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02 Novembre 2025 - 23:14
Quante sono oggi le guerre nel mondo? Se lo è chiesta Cadigia Perini, sabato mattina in piazza di Città a Ivrea, aprendo il 192° Presidio per la Pace.
Da quasi quattro anni, ogni sabato, lo stesso appuntamento: voci diverse, un’unica domanda di fondo — quanto ancora si può restare indifferenti?
Perini ha citato i dati dell’Uppsala Conflict Data Program: più di cento conflitti armati attivi in oltre cinquanta Paesi. Significa che una persona su otto nel mondo vive in una zona di guerra. E il trend è in aumento: tra il 2023 e il 2024 gli scontri sono cresciuti del 25%. Ha ricordato alcuni fronti di cui raramente si parla — Sudan, Nigeria, Mozambico, Etiopia, Yemen, Myanmar, Haiti — e ha aggiunto:
«Si chiede spesso perché parliamo di Gaza e non di tutte le altre guerre. Ma non è una gara al dolore. La Palestina fa parte della nostra storia morale e politica, sin da quando Sandro Pertini nel 1983 chiese a Israele di fermare i massacri nei campi profughi di Sabra e Shatila.»
Livio Obert ha letto il comunicato della Rete Italiana Pace e Disarmo, che condanna la decisione del presidente Donald Trump di riprendere i test nucleari.
«È un passo indietro pericoloso e inaccettabile. Testare un’arma nucleare significa usarla: gli effetti non sono sperimentali ma distruttivi, per le persone e per l’ambiente.»
Obert ha ricordato che l’Italia, in coerenza con la propria Costituzione, dovrebbe sostenere con chiarezza il Trattato per la proibizione delle armi nucleari e confermare l’adesione al CTBT, che vieta i test atomici.
Nel giorno dell’anniversario della nascita di Mario Rigoni Stern, Obert ha letto anche un passo delle sue memorie nei lager: «Abbiamo imparato a dire no sui campi della guerra. È molto più difficile dire no che sì.»
Mario Beiletti ha raccontato esperienze dirette in Paesi segnati dai conflitti, dall’Iraq allo Yemen. «In molti luoghi la gente credeva di essere al sicuro. Poi arrivano gli interessi economici, il petrolio, le materie prime. E scoppia l’inferno.»
Ha letto il comunicato dell’Anpi di Ivrea e Basso Canavese, che invita a ricordare il 4 novembre come giornata di lutto, non di festa: «Non la celebrazione delle Forze Armate, ma la memoria di dieci milioni di morti. È da quella retorica che nacque il fascismo, dal mito della vittoria mutilata e del nemico da odiare.»
Giorgio Franco ha affrontato il caso Ca’ Foscari e la contestazione al deputato Emanuele Fiano. Ha definito il sionismo “un’ideologia coloniale e razzista” e difeso la legittimità della contestazione politica, citando Einstein, Arendt e lo storico Ilan Pappé.
«Non c’è un cammino dei due popoli per i due Stati, ma una decolonizzazione da iniziare. Contestare non è violenza: è parte della democrazia.»
Anna Maria Ricchiuti ha raccontato un episodio di vita quotidiana: un giovane rifugiato sudanese le ha chiesto perché in questi giorni gli italiani portano fiori al cimitero. «Gli ho spiegato che ricordiamo i nostri morti. Mi ha risposto: allora ricordate anche i nostri in Sudan.»
Luca Oliveri ha richiamato un tema economico-militare: Leonardo fornirà cannoni OTO Melara da 76 mm per le nuove corvette israeliane. «Mentre a Gaza si continua a bombardare, l’Italia partecipa indirettamente a quella guerra con le proprie forniture militari», ha detto, citando il giornalista Antonio Mazzeo, che ha diffuso la notizia.
Nel suo intervento, Rosanna Barzan ha ricordato la vicenda delle locandine pacifiste affisse fuori dagli spazi comunali e la risposta del sindaco di Ivrea, che ha scelto di non sollevare polemiche: «Il Comune si occupa di amministrazione, non di censura.»
Ha poi letto un testo da Trieste, in cui si invita gli enti locali ad assumersi le proprie responsabilità di fronte alle violazioni del diritto internazionale, e ha condannato l’insulto rivolto all’inviata ONU Francesca Albanese da parte del rappresentante israeliano, definendo “ancora più grave” l’atteggiamento del delegato italiano che lo ha assecondato.
Laura Rocchietta ha annunciato una richiesta di incontro con la direzione della AEG Cooperativa per esplorare forme di collaborazione con il presidio.
Silvio Conte ha riferito la risposta del Comune a Emergency dopo la rimozione dello striscione “R1PUD1A”: secondo la giunta, la bandiera palestinese “basta come messaggio di pace”. «Io credo il contrario», ha commentato Conte. «Più messaggi ci sono, più il segnale arriva forte.»
Ha infine ricordato la Giornata ONU contro l’impunità dei crimini verso i giornalisti, sottolineando che 247 reporter sono stati uccisi a Gaza negli ultimi due anni.
A concludere il presidio è stato Ezio Metallini, che ha criticato lo slogan del Ministero della Difesa per il 4 novembre — “Difesa. La forza che unisce” — definendolo “un modo elegante per dire che il nemico è ovunque”. Ha richiamato infine la campagna del Movimento Nonviolento nelle scuole, per ricordare che la leva militare è solo sospesa, non abolita.
Il presidio si è sciolto come sempre, senza applausi. Solo il brusio delle conversazioni e qualche sguardo silenzioso.
Ogni sabato a Ivrea, da quasi quattro anni, la stessa domanda torna a galla: a quando la pace?
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