AGGIORNAMENTI
Cerca
Attualità
11 Ottobre 2025 - 23:40
Il Presidio per la Pace di Ivrea è arrivato al numero 189, ma il mondo continua a contare morti e macerie. Nella mattina di sabato 11 ottobre, in Piazza di città, ancora una volta cittadini e attivisti si sono ritrovati per ribadire che la pace non è un’utopia, ma una necessità civile.
A introdurre, come sempre, è stato Pierangelo Monti. Ha aperto ricordando la settimana appena trascorsa: ancora bombardamenti in Ucraina e Palestina, ancora vite spezzate con uno spiraglio.
“L’accordo che sarà firmato in Egitto lunedì – ha sottolineato – fa tirare un respiro di sollievo. Non è una pace, ma almeno una tregua dopo due anni di massacri.”
E poi i numeri del disastro umanitario: 67.211 morti a Gaza, 17 solo nelle ultime ventiquattro ore. Migliaia di persone stanno tornando alle proprie case distrutte, e da domani dovrebbero entrare i primi convogli di aiuti umanitari.
“Lo Stato di Israele – ha aggiunto – ha mostrato un’ottusità disumana anche arrestando le due Flottiglie della Pace. Se le avesse lasciate approdare, avrebbe recuperato un po’ di credibilità. Invece, la malvagità è proseguita fino al fondo.”
Non sono mancati riferimenti agli Stati Uniti e al presidente Donald Trump, descritto come “uomo d’affari più che uomo di pace”. “Se avesse avuto interesse a fermare le guerre, avrebbe potuto farlo da tempo. Ma forse le manifestazioni di massa nel mondo, questa volta, hanno costretto qualcuno a muoversi.”
“Per la pace occorre il riconoscimento dei diritti, dello Stato di Palestina, la fine dell’occupazione e dell’oppressione, la giustizia, il disarmo, la ricostruzione delle città e la riconciliazione tra le parti.”
Senza questo, nessun accordo può essere credibile.
Monti ha anche letto un pensiero di Michele Serra: “La Flotilla ha vinto. Senza armi e con le mani alzate… acqua contro fuoco, cibo contro fame, pace contro guerra.”
Da Gaza all'Ucraina. “Questa notte – ha ricordato Monti – i sistemi di difesa russi hanno distrutto 42 droni ucraini. La centrale di Zaporizhzhia è finita in blackout e intere città sono al buio.”
Gli Stati Uniti valutano la fornitura di missili Tomahawk, mentre la Russia annuncia nuove armi.
“La spirale della violenza continua”, ha detto Monti, che ha espresso solidarietà agli attivisti del Mean scampati a un bombardamento mentre viaggiavano in treno verso Kharkiv: “Erano lì per costruire ponti di dialogo, non per combattere.”
Non è mancato un passaggio sullo Yemen, con un quadro drammatico tratto da un rapporto di Oxfam: dieci anni di guerra, 19.000 morti, 5 milioni di sfollati.
“Le inondazioni hanno distrutto case e attività, le malattie dilagano, milioni di persone vivono senza acqua e senza cibo. Ma del loro dolore non parla nessuno.”
Il momento più toccante è arrivato con la lettura della poesia di Andrew Faber, “Fate piano con le bombe”. Un testo asciutto, che evoca la fragilità dei bambini addormentati sotto le esplosioni e chiama alla vergogna chi guarda altrove.
Realista Giorgio Franco. Ha affrontato la presunta tregua. “Tutti siamo felici, ma si tratta di una tregua, non di pace. Mentre a Gaza si festeggia, in Cisgiordania continua la vendetta dei coloni: villaggi assaltati, ulivi bruciati, posti di blocco ovunque.”
Franco ha definito l’accordo “una tregua amministrata”, criticando la regia affidata a Trump e Tony Blair.
“Un’amministrazione transitoria per Gaza, una cabina di regia esterna, truppe di peacekeeping europee. Ma i palestinesi? Ancora una volta restano spettatori. Trump promette investimenti miliardari, ma chi ha perso la casa non chiede un business plan: vuole tornare a vivere.”
Al centro dell’analisi, l’esclusione di Marwan Barghouti, il più noto leader politico palestinese detenuto.
“Con Barghouti fuori, i palestinesi restano un popolo senza voce. Con Barghouti dentro, la tregua avrebbe imposto di parlare di politica, non solo di sicurezza.”
E poi sulla parola "pace" che “oggi salva qualche vita, ma non risolve la causa. Chi ha perso un figlio chiede giustizia, non silenzio. Chi ha perso la casa pretende un futuro, non una tenda.”
Infine, Cadigia Perini ha commentato l’assegnazione del Premio Nobel per la Pace 2025 a María Corina Machado, figura dell’estrema destra venezuelana.
“È una scelta che contraddice l’idea stessa di pace – ha sottolineato –. Machado ha chiesto l’intervento armato degli Stati Uniti contro il suo paese e ha espresso sostegno a Netanyahu e alle politiche israeliane. Premiarla è come legittimare la destabilizzazione come strumento politico.”
Perini ha ricordato che nel 2018 Machado aveva scritto a Netanyahu chiedendo “forza e influenza” contro il governo venezuelano, e che la sua carriera è segnata da posizioni apertamente golpiste.
“Il Comitato norvegese – ha concluso – ha voluto evitare di premiare Trump, ma ne ha premiato una versione compatibile. La pace non si costruisce con la propaganda, ma con la giustizia. E di giustizia, oggi, se ne vede poca.”
Sabato prossimo presidio straordinario , dalle 9 alle 19, con la lettura dei nomi dei bambini uccisi a Gaza.
Edicola digitale
I più letti
LA VOCE DEL CANAVESE
Reg. Tribunale di Torino n. 57 del 22/05/2007. Direttore responsabile: Liborio La Mattina. Proprietà LA VOCE SOCIETA’ COOPERATIVA. P.IVA 09594480015. Redazione: via Torino, 47 – 10034 – Chivasso (To). Tel. 0115367550 Cell. 3474431187
La società percepisce i contributi di cui al decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70 e della Legge Regione Piemonte n. 18 del 25/06/2008. Indicazione resa ai sensi della lettera f) del comma 2 dell’articolo 5 del medesimo decreto legislativo
Testi e foto qui pubblicati sono proprietà de LA VOCE DEL CANAVESE tutti i diritti sono riservati. L’utilizzo dei testi e delle foto on line è, senza autorizzazione scritta, vietato (legge 633/1941).
LA VOCE DEL CANAVESE ha aderito tramite la File (Federazione Italiana Liberi Editori) allo IAP – Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria, accettando il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.