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Duecento sabati senza pace. Ivrea non si arrende

In piazza il 200° Presidio per la pace: voci, letture e testimonianze da Gaza, Ucraina e Cisgiordania. “Non è un traguardo, è la misura della nostra debolezza”, dice Pierangelo Monti, ma anche della perseveranza di chi continua a tornare

Sabato 27 dicembre, in piazza di città a Ivrea, il Presidio per la pace ha tagliato quota 200. Un numero che, come ha ricordato Pierangelo Monti, non sa di festa: “Finisce l’anno 2025 senza pace”. Lo ha detto subito, senza giri di parole: duecento presìdi non sono “un traguardo ambito”, ma la misura della sproporzione tra la voce ostinata di chi scende in piazza e “la potenza dei governanti e del complesso militare-industriale” che - ha denunciato - alimenta decine di guerre nel mondo. Però in quel conto c’è anche altro: la perseveranza, la convinzione che la pace non sia una delega e che “richiede l’impegno di tutti”.

Monti si è poi affidato alle parole di Enrico Peyretti, scritte per la duecentesima presenza di pace a Torino: una presenza che non è solo protesta, ma memoria delle vittime civili e dei soldati “usati come materiale” e richiamo netto contro l’idea che la pace nasca dalla minaccia. Una lezione semplice e severa: la pace non è deterrenza, ma rispetto, giustizia, dialogo, mediazione, istituzioni internazionali. E la guerra, oggi, è “rovina universale”.

Il presidio ha poi guardato a tutti i fronti aperti, in Palestina, nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, con l’allarme di Nazioni Unite e ONG  sulle “operazioni umanitarie che rischiano il collasso se non verranno rimossi gli ostacoli che bloccano l’assistenza…”. E sempre Monti ha ricordato che in Ucraina missili e droni russi sono caduti su Kiev e dintorni, con vittime, feriti e blackout che hanno lasciato al freddo centinaia di migliaia di persone.

Un cenno anche all’annuncio degli Stati Uniti di un attacco contro l’ISIS nel nord-ovest della Nigeria, su richiesta del governo nigeriano, nel quadro di una cooperazione con Abuja contro i gruppi militanti.

Insomma: si risponde alla violenza con altra violenza, mentre la parola “pace” viene stirata fino a diventare l’opposto di sé.

In questo clima, Monti ha richiamato le parole di Papa Leone XIV, pronunciate nei giorni di Natale. Una presa di distanza dalla logica militarista. “Il suo esempio di mitezza, di coraggio e di perdono accompagni quanti si impegnano… per promuovere il dialogo, la riconciliazione e la pace”.

A riportare un “barlume di speranza”, come ha detto Livio Obert, è stata una lettera: quella delle bambine e dei bambini della classe quarta della primaria Don Milani di Ivrea. Il testo, letto integralmente, è una piccola cartografia morale: guerre segnate in rosso su un planisfero, la voglia di “una gomma magica” per cancellarle, l’articolo 11 della Costituzione, la filastrocca di Gianni Rodari, e domande che hanno messo in difficoltà gli adulti più di qualsiasi convegno. Disarmante la frase: “Voi volete la guerra, ma noi no”. E poi l’appello a tutti: a Sergio Mattarella, a Giorgia Meloni e al Parlamento, a Donald Trump, a Vladimir Putin, a Volodymyr Zelenskyj, a Benjamin Netanyahu, alle Nazioni Unite, ai giornalisti, agli adulti.

Letizia Carluccio ha letto un messaggio dalla Palestina, indirizzato a Raffaella e al comitato: parole di gratitudine e di resistenza, con un passaggio che ha stretto lo stomaco nella sua semplicità: “Siete stati come fratelli, sorelle, padri e madri per noi”. Firmato da Arwa Karam Ayed Abu Mosbah, Shiima, Nada “e tanti altri”.

Cadigia Perini si è concentrata sull’approvazione di 19 nuovi insediamenti in Cisgiordania, con la rivendicazione del ministro delle finanze Bezalel Smotrich e il ruolo del ministro della difesa Israel Katz, e la condanna di un gruppo di Paesi europei insieme a Canada e Giappone. Perini ha riportato anche l’eco di una riflessione pubblicata il 27 dicembre, firmata da Francesca Mannocchi, sul paradosso di un’Europa che condanna gli insediamenti e intanto continua a importare merci.

Giorgio Franco ha provato a tradurre in immagine ciò che si prova dopo “200 sabati consecutivi”: ci si sente come Don Chisciotte. E ci si chiede se qualcuno ascolti davvero. Poi ha letto un brano critico tratto da Kulturjam.it sull’appello al riarmo e sul ruolo del Quirinale, aprendo un fronte politico interno che nel presidio è tornato spesso: la sensazione che la scelta delle armi venga presentata come inevitabile, e che la democrazia si riduca a ratifica.

Rosanna Barzan ha riferito un messaggio dai suoi corrispondenti in Cisgiordania: l’arresto di tre bambini — Adam Mohammad Talal Al-Allami (14 anni), Mohammad Ghathfan Talal Al-Allami (13), Khalil Bassam Khalil Al-Allami (15) — prelevati, ammanettati e bendati, avvenuto, ha raccontato, davanti alla minaccia armata rivolta al padre.

Don Piero Agrano ha scelto invece la strada della lettura: brani da Quando il mondo dorme di Francesca Albanese, un testo che ha insistito sul nodo del linguaggio — quando le parole vengono usate per capovolgere i fatti — e sul diritto all’autodeterminazione, con l’ombra lunga del colonialismo di insediamento. Non un intervento “da piazza” nel senso tradizionale, piuttosto una chiamata alla lucidità, a non lasciarsi anestetizzare.

Il finale? Monti che imbraccia la chitarra e intona Bob Dylan: “La risposta, amico, soffia nel vento”. Il coro lo ha seguito. Non ha cambiato il mondo, non lo ha preteso. Ma, per qualche minuto, ha tenuto insieme una piazza che da duecento sabati ha provato almeno a non abituarsi.

A Capodanno ci saranno manifestazioni per la pace in varie città; la principale a Catania, promossa da Pax Christi, Azione Cattolica, Caritas, CEI, Libera, Arcidiocesi e altre realtà. Per la prima volta, a quella marcia “non ci sarà nessuno di Ivrea” ma sabato 3 gennaio 2026 quelli del presidio saranno di nuovo in piazza di città per la 201^ volta, con la stessa domanda e la stessa fatica.

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