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ROMA. Renzi vuole svolta in Pd; Bersani, ritrovi umiltà

Matteo Renzi è consapevole di essere al suo tornante più difficile: la sconfitta alle comunali, anche se non ha conseguenze sul governo, pesa in vista della "madre di tutte le battaglie", il referendum di ottobre, da cui il premier fa dipendere il suo futuro politico. Pur non credendo agli ultimi sondaggi, in base ai quale il fronte del no è cresciuto dopo le amministrative, il premier vuole una svolta nel Pd per rafforzare la macchina organizzativa e la presenza sul territorio. In questa chiave si sta ragionando su una segreteria politica con Lorenzo Guerini nel ruolo di vicesegretario unico e personalità che conoscono il territorio, come Nicola Zingaretti o Vasco Errani, da oggi pienamente assolto.

Ma il rilancio del Pd non passa solo dall'organigramma. La frattura con la minoranza, ormai da tempo separata in casa, si è allargata dopo il voto di domenica. "Abbiamo perso perché abbiamo perso il contatto con la realtà che non è quella che Renzi ci sta raccontando. Ci vuole umiltà", chiede Pier Luigi Bersani che accusa il governo di essere troppo vicino all'establishment e troppo lontano dalle difficoltà reali dei cittadini. Nessuna richiesta di dimissioni per il segretario arriverà dalla riunione della sinistra interna di giovedì ma le accuse non sono meno pesanti ed indicano errori sia nella gestione del partito sia nell'agenda di governo. E gli inviti a cambiare rotta arrivano anche da fedelissimi, come Piero Fassino che chiede "una riflessione non per cercare capri espiatori ma per rilanciare il ruolo di primo partito italiano".

Sull'esigenza di cambiamento Renzi concorda ma non accetta l'accusa di aver ceduto ai poteri forti o di aver fatto riforme che non hanno rimesso in pista l'Italia anche a livello internazionale. Se ai ministri l'indicazione è di spendersi ancora di più, è sul Pd che il leader riconosce che la macchina va ritarata e rafforzata. L'intenzione, ma è solo una delle ipotesi in campo, è di avvalersi di personalità con un'esperienza amministrativa sul territorio. Non ministri ma piuttosto presidenti di Regione o sindaci. Oggi il premier ha telefonato a Vasco Errani dopo l'assoluzione che vale anche come una riabilitazione politica per l'ex governatore dell'Emilia Romagna. Oltre ad Errani girano i nomi di Zingaretti, il cui sì però sembra difficile proprio nel momento in cui su Roma è arrivata l'onda grillina, Fassino o di sindaci stimati da Renzi come quello di Bari Antonio Decaro. Ma la ristrutturazione del partito sembra un palliativo alla minoranza per risolvere i problemi emersi dalle comunali. "Un rimpasto di segreteria come risposta alla situazione? mi sembra il 'de minimis'", dice scettico Pier Luigi Bersani che chiede "una correzione" per tornare "al profilo di sinistra del Pd".

Accuse e distinguo che danno fastidio e tra i renziani sono intesi solo come passaggi per indebolire il leader dem prima del congresso. Ma Renzi non può permettersi che la guerra tra i dem deflagri, indebolendo la campagna referendaria. E al di là delle minacce di Bersani, che chiede di cambiare toni sul referendum altrimenti non darà il suo contributo, anche tra i fedelissimi si sta facendo largo l'idea della necessità di una campagna referendaria meno aggressiva, più rivolta ai contenuti, e meno personalizzata rispetto al ruolo centrale del premier. "Ci stiamo ragionando ma è vero che nel Pd non abbiamo questi campioni messi in panchina e che ora, rimessi in pista, possono fare la differenza", ammettono alcuni dirigenti. Disponibili a cercare una tregua con la minoranza ma non a cedere, almeno per ora, ad una revisione sull'Italicum, aprendo ora un vaso di Pandora dentro il Pd e in Parlamento che i renziani non possono permettersi.

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