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09 Marzo 2016 - 17:20
Dare scacco matto alla malattia emolitica del neonato (Mefn), una gravissima patologia quasi scomparsa negli USA e in Europa ma che nei Paesi in via di sviluppo colpisce ancora migliaia di bambini. Nasce con questo obiettivo la nuova alleanza tra ricercatori, clinici, ONG e partner industriali denominata CURhE (Consortium for Universal Rh-disease Elimination).
Ogni anno sono oltre 300.000 i piccoli che muoiono o soffrono conseguenze gravi a causa di questa malattia, causata da un'incompatibilità tra il sangue di una donna in stato di gravidanza e quello del feto. Uno dei tratti distintivi del sangue umano è la presenza di una proteina chiamata fattore Rh.
Se si ha questa proteina, si è 'Rh positivi'. Se una donna Rh negativa (che non presenta tale proteina nel sangue) porta in grembo un feto Rh positivo (il gruppo in questo caso è trasmesso dal padre Rh positivo), il bambino - soprattutto nel caso di gravidanze successive alla prima - potrebbe correre un grave pericolo. Il feto potrebbe infatti morire, oppure il neonato potrebbe subire danni al cervello. Sarebbero necessarie parecchie trasfusioni, anche intrauterine, per salvare il bambino. Ecco perché la prevenzione è l'opzione migliore, soprattutto nei Paesi meno sviluppati, dove soluzioni terapeutiche sofisticate spesso non sono disponibili. Il trattamento in profilassi, che impedisce alla madre di sviluppare gli anticorpi anti-Rh, è semplice (una o due iniezioni), disponibile e a basso costo, ma, affermano i ricercatori, ''la mancanza di consapevolezza, la scarsa comunicazione e infrastrutture inadeguate portano a conseguenze tragiche in migliaia di casi, principalmente in Africa e nel Sud-Est asiatico''. Il neonato Consorzio - al quale partecipano anche aziende straniere e l'azienda italiana Kedrion Biopharma - si propone proprio di estendere la prevenzione anche in Asia e Africa. A promuoverlo sono tre esperti mondiali di neonatologia: Alvin Zipursky, dell'Hospital for Sick Children di Toronto; Vinod K. Bhutani, dell'Università di Stanford, e Giuseppe Buonocore dell'Università di Siena.
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