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Corteo pro Gaza, migliaia in marcia verso l’aeroporto di Caselle

Partiti da piazza Crispi a Torino, i manifestanti del Coordinamento Torino per Gaza puntano a bloccare lo scalo e lo stabilimento Leonardo. Massiccio spiegamento di forze dell’ordine, negozi chiusi e allerta massima lungo il percorso

Alcune migliaia di persone si sono messe in marcia nel primo pomeriggio da piazza Crispi, a Torino, in un corteo organizzato dal Coordinamento Torino per Gaza. L’obiettivo dichiarato, scandito più volte al megafono e scritto sugli striscioni, è stato chiaro sin dall’inizio: “Raggiungere e bloccare l’aeroporto Sandro Pertini di Caselle”. Non solo: i manifestanti hanno annunciato l’intenzione di puntare anche verso una delle sedi piemontesi del gruppo Leonardo, colosso dell’aerospazio e della difesa individuato come bersaglio simbolico e pratico della protesta.

Il concentramento è iniziato attorno alle 14. Un fiume di persone, composto da studenti, attivisti, realtà sindacali e gruppi della galassia antagonista, si è mosso compatto imboccando la statale in direzione nord. Lungo il percorso, attraversando Borgaro, si è formato un vero e proprio serpentone che ha dato l’idea della forza numerica e organizzativa dell’iniziativa. In testa, a fare da avanguardia, diverse centinaia di ciclisti: un’immagine insolita, quasi una staffetta, che ha aperto la strada al resto del corteo. Subito dietro, una lunga bandiera palestinese sventolata come fosse un vessillo di guerra e uno striscione che recitava: “Blocchiamo tutto”. Accanto, un altro con una scritta destinata a suscitare polemiche: “Fermiamo il Terzo Reich israeliano che ammazza i bambini e i giornalisti”.

Gli slogan non hanno lasciato spazio all’ambiguità: parole dure contro lo Stato di Israele, richiami al fermo immediato delle operazioni militari a Gaza e inviti alla disobbedienza civile. A colpire, tra i tanti episodi che hanno accompagnato il cammino del corteo, è stata la presenza di un bambino con il volto coperto da una kefiah che mimava il gesto di una fionda. Un’immagine fortemente simbolica, evocativa delle Intifada palestinesi e capace di riassumere l’aspetto generazionale e identitario della mobilitazione.

Prima della partenza, dal microfono sono arrivate parole ancora più nette: “A noi non basta che gli aiuti della Flotilla arrivino a Gaza, noi vogliamo che si fermi il genocidio e che venga fermata l’entità sionista di Israele”. L’appello ha suscitato applausi e cori, ribadendo la volontà di andare oltre la solidarietà simbolica: “Vogliamo continuare a mostrare e a praticare realmente quello che abbiamo promesso: bloccare tutto. Bloccare l’aeroporto Torino Caselle significa apportare un danno economico a uno dei punti nevralgici della viabilità nazionale e internazionale della regione Piemonte. Significa opporsi a continui voli verso Tel Aviv, voli che permettono ai soldati di atterrare in Italia per riposarsi dal genocidio”.

Il Coordinamento ha rivendicato con orgoglio le azioni delle ultime settimane: “Abbiamo dimostrato cosa significa realmente praticare un blocco. Bloccare i treni, come è stato fatto nelle stazioni di Porta Susa e Porta Nuova, bloccare le tangenziali, le autostrade, bloccare il proprio lavoro scioperando e partecipando alle manifestazioni ha mostrato un segnale storico senza precedenti”. In altre parole, un crescendo di iniziative tese a dimostrare la capacità di interrompere flussi e servizi considerati «complici» della guerra.

Particolarmente nel mirino la multinazionale Leonardo, accusata di essere parte integrante della catena bellica. Gli organizzatori hanno elencato al megafono dati e accuse: “A Leonardo vengono prodotte e assemblate le componenti dell’Eurofighter Typhoon e sviluppati droni, sistemi di sorveglianza e tecnologie di cybersicurezza: strumenti di guerra venduti e forniti a Israele”. Una denuncia che ricalca quella già portata avanti in altri cortei in Italia e in Europa, e che fa leva sulla contraddizione tra la vocazione industriale del Piemonte e il suo ruolo nella produzione di armamenti.

Sul fronte della sicurezza, la tensione è stata alta per tutta la giornata. Le forze dell’ordine hanno seguito da vicino ogni passo del corteo, con un elicottero che ha sorvolato l’area per ore e reparti in assetto antisommossa pronti a intervenire a ridosso dei varchi dell’aeroporto. La prefettura e la questura hanno predisposto piani di deviazione e di contenimento, mentre i sindaci di Borgaro e Caselle hanno firmato ordinanze per la chiusura dei negozi e lo stop alle attività pubbliche lungo il percorso. “I manifestanti non sono un numero tale da destare grande preoccupazione”, ha commentato il sindaco di Borgaro, Claudio Gambino, che però ha assicurato: “Le forze dell’ordine non permetteranno al corteo di arrivare nel nostro paese”.

La manifestazione, oltre a bloccare strade e a generare disagi, ha riacceso un acceso dibattito politico. Da una parte, i promotori rivendicano la legittimità della disobbedienza civile come forma di pressione internazionale; dall’altra, amministrazioni, compagnie aeree e rappresentanze dei lavoratori denunciano i danni che blocchi prolungati possono arrecare a passeggeri, imprese e lavoratori estranei al conflitto. Una tensione che si sposta così dal piano delle piazze a quello delle istituzioni e dell’opinione pubblica.

Intanto, Torino continua a confermarsi come epicentro di una stagione di mobilitazioni che mescolano solidarietà internazionale, pratiche di azione diretta e un crescente braccio di ferro con le autorità. Se il corteo riuscirà davvero a toccare i cancelli dello scalo o se verrà fermato prima, lo si saprà solo col passare delle ore. Quel che è certo è che la città vive una fase in cui la protesta non si limita più alle parole, ma punta a colpire nodi economici e infrastrutturali, con l’obiettivo dichiarato di rendere visibile e tangibile la propria opposizione alla guerra a Gaza.

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