Tre "bravissimi ragazzi", diversi fra loro ma "molto affiatati", perché i vigili del fuoco sono "una grande famiglia". Il vigile del fuoco Daniele Appiano ricorda così Antonio Candido, detto Nino, Marco Triches e Matteo Gastaldo, i tre pompieri di 32, 37 e 46 anni morti la scorsa notte nel crollo di una cascina alla periferia di Quargnento, paese agricolo della pianura alessandrina al confine con il Monferrato. "Conoscevo Matteo e Marco da una vita, Antonio invece era il più giovane, timido e taciturno, ma anche con lui c'era un ottimo rapporto", aggiunge affranto il collega, che ha saputo della loro terribile fine intervenendo sul luogo della tragedia. Tutti e tre sposati, Matteo aveva una bambina, Marco un bambino. Alessandrini doc, il primo era di Gavi, il paese famoso per l'omonimo vino bianco, il secondo di Valenza, celebre per le sue lavorazioni orafe. "Loro erano al comando da dieci anni - racconta -; Antonio, calabrese, era arrivato da un anno e mezzo, ma si era integrato alla perfezione". Tre vite unite dalla stessa professione, da quello spirito di sacrificio e di servizio tipico dei vigili del fuoco, che trasformano un mestiere in una missione. Matteo Gastaldo era un tifoso sfegatato del Toro. "Domenica ha urlato tutto il giorno per il rigore non dato alla sua squadra per il fallo di mano di de Ligt", dice ancora il collega. Nei giorni scorsi il lavoro lo aveva portato a soccorrere le persone colpite dal maltempo proprio nella sua Gavi. "La pioggia ci ha messo in ginocchio, ma lui è sempre stato in prima fila", ricorda il vicesindaco Nicoletta Albano, stringendosi alla compagna Elisa e alla figlia di 9 anni, Elena Sofia. "Matteo deve il suo nome al nonno, che qui ha fondato la storica gelateria oggi gestita dal fratello - aggiunge - Erano davvero una bella famiglia, cui vogliamo essere vicini non solo in questo momento di dolore, ma anche in futuro". Marco Triches, aveva all'attivo numerose missioni in tutta Italia, compreso il terremoto ad Arquata del Tronto. Aveva due passioni: la fotografia e la moto. "Possedeva un Suzuki V Storm", spiega il collega e amico, che di Antonio ricorda invece l'amore per i cani: "Se li era portati fin qui dalla Calabria". Figlio di un vigile del fuoco, sposato da poco, lo scorso giugno su Facebook scrisse, dopo la morte di un collega: "Quanto vale la vita di un vigile del fuoco?". Un interrogativo rimasto senza risposta anche oggi che Nino, come lo chiamavano gli amici, è morto in servizio. "Eravamo una famiglia, una 'banda', ne fanno parte tutti i 20 che compongono il turno. Il nostro è un lavoro di equipe, l'affiatamento è fondamentale e tra noi c'era, perché ogni volta che esci per un servizio sai che hai bisogno degli altri per fare bene il tuo lavoro - spiega ancora il collega Daniele -. E poi molti vengono da fuori, ci sono difficoltà maggiori e ci si dà tutti una mano. L'ultimo intervento importante l'abbiamo fatto meno di una settimana fa, per l'ondata di maltempo, abbiamo lavorato 24 ore consecutive". Il rischio era nel destino del loro mestiere. "Facciamo un lavoro che lo contempla, è chiaro, ma tra noi non abbiamo mai parlato di quello che poteva succederci. Preferiamo parlare di calcio, delle nostre famiglie e della vita di tutti i giorni. Proprio come una famiglia - conclude l'amico delle tre vittime - perché eravamo una famiglia e rimaniamo una famiglia anche adesso che loro non ci sono più".
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