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10 Ottobre 2025 - 21:19
Altro che “trasporto che ci salva”. In Piemonte, il trasporto pubblico locale sta affondando e trascina con sé pendolari, studenti, insegnanti, lavoratori. Chi viaggia ogni giorno lo sa: il treno che non parte, il bus che si rompe, il passante ferroviario bloccato per l’ennesimo guasto. E mentre la gente aspetta sui binari, qualcuno dalla Regione continua a raccontare che “il sistema cresce e migliora”.
Davanti al grattacielo della Regione Piemonte, a Torino, stamattina c’erano più di mille persone. Mille cittadini arrabbiati, stanchi, esasperati, che non ne possono più di un servizio che cade a pezzi. Li ha portati in piazza la Cgil, insieme a Legambiente, Fridays For Future, Federconsumatori, Arci, Libera, Udu e Comis. Un fronte comune che unisce studenti, ambientalisti, docenti e lavoratori sotto un unico grido: vogliamo un trasporto pubblico vero, non un’illusione finanziata a colpi di slogan.
“I piemontesi chiedono un trasporto pubblico locale migliore, con mezzi più nuovi, più sicuri, più puntuali”, ha dichiarato la Cgil durante la manifestazione, consegnando in Regione un documento che raccoglie i risultati di mesi di incontri e di un questionario. I numeri sono impietosi: solo l’1,6% dei cittadini considera il servizio “ottimo”, il 14,2% lo giudica “buono”, mentre oltre il 53% lo definisce “scarso o pessimo”. La metà dei piemontesi, dunque, ha perso la fiducia in un sistema che dovrebbe unire e invece divide, che dovrebbe agevolare e invece punisce chi sceglie di non usare l’auto.
La manifestazione è stata l’ultima tappa del percorso “Il trasporto che ci salva”, una campagna iniziata a febbraio e portata avanti per mesi con assemblee in tutto il Piemonte: da Torino al quadrante sud-ovest di Asti e Alessandria, dal nord-ovest di Biella e Novara fino a Cuneo. Un percorso di ascolto, confronto e rabbia crescente, che si trasforma ora in una vera e propria vertenza regionale contro le scelte della Giunta.
“Quella di oggi è stata una giornata importante, ma è solo un punto di partenza”, ha spiegato Stefania Pugliese della Cgil Piemonte. “Chiediamo un tavolo permanente e la convocazione immediata di quello regionale sulle politiche dei trasporti istituito nel 2022. Abbiamo ribadito alla sottosegretaria Porchietto l’urgenza di investire sul trasporto pubblico: vogliamo sicurezza, efficienza, capillarità, non promesse e conferenze stampa”.
Nel frattempo, il disagio corre sui binari. I pendolari lo vivono ogni giorno, e i consiglieri regionali del Partito Democratico Nadia Conticelli, Alberto Avetta e Simona Paonessa parlano di “una situazione ormai fuori controllo”. “Siamo stati alla manifestazione perché il sistema dei trasporti piemontese è al collasso”, hanno dichiarato. “Il nodo metropolitano e il sistema SFM, che dovrebbero essere il fiore all’occhiello della Regione, vengono costantemente vanificati da interruzioni e ritardi. Linee come la Canavesana o quelle per l’aeroporto vivono tra lavori infiniti e guasti quotidiani”.
Gli esempi non mancano: il treno da Cuneo per Torino fermo in stazione perché non si aprono le porte; la linea Cirié–Torino bloccata per guasti su corso Grosseto; pendolari costretti a scendere e proseguire a piedi o in taxi. E la Torino–Milano, ormai, è diventata una barzelletta amara: treni obsoleti, stazioni pericolose, biglietti più cari. Chi deve andare a lavorare a Vercelli o Novara parte all’alba e torna di notte, tra ritardi e coincidenze perse.
Il tutto mentre le tariffe aumentano, gli abbonamenti costano di più e le promesse restano parole al vento. “Non si può trattare questo tema spezzettandolo”, dicono i consiglieri Pd, “serve una strategia seria, investimenti veri, non spot pre-elettorali”.
Dal territorio arrivano storie che fanno indignare. La Flc Cgil Novara–Vco ha denunciato le condizioni dei docenti e del personale scolastico: molti rifiutano incarichi in scuole irraggiungibili senza mezzi propri. “Chi non ha l’auto non può nemmeno accettare certe cattedre”, scrivono. “C’è chi si accontenta di un part-time solo per non spendere mezza giornata tra autobus e treni. E intanto la scuola pubblica perde qualità”.
E poi c’è la voce di Alice Ravinale, che mette il dito nella piaga politica. “La totale insufficienza del trasporto pubblico è frutto di una precisa volontà politica”, denuncia. “Si continua a finanziare la mobilità privata — 190 milioni per la tangenziale di Asti Sud-Ovest — e grandi opere inutili come la TAV, a cui è stato aggiunto un miliardo solo un anno fa. Intanto ci dicono che non ci sono soldi per riaprire la Chivasso–Asti o per completare la metropolitana di Torino. Dal 2019 al 2025 le tariffe del TPL sono aumentate del 21,51%, nonostante Marco Gabusiavesse promesso che non ci sarebbero stati aumenti. È l’ennesima promessa tradita”.
Ravinale cita anche due casi emblematici: la soppressione della linea Carmagnola–Mirafiori 259TK, che serviva i lavoratori della Stellantis, e l’assenza di trasporto per i 70 dipendenti della Baruffi Zegna, spostati da Lessona a Borgosesia. “Ogni giorno centinaia di lavoratori sono costretti a usare l’auto privata. È un problema economico, ambientale e di sicurezza: gli incidenti in itinere rappresentano il 20% di tutti gli infortuni sul lavoro, ma alla Giunta Cirio sembra non interessare”, conclude Ravinale.
E mentre la piazza urlava la sua rabbia, dai piani alti del grattacielo arrivava la risposta compiaciuta dell’assessore ai Trasporti Marco Gabusi. “Il trasporto pubblico piemontese non ha bisogno di essere salvato”, ha detto con toni trionfanti. “Abbiamo investito centinaia di milioni di euro, sostituito 650 autobus e 71 treni nuovi, riaperto linee chiuse e riportato i passeggeri ai livelli pre-Covid”.
La sottosegretaria Claudia Porchietto, a sua volta, ha parlato di “dialogo costruttivo” e “collaborazione attiva”. Peccato che il dialogo, finora, sembri a senso unico: chi viaggia parla di ritardi, chi governa parla di slide.
Secondo la Regione, tra il 2021 e il 2024 sono stati rinnovati centinaia di mezzi e investiti 400 milioni di euro per migliorare autobus e treni. Ma chi quei mezzi li prende ogni mattina racconta tutt’altra storia: bus senza aria condizionata, vagoni gelidi d’inverno, linee tagliate, coincidenze saltate. Altro che trasporto moderno e sicuro: in molte stazioni i pendolari devono persino scegliere se rischiare la vita attraversando binari o aspettare un passaggio che non arriverà.
La distanza tra la propaganda e la realtà è abissale. Da una parte la Regione che si autocelebra, dall’altra i cittadini che si sentono presi in giro. È facile parlare di “sostenibilità” dai salotti climatizzati del grattacielo, un po’ meno quando si resta bloccati su un treno fermo a Venaria per “problemi tecnici” e si arriva tardi a lavoro con la busta paga che ne risente.
Il Piemonte, terra di industria e innovazione, meriterebbe un trasporto pubblico all’altezza. Invece, dopo anni di annunci, ci ritroviamo con le stesse carrozze arrugginite e gli stessi orari saltati. Le linee “riaperte” funzionano a singhiozzo, la Canavesana è diventata sinonimo di disastro e i pendolari sono ancora lì, ogni giorno, con la schiena curva e lo sguardo fisso sul tabellone che segna “ritardo”.
E allora sì, questa manifestazione non è solo una protesta: è un atto di resistenza civile. È la voce di chi non si arrende a un sistema che lo ignora. Di chi crede ancora che il diritto alla mobilità sia un diritto di cittadinanza, non un privilegio per pochi.
“Abbiamo investito 400 milioni di euro”, ripete l’assessore Gabusi. Ma quei milioni non si vedono nei treni fermi, nei bus strapieni, nei lavoratori costretti a usare l’auto. Non si vedono nelle vite dei pendolari che ogni giorno arrivano tardi e tornano distrutti. Non si vedono nelle periferie dimenticate e nelle stazioni abbandonate.
E i numeri che arrivano dal dossier sindacale parlano chiaro. La Cgil denuncia una carenza strutturale di autisti: mancano circa 600 conducenti per garantire il servizio attuale. Nel 2023 in Piemonte si contavano 5.792 autisti, più di 1.000 in meno rispetto al 2012, con una riduzione del 15%. Dal 2019 la situazione è peggiorata di un ulteriore 9%. E come se non bastasse, oltre il 30% del personale oggi in servizio ha più di 55 anni. Un esercito di lavoratori stanchi, logorati da ore di straordinario obbligato per coprire turni che non dovrebbero esistere. Le nuove assunzioni non bastano, e i pensionamenti svuotano le aziende più velocemente dei nuovi ingressi.
E poi c’è il parco mezzi, l’altra faccia del disastro. Il Piemonte ha 2.403 autobus, con un’età media di 10,65 anni, quando il contratto di servizio prevede che non debbano superare i 9. Nel 2023 sono stati immatricolati solo 350 nuovi bus, appena il 10% del totale. Troppo pochi per coprire le esigenze di una regione vasta e complessa. Peggio ancora: il 18% dei mezzi è ancora Euro 2 o Euro 3, il 4% Euro 4, e solo il 2% elettrico. Altro che “mobilità sostenibile”: sulle strade piemontesi circolano ancora autobus vecchi di 18 o 20 anni, che sputano fumo e si rompono appena salgono in collina.
La verità è che la Regione Piemonte ha smesso di pianificare. “Questi dati dimostrano una programmazione inesistente, carente di una visione d’insieme sul trasporto pubblico locale”, denuncia la Cgil. Mancano autisti, mancano mezzi, mancano idee. I tagli alle tratte e i ritardi non colpiscono solo i singoli cittadini, ma l’intera collettività: scuole, ospedali, aziende, università. È una catena che spezza il tessuto sociale e produttivo del Piemonte.
Ecco perché il 10 ottobre migliaia di persone sono scese in piazza. Non per chiedere miracoli, ma per pretendere rispetto. Per ricordare a chi governa che un autobus in orario o un treno funzionante non sono un favore: sono un diritto. Perché dietro ogni corsa cancellata c’è una vita sospesa, un lavoro perso, una madre che arriva tardi a prendere il figlio, uno studente che perde l’esame, un docente che rinuncia a un contratto.
Forse il trasporto pubblico piemontese non ha bisogno di essere “salvato”, come dice l’assessore. Forse ha solo bisogno di una cosa: di essere governato da chi conosce davvero la fatica di alzarsi alle cinque del mattino per prendere un treno che non parte.
Altro che trasporto che ci salva: qui ci lasciano a piedi.
C’è qualcosa di meraviglioso nella capacità dell’assessore Marco Gabusi di essere sempre soddisfatto. Qualunque cosa accada — treni fermi, autobus in fiamme, pendolari appesi ai corrimano come in una partita a Twister — lui sorride e dice che «il sistema cresce e migliora».
Forse ha ragione: cresce l’attesa, migliora la pazienza.
L’assessore Gabusi, che ormai potremmo definire il poeta della resilienza ferroviaria, ha spiegato che il trasporto pubblico piemontese «non ha bisogno di essere salvato». E infatti non lo salva nessuno. Ogni mattina migliaia di persone vengono abbandonate alle stazioni come pacchi senza destinatario, ma lui, tranquillo, elenca numeri e investimenti come un contabile felice.
Sessantacinque treni nuovi, duecento autobus in arrivo, quattrocento milioni spesi: un Bengodi su rotaie. Solo che, per qualche misteriosa coincidenza, i passeggeri continuano a lamentarsi.
Ma non siate ingrati. È facile criticare quando non si capisce la visione. Il fatto che i bus abbiano diciotto anni di età è un omaggio alla tradizione, una forma di archeologia industriale: viaggiare in un Euro 2 è come salire su una macchina del tempo. E i treni in ritardo? Sono un’opportunità di meditazione. Il Piemonte sta diventando una regione zen: “Arriverò quando il destino lo vorrà”.
Gabusi parla di “trasporto sostenibile” e non si può dargli torto: ormai si viaggia così poco che l’ambiente ringrazia. L’auto privata è tornata di moda, ma rigorosamente elettrica, così tutti sono contenti. Il traffico aumenta? Pazienza, c’è il greenwashing per quello.
Quando la Cgil e mezzo Piemonte gli fanno notare che mancano 600 autisti, lui sorride. “Ci stiamo lavorando”. Forse stanno arrivando in treno, e dunque tarderanno un po’. Intanto gli autisti rimasti fanno straordinari su straordinari, più che conducenti sembrano missionari. Alcuni hanno più di 55 anni, ma evidentemente Gabusi crede nello spirito olimpico: l’importante è partecipare, anche alla maratona dei turni infiniti.
E poi la perla delle perle: “Il trasporto pubblico non ha bisogno di essere salvato”. Vero. Ormai è spacciato. E di fronte all’evidenza, l’assessore non si scompone.
Certo, bisogna ammettere che l’uomo ha fegato. Riuscire a dire “abbiamo investito 400 milioni” davanti a pendolari che si fanno il segno della croce ogni volta che vedono un tabellone lampeggiare “ritardo” non è da tutti. E quando elenca le linee “riaperte” — tipo la Saluzzo–Savigliano, che funziona un giorno sì e tre no — sembra quasi di sentire quei venditori che dicono “non è un difetto, è una caratteristica”.
C’è chi sostiene che Gabusi viva in una realtà parallela, un Piemonte alternativo dove gli autobus non rombano ma sussurrano, i treni arrivano puntuali e i pendolari applaudono. L’unico problema, forse, è che nessuno ha mai visto quella regione. Quella reale, invece, è fatta di banchine fredde, coincidenze saltate, e studenti che ogni mattina si chiedono se ce la faranno a tornare vivi da Venaria.
Ma non importa. L’assessore continuerà a raccontarci che il sistema funziona, che il futuro è radioso, che il trasporto pubblico è un fiore all’occhiello. E noi, dal finestrino di un regionale fermo tra due gallerie, continueremo a guardare il panorama e a chiederci se per caso non ci stia prendendo un po’ in giro.
Altro che trasporto che ci salva: Gabusi ci illumina, ma solo col ritardo del treno.
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