VENARIA. A occhi aperti, quando la fotografia ferma la storia. In mostra le foto di Calabresi
26 Luglio 2014 - 15:43
"Questo libro e in seconda battuta questa mostra nascono da una mia passione, la fotografia, ma anche dalla consapevolezza che certe foto fermano la storia consegnandola per sempre al pubblico del mondo molto più di molti scritti". Con queste parole Mario Calabresi ha presentato oggi alla Reggia di Venaria 'A occhi aperti', la bella mostra fotografica tratta dal suo omonimo libro (edito da Contrasto) che si aprirà domani nelle Sale delle Arti per restare aperta fino all' 8 gennaio 2015. Una mostra di fotogiornalismo, con un centinaio di immagini scattate da 10 big della fotografia quasi tutti associati alla Magnum Photos, promotrice della mostra insieme a Contrasto e alla Venaria Reale. Il libro del direttore de La Stampa accompagna il visitatore nella mostra raccontandogli la passione di dieci maestri finiti, come freelance o come inviati, nei posti più difficili del pianeta negli ultimi 50 anni. Dieci fotografi che Calabresi ha conosciuto personalmente e talvolta letteralmente stanato, "uomini di grande umanità e professionalità - ha spiegato - capaci di entrare dentro i fatti e fermarli. I loro scatti sono più ricchi e più emozionanti di certi quadri dei tempi passati nei quali si cercava di mettere il maggior numero di elementi". Ci sono, per esempio le foto di Steve McCurry, che per raccontare le alluvioni monsoniche del 1983 in India, entrava nel fango fino alla cintola, quelle di Josef Koudelka che per entrare nell'animo dei praghesi nella loro Primavera del 1968 entrava nella casa dove si tenevano i funerali dei morti durante gli attacchi di piazza o si posizionava davanti ai carri armati russi per riprendere i visi dei soldati che sparavano, piuttosto che dei ragazzi che li assalivano. E ancora, le foto di 'interni' di Abbas per testimoniare lo sconcerto della rivoluzione in Iran culminata con l'occupazione nel novembre del 1979 dell'Ambasciata americana da parte degli studenti 'barbuti', o quelle di Don McCullin capace in modo sconcertante di fotografare il dolore nel viso e nei gesti disarmanti delle vittime della violenza delle guerre di Cipro e del Vietnam. Per ognuno di loro Calabresi ha un aneddoto da raccontare, con l'entusiasmo, verrebbe da dire, di un bambino. Forse il bambino che è stato lui stesso, come ha voluto raccontare, quando, già all'età di 12 anni, si appassionò alla fotografia grazie all'intercessione prima del suo patrigno, poi di un suo zio, Attilio Capra che il fotografo lo faceva di professione e che gli trasmise quella passione. Tra i tanti racconti se ne ricorda uno, quello che ha come protagonista Paolo Fusco, nato negli Stati Uniti, inviato dalla rivista Look (poi fallita) nel giugno 1968 a seguire i funerali di Bob Kennedy. Fusco venne rapito dall'emozione del popolo americano e più del feretro che migliaia di giornalisti da tutto il mondo stavano fotografando, si soffermò sui volti e sui gesti degli americani sconvolti da quella tragedia, come un'intera famiglia immobile lungo le rotaie lungo le quali corre il treno con la bara di Bob. "Quel servizio però non lo volle nessuno per 30 anni - ha raccontato Calabresi - e Fusco ne fece una malattia, fino a quando alcuni anni venne alla luce decretandogli successo mondiale". A presentare la mostra "in realtà sul giornalismo tout court", ha aggiunto Calabresi, c'erano anche, tra gli altri, le curatrici Alessandra Mauro e Lorenza Bravetta, il presidente e il direttore della Reggia, Fabrizio del Noce e Alberto Vanelli e l'assessore regionale alla Cultura, Antonella Parigi.
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