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Attualià
23 Settembre 2025 - 19:33
C’erano i tamburi e le bandiere, ma soprattutto c’era un silenzio diverso, carico di rispetto, quando la folla ha preso a muoversi da piazza Carlo Felice. Diecimila persone hanno attraversato Torino nel pomeriggio del 22 settembre, chiedendo a gran voce lo stop al genocidio a Gaza. A colpire non è stato soltanto il numero, ma l’atmosfera: niente incidenti, nessun gesto violento. “Non ho visto uno scontro, una discussione. Niente. Perfino gli automobilisti che venivano fermati per far passare il corteo, tiravano giù i finestrini, sorridevano. La gente applaudiva. C’è chi partecipava dai balconi. Non c’è stato uno scontro”, ha raccontato la fotografa Donata Ponchia, che ha seguito passo dopo passo la manifestazione.
Eppure la giornata non era iniziata in modo semplice. Dalla mattina presto studenti e attivisti avevano occupato gli ingressi del Campus universitario Einaudi, bloccando le lezioni sotto la pioggia. “Blocchiamo tutto per Gaza, non possiamo più rimandare la costruzione di un mondo decente”, recitava il comunicato diffuso dai comitati studenteschi. Quelle parole sono diventate pratica quando i cortei hanno preso vita: in stazione Porta Nuova un gruppo ha occupato i binari, mentre in piazza Graf le fotografie della premier Giorgia Meloni e del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu venivano date alle fiamme, accompagnate dagli slogan “Intifada fino alla vittoria” e dalla voce corale di “Bella Ciao”.
Il corteo principale, imponente e colorato, ha seguito via Madama Cristina, riempiendo le strade di bandiere palestinesi. Attorno, la città reagiva: applausi dai balconi, automobilisti che si fermavano e, anziché inveire per il traffico bloccato, accoglievano i manifestanti con sorrisi. Persino nei momenti più tesi – come i blocchi stradali organizzati dal movimento Ultima Generazione in corso Vittorio Emanuele II, con attivisti incatenati ai semafori – la tensione non si è trasformata in scontro. La Digos è intervenuta per le identificazioni, ma la piazza ha mantenuto il suo volto pacifico.
Nel pomeriggio il corteo si è sciolto in direzioni diverse. Alcuni hanno proseguito verso la stazione Lingotto, altri hanno organizzato presìdi davanti alle Molinette, altri ancora hanno scelto la suggestione dei Murazzi: canoe sul Po con le bandiere palestinesi che sventolavano sotto gli applausi della gente assiepata sulle sponde. Sul ponte Umberto I uno striscione recitava «Rompere con Israele», segno che la protesta non era soltanto testimonianza ma anche sfida politica.
Per chi c’era, resta impressa un’immagine precisa: Torino come un grande coro collettivo, capace di fondere rabbia e dolore in un linguaggio pacifico e condiviso. Una città che, almeno per un giorno, ha risposto unita all’appello dei manifestanti. Le fotografie di Donata Ponchia hanno immortalato quella dimensione inattesa: una manifestazione radicale nei contenuti, ma dolce nel modo di occupare lo spazio urbano. “La gente applaudiva. Non c’è stato uno scontro”, ripete la fotografa. Ed è forse in questa frase che si racchiude il senso di una giornata che ha fatto della pace il suo gesto più forte.
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