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Pontida, pane e salame, Bardella e Bolsonaro, Salvini e l'Europa

Sul pratone leghista va in scena l’ennesima recita: promesse mai mantenute, ospiti importati dall’estero per fingere grandezza, slogan triti e ritriti. Salvini recita da capo, ma la Lega è un partito in disarmo

Sul pratone di Pontida, ieri, si è celebrata la consueta liturgia padana. Un tempo c’erano i gazebo sgangherati, le ampolle del Po, i cori contro “Roma ladrona” e Umberto Bossi col dito medio alzato. Oggi, sullo stesso prato, si consuma la fiera del sovranismo internazionale, con Matteo Salvini a fare da cerimoniere di un circo che non riesce più a inventarsi nulla di nuovo se non importare ospiti dall’estero per dare un briciolo di smalto a una sceneggiata ormai sfiatata. Il prato di Pontida non è più il luogo della rivolta popolare padana, ma un palcoscenico a pagamento, dove i sovranisti globali vengono a fare passerella.

E così, accanto al generale Roberto Vannacci, la nuova mascotte dell’ultradestra italiana che continua a parlare di “orgoglio identitario” e “famiglia tradizionale” come un disco rotto, sono spuntati Flavio Bolsonaro, rampollo dell’ex presidente brasiliano Jair, e Jordan Bardella, erede politico di Marine Le Pen e leader in pectore della destra francese. Un selfie globale della destra nazionalista, pronta a raccontare al mondo che l’Italia non conta nulla, ma Pontida sì: basta invitare chiunque abbia un cognome altisonante o una carica da “nuovo volto dell’estrema destra” per gridare contro l’immigrazione, Bruxelles e i poteri forti (senza mai spiegare quali siano e, soprattutto, perché non vengano mai scalfiti).

Bolsonaro junior ha fatto il compitino: applausi a Salvini, attacchi a Lula e alla sinistra brasiliana, difesa del buon papà accusato di corruzione, devastazione ambientale e gestione da dilettante allo sbaraglio della pandemia. Nulla di nuovo, se non il folklore tropicale trapiantato nella brughiera lombarda. L’importante era esserci, dare una pennellata esotica al prato bergamasco e regalare al leader della Lega la sensazione di contare qualcosa oltre l’Adda. Peccato che in Brasile i Bolsonaro stiano vivendo più di guai giudiziari che di successi politici. Ma a Pontida funziona: applausi, abbracci, selfie e bandiere, in un’orgia di folklore che confonde la geografia con la geopolitica.

Bardella, dal canto suo, ha fatto il Bardella: toni da tribuno, faccia pulita, frasi già sentite mille volte. L’Europa che toglie sovranità, l’immigrazione da fermare, la necessità di difendere le radici cristiane dell’Occidente. Ha provato a portare un po’ di glamour parigino nella provincia padana, ma alla fine è rimasto incastrato nel copione di Pontida: slogan semplici, applausi garantiti, zero sostanza. Applausi a scena aperta, come se a Pontida fosse in ballo il destino della Francia e non l’ennesima recita di Salvini che promette autonomia, flat tax e pace fiscale da anni senza combinare un tubo. Bardella ha parlato come se già fosse all’Eliseo, ma il prato di Pontida non è l’Eliseo: è un prato incolto dove un partito in declino cerca ossigeno e visibilità.

Il bello è che mentre Bardella sogna l’Eliseo e Bolsonaro jr difende il cognome, Salvini sogna solo se stesso. E per non svegliarsi, si aggrappa al pratone come a un talismano. Non importa che la Lega sia ai minimi storici nei sondaggi, che Giorgia Meloni gli abbia soffiato la leadership della destra, che i suoi stessi governatori del Nord preferiscano non farsi vedere troppo per non restare invischiati in un teatrino che serve più al narcisismo del capo che al partito. A Pontida, per un giorno, Salvini torna il capo. Il capo di un popolo che non esiste più, ma che applaude ancora i suoi slogan vuoti come se fosse il 2018 e la “Bestia” di Morisi fosse ancora accesa.

Le “provocazioni”? Sempre le stesse: “Difendere i confini non è reato”, “Revoca della cittadinanza a chi commette crimini”, “Bruxelles ci opprime”. Lo spartito non cambia mai, ma il pubblico continua a battere le mani come fosse un concerto dei Pooh. E così, tra bandiere verdi, felpe nuove di zecca e applausi forzati, il teatro dell’assurdo si ripete: predicare libertà e sovranità invocando leader stranieri, sventolare la Padania con ospiti che non saprebbero neppure trovarla sul mappamondo, rivendicare un’identità che si scioglie come neve al sole appena si chiude la kermesse e si torna nei palazzi romani a spartirsi poltrone e appalti.

C’è stato anche l’ennesimo inno alla “autonomia differenziata”, il cavallo di battaglia che Salvini sventola da decenni ma che, nei fatti, rimane un miraggio: un disegno di legge approvato a fatica, contestato ovunque e che rischia di restare lettera morta. Intanto, però, serve da slogan. Come la flat tax: promessa a ogni Pontida dal 2013 in poi, mai realizzata, mai nemmeno sfiorata. Ma guai a chiedere conto delle promesse tradite: il popolo del prato preferisce credere che l’anno prossimo, sì, sarà quello buono.

E intanto si grida contro Bruxelles, si dipinge l’Unione Europea come un mostro che toglie diritti, soldi e dignità. Poi però si incassano miliardi di fondi PNRR, si siedono nei ministeri, si occupano sottosegretariati e si ringrazia l’Europa ogni volta che bisogna tappare un buco di bilancio. Ipocrisia? No, routine politica. A Pontida funziona.

Il finale è stato degno di una commedia all’italiana: Salvini che ringrazia gli ospiti stranieri come se fossero garanti della sua legittimità politica. Un leader che non guida più, che non vince più, che sopravvive solo mettendo insieme la nostalgia del Bossi di trent’anni fa e le comparsate di Bolsonaro e Bardella. Un capo che parla di “popolo libero” mentre si inchina ai potentati esteri per strappare un applauso in più.

Insomma, Pontida è sempre Pontida: la messa laica di un partito che si è perso per strada e che, non sapendo più chi è, si affitta Bolsonaro e Bardella per fingere di essere ancora qualcosa. Uno spettacolo triste, condito da tanta retorica e poca politica. Ma almeno, per un giorno, Salvini ha potuto illudersi di essere ancora il leader che fu.

La sagra di Pontida

Ogni anno, sul prato di Pontida, si consuma la più grande sagra di paese della politica italiana. C’è chi porta il salame, chi la birra, chi il fischietto, e chi — come Matteo Salvini — porta la stessa minestra riscaldata: confini da difendere, Bruxelles da insultare, cittadinanze da revocare, tasse da abbassare (mai). È un menù che conosciamo bene, tipo la grigliata mista che trovi in ogni festa di Pro Loco: rassicurante, sempre uguale, e dopo un po’ indigesto.

Quest’anno, per non annoiarsi troppo, hanno deciso di invitare anche ospiti dall’estero: Flavio Bolsonaro, con il pedigree del padre, e Jordan Bardella, con l’aria da bravo ragazzo che però, quando parla di immigrazione, sembra appena uscito da un manuale per nostalgici delle frontiere. A guardarli tutti insieme sul palco, veniva in mente la fiera campionaria delle destre sovraniste: un po’ padane, un po’ brasiliane, un po’ francesi, tutte unite dall’idea che se chiudi i porti, butti via i migranti e insulti Bruxelles, il mondo diventa improvvisamente un posto migliore.

Sul prato, intanto, i militanti applaudono felici, come se stessero assistendo al concerto del liscio. L’atmosfera è quella della festa patronale: bandiere, cori, bambini che corrono, salamelle che sfrigolano. E in mezzo, Salvini, che parla come fosse il parroco all’omelia: “Fratelli e sorelle, difendere i confini non è reato, abbasso l’Europa cattiva, viva l’autonomia”. Applausi, ola, selfie. Poi tutti a casa, come dopo i fuochi d’artificio della domenica sera.

Il punto è che Pontida non è più politica, è folclore. Non è più progetto, è sagra. Non è più un partito, è un luna park della nostalgia. L’Italia è in recessione, i conti pubblici arrancano, le famiglie faticano, e a Pontida si discute di ampolle, di Padania, di Bolsonaro jr. Roba che, se la racconti a un francese o a un tedesco, pensano tu stia parlando di una rievocazione storica medievale con stand gastronomici.

E forse è proprio questo il segreto: trasformare la politica in un eterno Ferragosto, dove non importa se le promesse restano lettera morta, se la flat tax non si vede, se l’autonomia è solo uno slogan. L’importante è fare un po’ di casino sul prato, dare l’impressione che la Lega sia ancora viva, e tornare a Roma a fare ciò che fanno tutti: spartirsi ministeri e sottosegretariati.

Pontida, insomma, è la sagra di paese più riuscita d’Italia: l’unica dove invece di vincere il prosciutto alla pesca di beneficenza, ti porti a casa una foto con Bardella.

FOTO IMAGOECONOMICA

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