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Pietro Tonino, il bambino che vide bruciare Quincinetto

Ottantuno anni dopo il rastrellamento del 13 ottobre 1944, Quincinetto torna a camminare sui luoghi della Battaglia. Letture, parole e testimonianze per ricordare i tredici partigiani fucilati e il coraggio di chi scelse la libertà

Aveva sette anni Pietro Tonino quando vide il fumo salire dalle case di Scalaro. Oggi ne ha 88 e, sabato pomeriggio, era lì, in silenzio, con lo sguardo rivolto alla montagna.
È uno degli ultimi che può dire «io c’ero», uno dei pochi che ricorda ancora l’odore acre del fuoco e il rumore dei colpi, in quella notte del 13 ottobre 1944 in cui Quincinetto bruciò.

Con lui, con la sua presenza discreta, è cominciata la cerimonia per l’81° anniversario della Battaglia di Quincinetto e dell’eccidio di Traversella, organizzata dal Comune di Quincinetto e dalla Biblioteca civica, che proprio quest’anno celebra i suoi cinquant’anni di attività.

Alle 14.30, in Piazza Unità d’Italia, sotto il municipio, il sindaco Angelo Canale Clapetto ha aperto l’incontro con i saluti dell’amministrazione comunale e un richiamo al valore del ricordo.

«Onorare la memoria dei caduti - ha ricordato  - non è solo un dovere morale, ma un gesto di riconoscenza verso chi ha combattuto per la libertà di tutti».

A seguire, Michela Rizzi, presidente della Biblioteca civica. Ha ricordato che la manifestazione è stata inserita tra gli eventi celebrativi dell’anniversario.

«Abbiamo voluto che la nostra storia culturale si intrecciasse con quella della Resistenza - ha sottolineato - Perché la memoria non è soltanto un fatto storico: è un impegno collettivo».

Dopo i saluti, il gruppo si è avviato in corteo lungo la mulattiera che sale verso Scalveis, fino alla croce del partigiano Ulisse, il primo a cadere durante la battaglia. Il sentiero è lo stesso di allora: stretto, umido, coperto di foglie. In silenzio, passo dopo passo, i partecipanti hanno portato fiori e parole.

Alla croce, Elena Mori ha letto un brano da “La Resistenza in Canavese” di Mario Beiletti, dedicato proprio alla Battaglia di Quincinetto. Poi Mattea Buat Albiana ha dato voce alle memorie del partigiano Riccardo Ravera Chion, nome di battaglia “Terribile”.

«Il 13 ottobre 1944, alle 21, fecero un rastrellamento dei più vasti. Il nemico entrò nel paese di Quincinetto e qui cadde il primo partigiano, il capo squadra Ulisse… Poi bruciarono metà paese e la mattina del 14 ottobre fucilarono sulla piazza tredici partigiani e un civile. Solo uno di loro, Ridolini, riuscì a scampare alla morte, ferito, e fu portato a spalle fino a Ivrea da un comando della Giustizia e Libertà».

Il rastrellamento del 13 ottobre 1944 resta uno degli episodi più duri della guerra in Canavese.
I tedeschi raggiungono Quincinetto per colpire i distaccamenti garibaldini attivi nella zona.
Gli uomini dei distaccamenti Don Minzioni, Caralli e Ferruccio Nazionale, guidati da Bandierino II, resistono finché possono, poi sono costretti alla ritirata.
Nella notte le baite bruciano e, all’alba, i prigionieri vengono portati in piazza e fucilati.
Solo Ridolini riesce a salvarsi: ferito, si trascina fino a Ivrea, dove viene soccorso.

Durante la commemorazione, Michela Rizzi ha letto la celebre epigrafe che Piero Calamandrei dedicò nel 1952 al generale Albert Kesselring, dopo la sua liberazione: «Lo avrai, camerata Kesselring, il monumento che pretendi da noi italiani... ma soltanto col silenzio dei torturati, più duro d’ogni macigno».

Poi Massimiliano Milazzo ha ricordato due frasi tratte dal discorso di Calamandrei agli studenti di Milano nel 1955:
«La libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare» e «Se volete sapere dove è nata la Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani».

A chiudere la giornata Mimmo Pignataro, con la lettura di un brano di Gino Strada, pronunciato a Stoccolma nel 2015. «L’abolizione della guerra è un’utopia che non possiamo più rimandare. La violenza non è la medicina giusta: non cura la malattia, uccide il paziente».

Così, tra la montagna e la piazza, si è concluso un pomeriggio di silenzio e memoria. Nessuna celebrazione solenne, solo parole e volti che continuano a fare ciò che serve: ricordare.
Perché chi ha visto il fuoco – come Pietro Tonino, quel bambino di Scalaro che non ha mai dimenticato – sa che la libertà non è un racconto lontano, ma qualcosa che ancora oggi si difende, passo dopo passo, lungo lo stesso sentiero.

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