Cerca

ROMA. Cassazione: spinello vietato al lavoro, rovina fiducia

Rovina per sempre il rapporto di fiducia con il datore di lavoro il dipendente che fuma spinelli durante l'orario lavorativo, e sul posto di lavoro. Lo sottolinea la Cassazione confermando il licenziamento per giusta causa di un operaio della Fiat, addetto all'individuazione dei guasti di macchine ed impianti, che aveva fumato due sigarette fatte con sostanze stupefacenti in fabbrica. Al lavoratore era contestato anche di aver passato del tempo a guardare un video su un pc portatile introdotto in azienda senza autorizzazione. Ad avviso della Cassazione - sentenza 20543 - "tenuto conto della specificità dei compiti affidati al lavoratore", il comportamento addebitato e "risultato accertato", "correttamente" è stato "ritenuto idoneo a far venir meno irrimediabilmente la fiducia del datore di lavoro nella correttezza delle future prestazioni lavorative". Così è stato respinto il ricorso di D.F., un operaio di quaranta anni che aveva reclamato contro il licenziamento per giusta causa intimatogli dalla Fiat e confermato dalla Corte di Appello di Torino il 28 giugno 2012. In primo grado, invece, il Tribunale di Torino era stato più 'clemente' e aveva trovato eccessiva la sanzione della perdita del posto di lavoro. Dunque, nonostante il consumo di droghe leggere sia depenalizzato, farne uso sul posto di lavoro mette a rischio il mantenimento dell'impiego perché lede il rapporto di fiducia del datore di lavoro per quanto riguarda la qualità della prestazione lavorativa di chi fuma stupefacenti. A questo proposito, la Corte di Appello aveva osservato che "la sanzione adottata era proporzionata al comportamento addebitato poichè, avuto riguardo al contenuto specifico delle mansioni di manutenzione affidategli, il comportamento del lavoratore contrastava con i doveri di diligenza e fedeltà del lavoratore dipendente connessi al suo inserimento nella struttura e nell'organizzazione aziendale".

Gli 'ermellini' hanno giudicato questa motivazione "logica e adeguata". Hanno inoltre spiegato che "correttamente, la Corte di merito ha preso in considerazione, ai fini della proporzionalità della sanzione del licenziamento, la condotta del prestatore di lavoro sotto il profilo del valore sintomatico che può assumere rispetto ai suoi futuri comportamenti, nonchè all'idoneità a porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento e ad incidere sull'elemento essenziale della fiducia, sotteso al rapporto di lavoro". Oltre a respingere il ricorso dell'operaio, la Sezione lavoro della Cassazione - presidente Giovanni Amoroso, relatore Giuseppe Napoletano - lo ha anche condannato a pagare le spese del giudizio di legittimità liquidate in 3.600 euro.

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edicola digitale

Logo Federazione Italiana Liberi Editori