Il Pd perde voti a sinistra e non ne guadagna a destra: altro che partito della nazione, la strada da seguire è ricostruire il centrosinistra. E' questo il messaggio che la minoranza Dem lancia a Matteo Renzi all'indomani del risultato dei ballottaggi. E al segretario-premier chiede di prendere atto delle sconfitte incassate in Liguria come a Venezia e Arezzo, dando il segno di un cambio di passo. A partire dalla scuola. Perché forte del suo peso in commissione e in Aula la sinistra democrat è determinata a far passare modifiche sostanziose senza sottostare ai "ricatti" del premier. "Per far passare una riforma mediocre, Renzi sta usando il ricatto delle assunzioni, ma non lo consentiremo". E' questa - nelle parole di uno di loro - la denuncia dei senatori più battaglieri della minoranza Pd (sarebbero oltre una decina), pronti a difendere in commissione e in Aula la richiesta ribadita in mattinata da Walter Tocci e Corradino Mineo in un'assemblea del gruppo: subito un decreto per l'assunzione dei centomila precari, stralciandola dal ddl la buona scuola. Eliminare quel macigno, spiegano, vorrebbe dire mettere al sicuro l'inizio dell'anno scolastico (altrimenti a rischio per le annunciate proteste dei precari) e avviare la riforma su binari più sereni, prendendosi qualche settimana in più per l'esame. Se Renzi non sembra accettare la proposta, osserva Miguel Gotor, è perché "con eccesso di spregiudicatezza", vuole "utilizzare le stabilizzazioni per far passare una riforma poco meditata" e insieme "scaricare sul Parlamento (e non sul governo) la responsabilità di un'eventuale mancata assunzione dei precari". E' questo il rischio concreto cui si va incontro se i lavori della commissione Cultura - gravata da oltre 2000 emendamenti e dai pareri della Bilancio che non arrivano - procederanno a rilento come oggi (dieci gli emendamenti votati). Perciò la minoranza avverte che i suoi rappresentanti in commissione (Tocci e Mineo) potrebbero votare l'emendamento per lo stralcio delle assunzioni presentato da Sel all'art. 10: i due sono determinanti, insieme al senatore a vita Carlo Rubbia. Per uscire dall'impasse e approvare la riforma, spiegano i senatori 'ribelli', Renzi ha una sola strada: cercare l'unità del partito. Perciò nella trattativa aperta con i renziani sugli emendamenti al testo, la sinistra dem sta facendo valere il suo peso, puntando a far recepire le sue proposte in misura cospicua. E' questo, spiegano, il primo banco di prova anche per i successivi passaggi. A partire da quello, considerato cruciale, della riforma costituzionale, sul quale agisce compatto un gruppo di 24 senatori che punta a far passare il principio dell'elettività diretta del futuro Senato. Che Renzi debba rivedere l'impostazione delle sue riforme istituzionali, affermano dalla minoranza Pd, è dimostrato proprio dal risultato dei ballottaggi. Il partito, segnala Federico Fornaro, non è riuscito ad attrarre voti. E questo ha portato alla sconfitta, a Venezia (contro il centrodestra) come a Nuoro (contro una lista civica). Dunque il secondo turno "va eliminato", chiede tra gli altri Giuseppe Lauricella. Più in generale la sinistra Dem segnala a Renzi, con Alfredo D'Attorre, che "l'analisi autoconsolatoria della direzione Pd" non basta e che bisogna "ricostruire il centrosinistra". "Serve un'analisi del voto vera", dice Rosy Bindi. E Stefano Fassina sottolinea che non si può addossare all'essere "di sinistra" di Felice Casson la sconfitta di Venezia, perché altrimenti non si spiega la debacle della renziana Alessandra Moretti in Veneto. Sabato 27 la sinistra Pd proverà a superare le sue divisioni con una convention che si terrà probabilmente nel centro congressi Alibert, dove si tenne l'assemblea che candidò Mattarella al Quirinale. Applicare il 'metodo Mattarella' alle riforme, cioè ripartire dall'unità del Pd: è la richiesta della minoranza a Renzi. "Una strada - secondo Gotor - obbligata".
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