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03 Ottobre 2025 - 00:08
Paraculissima. Già il nome è una trovata geniale, non c’è niente da fare. Paraculissima è il superlativo assoluto del paraculo, e infatti ci si mette dentro tutto: il paraculo che si protegge, il paraculo che si sistema, il paraculo che si vende bene. E siccome siamo moderni e inclusivi, non dimentichiamo la paracula, che ormai ha fatto più carriera del paraculo maschile. Alla fine, la Paraculissima è un’arte, anzi è l’Arte, e a Settimo Torinese verrà celebrata in una tre giorni dal 31 ottobre al 2 novembre grazie all’associazione “Colora i quadri”. Una cosa nobile, sia chiaro.
Solo che l’arte, a Settimo, non si accontenta di essere arte. Vuole essere social, con la S maiuscola, cioè quella piattaforma dove non sei nessuno se non balli, sorridi e ti riprendi. E dunque chi poteva annunciare la Paraculissima se non la sindaca Elena Piastra, con un reel? Perché la cultura oggi passa di lì: qualche secondo di video, un filtro, faccina entusiasta e sorrisetti. Così la città capisce che è arrivata l’arte. Anzi, la Paraculissima.
Il paraculismo, del resto, non è più un insulto: è una filosofia di vita. È quell’arte di cavarsela sempre, di mettersi sempre dalla parte giusta, di rivendicare i meriti e scansare le colpe. È un mestiere antico, ma oggi si fa su Facebook e sui Instagram. La politica lo pratica da sempre, l’arte lo racconta, e a Settimo ci hanno fatto pure un festival sull'innovazione che non c'entra con Paraculissima ma a buon intenditor.... Una perfetta chiusura del cerchio.
C’è chi dirà che la Paraculissima è solo una mostra d’arte ironica, aperta a tutti, con un meccanismo simpatico di baratto: porti un libro, una marmellata, un oggetto e ti prendi un quadro. E va benissimo. Ma la vera installazione, quella che merita un premio, non stava appesa a un muro, bensì in quel reel dove la sindaca annunciava fiera: “Ecco, Settimo è Paraculissima”. Ed è vero, più vero di quanto pensasse: perché in quel momento non stava parlando solo di arte, ma di tutta la parabola politica del suo (nostro) tempo.
Un tempo in cui il politico si trasforma in influencer e l’influencer in politico. Un tempo in cui la comunicazione non accompagna l’azione, ma la sostituisce. Un tempo in cui il reel, il post, il video è più importante del contenuto, e il contenuto è solo la scusa per fare un reel. Così, tra un cantiere che blocca la città, una mensa scolastica che serve vermi, un mercato che cade a pezzi, l'erba alta, i topi che scorazzano, le strade rotte e i marciapiedi scassati a Settimo ci si consola con un reel. È l’arte del paraculismo, e chi osa criticarla non ha capito niente.
E allora viva la Paraculissima, che ha il pregio di dire la verità mentre fa finta di scherzare. Viva la paracula che la racconta, viva il paraculo che l’applaude, viva il cittadino che ci crede. Perché alla fine, come sempre, i più paraculati restano loro.
Il sindaco paraculo è una figura antica come la politica, ma modernissima come un reel su Facebook. È quello – o quella – che inaugura una panchina dimenticando che la strada accanto ha le buche da Grand Canyon. Che taglia il nastro dell’asilo nuovo mentre quello vecchio cade a pezzi. Che ti racconta della rivoluzione verde, però poi dimentica di tagliare l’erba nei parchi.
Il sindaco paraculo non governa: comunica. Non amministra: racconta. Non risolve: annuncia. Se c’è un problema, ci fa sopra un post indignato, come un cittadino qualunque. Se c’è una soluzione, si prende il merito anche se l’ha trovata qualcun altro. Se invece non c’è né problema né soluzione, inventa un progetto, possibilmente con un titolo in inglese, e sorride davanti alle telecamere.
Lo riconosci perché compare sempre nelle foto: al centro se c’è un applauso, di lato se c’è una contestazione, mai se c’è una responsabilità. Lo riconosci perché parla sempre al plurale – “abbiamo fatto, abbiamo deciso, abbiamo risolto” – ma quando c’è da rispondere usa il singolare: “non è competenza mia”.
Il sindaco paraculo non ha colore politico, è trasversale come il colesterolo. Vive di inaugurazioni, convegni, festival, passerelle. È pronto a fare l’influencer se serve, l’accademico se conviene, il populista se tira. È il sindaco che ti dice di amare la città, e intanto ama soprattutto il suo riflesso nella vetrina di un bar.
Il sindaco paraculo è eterno: sopravvive a scandali, figuracce, fallimenti. Perché alla fine la gente si dimentica, e lui – o lei – è già pronto con un nuovo slogan. Non è bravo a governare, è bravissimo a pararsi. E infatti il nome dice tutto: paraculo.
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