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03 Ottobre 2025 - 11:24
Si sono ritrovati in piazza di Città con in mano torce, candele e cellulari pronti ad accendersi. La piazza, che tante volte ha ospitato comizi, feste e proteste, si è riempita di persone di ogni età, unite da un sentimento di silenzio e di determinazione. C’era chi stringeva un cartello con scritto “Pace”, chi portava uno striscione, chi semplicemente voleva camminare senza parlare, consapevole che in certi momenti non servono slogan ma gesti.
Da lì è partito un corteo lungo e ordinato, con più di mille persone che hanno attraversato le vie cittadine fino a raggiungere l’ospedale. Una marcia lenta e composta, capace di parlare senza bisogno di alzare la voce, con lo spirito che solo Ivrea sa metterci quando decide di essere comunità. Sulle note di Bella Ciao, centinaia di passi hanno scandito una volontà comune: quella di dire no al genocidio in Palestina, intrecciando la propria voce a quella di un movimento pacifico che, in tutta Italia, ha visto accendersi le luci davanti a più di 225 ospedali, ben oltre i cento previsti inizialmente. Un dato che racconta da solo la forza di questa mobilitazione, capace di travalicare confini e categorie, unendo medici, infermieri, cittadini e associazioni.
In prima fila il vescovo monsignor Daniele Salera, la cui presenza ha dato alla manifestazione un significato particolare, come segno concreto di una Chiesa che non vuole restare in disparte di fronte a una tragedia che travolge innocenti. Al suo fianco il sindaco Matteo Chiantore, l’ex sindaco Carlo Della Pepa, Maurizio Perinetti, i consiglieri comunali Vanessa Vidano ed Emanuele Longheu, gli assessori Francesco Comotto, Massimo Fresc e Gabriella Colosso. Una presenza trasversale, che ha reso evidente come il dolore per quanto accade a Gaza superi divisioni e appartenenze. E poi i Comitati per la pace di Ivrea, tutti, nessuno escluso, con i loro striscioni e la lunga esperienza di mobilitazioni: una rete che da decenni accompagna le grandi battaglie civili del territorio e che anche questa volta ha saputo dare corpo a un corteo inclusivo, capace di unire credenti e laici, istituzioni e cittadini.
La serata si è inserita nell’ambito della mobilitazione nazionale “Luci sulla Palestina”, promossa dalla rete di medici e operatori sanitari #DigiunoGaza. La scelta di portare la protesta davanti agli ospedali non è stata casuale: sono i luoghi che incarnano la cura, ma che nella Striscia di Gaza sono diventati obiettivi militari. Portare lì torce e candele ha significato ribadire che la guerra non risparmia nessuno, nemmeno chi ogni giorno si dedica a salvare vite.
Alle 21 in punto le luci si sono accese tutte insieme. È stato un istante corale, in cui il respiro di una città si è unito a quello di tante altre. Torce, lampade, candele e cellulari hanno illuminato la notte in memoria degli oltre 1.670 operatori sanitari palestinesi uccisi dai raid israeliani: non numeri, ma persone, medici, chirurghi, infermieri, paramedici, volontari, colpiti mentre curavano feriti e malati. Ad Ivrea, come altrove, quel bagliore improvviso ha rotto per un attimo il buio, trasformandosi in una preghiera laica e collettiva.
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Il momento più intenso è stato la lettura dei nomi. Uno dopo l’altro, senza pause, fino a comporre una lista dolorosa e interminabile. Dietro ogni nome una storia: quella del nefrologo Hammam Alloh, unico nella Striscia di Gaza, ucciso con la sua famiglia in un bombardamento del novembre 2023; quella del chirurgo ortopedico Adnan al-Bursh, morto in carcere in Israele; quella di Hani al-Jaafarawi, direttore dei servizi di emergenza e delle ambulanze, colpito con cinque colleghi lo scorso 24 giugno; e la storia collettiva dei quindici operatori sanitari sepolti in una fossa comune a Rafah, dopo essere stati uccisi mentre tentavano di soccorrere i feriti. Leggerli ad alta voce ha significato ridare dignità a chi il mondo rischia di ricordare soltanto come un numero in un bollettino di guerra.
“Siamo accanto agli uomini e alle donne della Flottilla – ha detto la dottoressa Fiorella Pacetti – e li ringraziamo. Chiediamo al governo e a tutte le istituzioni di agire in maniera urgente per fermare il genocidio. Noi non accettiamo di normalizzare un genocidio, non vogliamo essere complici”. Parole nette, che riflettono lo spirito di una mobilitazione nata dal basso, spontanea, eppure così vasta da aver coinvolto centinaia di città.
I medici di #DigiunoGaza spiegano che “la neutralità non è più possibile”. E infatti il movimento non si limita a gesti simbolici: chiede lo stop alle collaborazioni scientifiche e commerciali con istituzioni legate a Stati che commettono crimini di guerra, l’adozione di criteri etici nelle forniture sanitarie, il sostegno a progetti di cooperazione internazionale a favore delle popolazioni colpite. In questo quadro si colloca anche il boicottaggio della multinazionale farmaceutica Teva, accusata di trarre profitto dall’occupazione e dall’apartheid. I promotori sottolineano che tutti i farmaci prodotti da Teva hanno equivalenti e che la salute dei cittadini non è messa in discussione: la scelta è politica ed etica, perché non si può curare alimentando chi contribuisce a distruggere.
La rete #DigiunoGaza è nata nei mesi scorsi come iniziativa spontanea di medici, infermieri e operatori sanitari che hanno deciso di usare il proprio corpo come forma di protesta: giornate di digiuno collettivo e a staffetta, per condividere simbolicamente la sofferenza della popolazione di Gaza. Dal digiuno alla luce, il passaggio è stato naturale: accendere un cellulare è un gesto universale, comprensibile da tutti, capace di rompere il buio e creare comunità.
A Ivrea, tutto questo ha assunto un significato particolare: non solo memoria, ma impegno. Perché, come hanno dimostrato i cellulari accesi davanti all’ospedale, il buio può essere squarciato, ma serve che la luce resti accesa nella coscienza di ciascuno.
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