha confermato in aula le dichiarazioni già rese in sede di interrogatorio davanti al pm Marcello Tatangelo, tra cui quelle sul merito delle conversazioni avute con il cognato Domenico Belfiore nella sua casa di Chivasso, dopo la scarcerazione nel giugno 2015 per motivi di salute del boss condannato per essere stato il mandante del delitto Caccia.
Barresi, inoltre, ha parlato proprio di quella lettera anonima che conteneva un articolo sull'omicidio e, sul retro della fotocopia, i nomi di presunti autori del delitto, tra cui il suo e quello dello stesso Schirripa, che è stato incastrato proprio attraverso quella missiva inviata dagli investigatori a Belfiore. Barresi ha spiegato che aveva intuito che potesse trattarsi di un escamotage delle forze dell'ordine ed era, dunque, "preoccupato che Schirripa avesse detto a qualcuno di essere l'esecutore del delitto, e indicato me tra i mandanti dell'omicidio". Barresi ha affermato poi che sia le conversazioni avute con il cognato che l'atteggiamento di Schirripa durante un loro incontro seguito alla ricezione della lettera, gli avevano fatto nascere il "sospetto personale" che il panettiere potesse essere l'esecutore del delitto, ma ha negato di avere mai saputo chi fosse l'autore dell'omicidio del procuratore.
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