Dopo la grande paura, quando verso l'una di notte erano in bilico Liguria, Umbria e Campania, al vertice del Pd tirano un sospiro di sollievo: 5 regioni vinte contro le 2 del centrodestra. Ma Matteo Renzi si rende conto che le percentuali del Pd, al netto delle liste civiche, non è affatto lusinghiero. E che è tempo di tornare allo spirito originario della rottamazione, non tanto al governo quanto nel partito. Dove il leader dem ha intenzione nei prossimi giorni di aprire una riflessione che però, a quanto si apprende, non contempla al momento la mano tesa alla sinistra, additata dai renziani come responsabile della battuta d'arresto. Nella war room al Nazareno, che stanotte ha accolto ministri e dirigenti dem, raccontano che la persona che appariva più distaccata e tranquilla rispetto agli alti e bassi delle proiezioni fosse proprio Renzi. Che, infatti, all'alba è salito sull'aereo di Stato per fare, come previsto, la visita alle truppe italiane ad Herat in occasione del 2 giugno. Non che l'esito delle regionali fosse indifferente al premier ma, come chiarito alla vigilia, il risultato non avrebbe influito sul governo. "Stiamo facendo le riforme ed i primi risultati si vedono, noi andiamo avanti comunque", è la determinazione del presidente del consiglio. Che, nella sconfitta in Liguria, vede la prova, più che di una critica al governo, del ritorno del tafazzismo a sinistra. "Avevamo tutti contro, notabili vecchi e nuovi, se il Pd fosse stato unito avremmo anche potuto fare un'altra campagna elettorale più centrata a rivendicare i risultati di un anno di governo", si sfogano i renziani. Unanimi nell'indicare nel "colpo basso" di Rosy Bindi l'ultimo messaggio di una minoranza che, dall'Italicum alla riforma della scuola, ha alzato il tiro rispetto alla disciplina di partito. A questo punto, però, spiegano ai vertici del partito, Renzi non ha intenzione di dare soddisfazione alla sinistra interna. E di fare mediazioni per ricucire l'unità interna. Lunedì in direzione il segretario dem farà, spiegano i suoi, un discorso molto chiaro: si sta nel Pd perchè si crede nel progetto altrimenti ognuno è libero di prendere la sua strada. "Tanto, come si vede dai risultati, la sinistra non va da nessuna parte, serve solo a ricompattare il centrodestra, a dare fiato a Salvini e a M5S e ad alimentare l'astensionismo", si sfogano i duri e puri, quelli che da tempo chiedono a Renzi di prendere contromisure per mettere in riga malpancisti e dissidenti. Da domani il premier, che sarà alla parata del 2 giugno ma non all'Expo, comincerà a mettere la testa al rinnovamento del partito. In un unica operazione, si dovrebbe anche procedere a riempire le caselle rimaste vuote al governo e a valutare l'ipotesi di un ricambio ai vertici delle presidenze delle commissioni, molte ancora in mano a Fi. Per il partito si parla di un avvicendamento che vedrebbe Lorenzo Guerini come capogruppo alla Camera ma sembra arduo pensare che il braccio destro di Renzi, Luca Lotti, possa lasciare il governo per traslocare al Nazareno. Ma è anche sul territorio che il leader dem vuole una rottamazione che tolga potere a capi bastone locali, ancora troppo legati a logiche di corrente che oscurano il nuovo corso renziano.
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