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02 Ottobre 2025 - 18:30
Sono le 18,30, qui a Ivrea, in piazza di Città, i pacifisti si stanno radunando in vista del corteo che tra poco partirà verso il Municipio. Non si tratta di una manifestazione isolata, ma di un appuntamento che si inserisce in una mobilitazione nazionale: il flash mob “Luci sulla Palestina”, promosso dalla rete #DigiunoGaza, che raccoglie oltre trentamila tra medici, infermieri e operatori sanitari italiani. L’iniziativa avrà il suo momento centrale alle 21, quando davanti a cento ospedali italiani, tra cui quello di Ivrea, si accenderanno torce, lampade, candele e cellulari per ricordare i 1.677 operatori sanitari palestinesi uccisi in meno di due anni di conflitto.
Non sarà solo un gesto simbolico. Davanti agli ospedali italiani, come qui a Ivrea, verranno letti uno a uno i nomi di quei medici, chirurghi, paramedici, infermieri e volontari che hanno perso la vita mentre curavano feriti, assistevano malati, cercavano di salvare vite in condizioni estreme. Una lettura lunga, dolorosa, senza interruzioni, che intende trasformare i numeri delle cronache in volti e storie. È il caso di Hammam Alloh, nefrologo e unico specialista del suo campo a Gaza, ucciso insieme ai familiari in un bombardamento del novembre 2023. O di Adnan al-Bursh, chirurgo ortopedico, morto in custodia nelle carceri israeliane dopo essere stato arrestato. O ancora di Hani al-Jaafarawi, direttore dei servizi di emergenza e delle ambulanze, colpito insieme a cinque colleghi il 24 giugno scorso. E infine dei quindici operatori sanitari raggiunti da un bombardamento vicino a Rafah lo scorso marzo, mentre soccorrevano feriti e venivano invece sepolti in una fossa comune.
La rete #DigiunoGaza – che già nei mesi scorsi aveva promosso giornate di digiuno collettivo in solidarietà con la popolazione di Gaza – ha scelto questa volta di puntare su un gesto semplice ma capace di toccare le coscienze. L’accensione di una luce, spiegano gli organizzatori, è un modo per dire che non si può più fingere che la neutralità sia una scelta possibile. Chi indossa un camice, chi ha giurato di difendere la vita, non può restare a guardare davanti a un genocidio.
La mobilitazione ha anche un obiettivo politico concreto: chiedere alle istituzioni italiane di prendere posizione. Per questo ai governi regionali, alle aziende ospedaliere, alle università e agli ordini professionali è stato inviato uno schema di delibera che impegna a riconoscere formalmente la gravità di quanto accade a Gaza e a contrastarlo con scelte precise. Gli operatori sanitari chiedono che si interrompano collaborazioni scientifiche e commerciali con enti legati a Stati che commettono crimini di guerra, che si adottino criteri etici per gli acquisti, che si sostengano progetti di cooperazione internazionale a favore delle popolazioni vittime dei conflitti.
All’interno di questa campagna trova spazio anche la richiesta di boicottaggio della multinazionale farmaceutica Teva, accusata di essere complice dell’occupazione e dell’apartheid. Una posizione forte, accompagnata però da una precisazione importante: tutti i farmaci prodotti da Teva hanno equivalenti, dunque il boicottaggio non mette a rischio la salute dei cittadini. È piuttosto un atto politico, un messaggio chiaro: non si può curare con i profitti di chi contribuisce a distruggere.
Quello che accade stasera a Ivrea, dunque, si inserisce in un quadro più ampio. Non è solo un corteo locale, ma parte di una mobilitazione nazionale che intende collegare ospedali, università e piazze italiane in una rete di resistenza civile. Una rete che vuole far capire che non basta denunciare a parole, ma che occorre prendere decisioni coerenti.
Alle 21, quando davanti all’ospedale di Ivrea si accenderanno le luci insieme a quelle di altre cento città italiane, si comporrà un mosaico fatto di piccoli gesti che però hanno un peso politico e simbolico enorme. Ogni candela, ogni torcia, ogni cellulare alzato verso il cielo dirà che le vite di Hammam Alloh, Adnan al-Bursh, Hani al-Jaafarawi e di centinaia di altri non sono state dimenticate. Che almeno per una sera, in Italia, in cento piazze, non si è stati indifferenti.
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