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06 Settembre 2025 - 16:47
Si conclude nel nome dello sport il viaggio istituzionale del sindaco di Torino Stefano Lo Russo e del rettore del Politecnico Stefano Corgnati in Argentina, con una cerimonia carica di emozione nello stadio Monumentál di Buenos Aires. Qui, il Club Atlético River Plate ha accolto la delegazione torinese per rinnovare un legame che affonda le radici nella tragedia di Superga e nella solidarietà che il calcio seppe esprimere oltre i confini nazionali. Fu infatti il River, nel 1949, a raccogliere l’invito a disputare un’amichevole a Torino con il “Torino Simbolo”, una squadra composta da giocatori italiani e stranieri chiamati a tenere viva la memoria del Grande Torino e a sostenere economicamente il club granata piegato dal lutto. Oggi, a distanza di settantacinque anni, quel gesto è ancora ricordato come un atto di fratellanza calcistica e umana. “Il legame tra le nostre città e i nostri club va oltre il calcio. È un esempio di fratellanza, memoria e gratitudine che unisce Torino e Buenos Aires da oltre settant’anni”, ha dichiarato Lo Russo. Mentre il rettore Corgnati ha aggiunto: “Il gesto del River Plate rimane una lezione di solidarietà e rispetto che vogliamo trasmettere alle nuove generazioni, anche attraverso la collaborazione accademica e culturale tra Italia e Argentina”.
Nella sala del museo del River Plate, dove una sezione è dedicata proprio al Grande Torino, sindaco e rettore hanno reso omaggio a quella memoria consegnando due maglie simboliche: una di Duvan Zapata, attuale capitano granata, e una di Giovanni Simeone, figlio d’arte e cresciuto calcisticamente proprio nel River, a suggellare un ponte ideale tra passato e presente. Un gesto semplice ma significativo che ha chiuso un viaggio istituzionale fitto di incontri e accordi, che ha visto Torino stringere nuove alleanze con città e università argentine, rinsaldando il rapporto con una comunità di oltre tre milioni di discendenti piemontesi che in Argentina hanno trovato una seconda casa.
La missione è iniziata a Córdoba, dove Lo Russo e Corgnati hanno celebrato con il sindaco Daniel Passerini il 40° anniversario del gemellaggio tra le due città. Un legame storico, reso ancora più attuale dalla visita al memoriale dedicato ai desaparecidos nell’ex centro clandestino di detenzione “D2”, costruito grazie a una collaborazione tra le due amministrazioni. Qui il passato drammatico della dittatura militare si è intrecciato alla memoria civile, offrendo a Torino un riconoscimento per le sue politiche partecipative: il progetto “Voci di quartiere” ha infatti ricevuto il premio “Best Practice in Citizen Participation” come modello internazionale di gestione urbana. Sempre a Córdoba, il Politecnico di Torino ha rinnovato l’accordo con l’Universidad Nacional de Córdoba per il doppio titolo di laurea, ampliando la collaborazione alla ricerca congiunta in settori strategici come l’aerospazio e la meccanizzazione agricola. Un passo importante che conferma il ruolo centrale dell’ateneo torinese nella rete internazionale della formazione tecnica e scientifica.
A Rosario, il sindaco Pablo Javkin ha accolto Lo Russo per firmare un protocollo di collaborazione che rilancia la cooperazione tra le due città, storicamente legata all’emigrazione piemontese. Parallelamente, il Politecnico ha siglato una lettera di intenti con l’Universidad Nacional de Rosario per l’attivazione di un ulteriore percorso di doppio titolo, consolidando così la presenza accademica torinese anche sulle rive del Paraná. La missione ha poi raggiunto Buenos Aires, dove l’incontro con il sindaco Jorge Macri ha aperto un tavolo di confronto sui temi della sostenibilità dei trasporti urbani, della gestione dei rifiuti e dei rapporti tra università e imprese. Un dialogo che non si è fermato ai piani politici, ma si è esteso anche a luoghi simbolici: la delegazione torinese ha visitato il Museo dell’Immigrazione Muntref, guidata dallo storico Marcelo Huernos, e ha preso parte a un evento significativo, la decisione del parlamento di Buenos Aires di istituire un Museo della Italianità che sorgerà sulle rive del Río de la Plata, accanto al monumento a Cristoforo Colombo.
In ogni tappa, il sindaco ha voluto sottolineare la forza delle radici comuni. “Questa missione serve a ricostruire le radici di un passato nemmeno troppo lontano e ancora molto sentito e vivo”, ha dichiarato incontrando i rappresentanti delle associazioni piemontesi di Córdoba e di altre province argentine, come FAPA, AFAPIECO e CePIT. Parole che hanno trovato eco in un’accoglienza calorosa, segno di un legame che va oltre la retorica istituzionale e che testimonia l’affetto di intere generazioni di argentini verso la terra dei loro nonni e bisnonni.
Il viaggio in Argentina di Stefano Lo Russo si è quindi concluso con una cornice sportiva, ma il suo vero cuore è stato un intreccio di memoria, cultura, innovazione e diplomazia. Torino ha rafforzato i rapporti con città sorelle, ha ampliato collaborazioni universitarie di rilievo, ha celebrato il suo patrimonio civile e sportivo e ha rilanciato la propria immagine come città capace di fare da ponte tra Europa e America Latina. E lo ha fatto non soltanto con i gesti formali delle firme e dei protocolli, ma con simboli forti, come le maglie granata donate al River Plate o l’abbraccio con la comunità piemontese d’oltreoceano. È il racconto di una città che guarda al futuro senza dimenticare il passato, che costruisce innovazione accademica senza perdere il senso delle proprie radici, che rinnova la propria storia di solidarietà e amicizia internazionale davanti a uno stadio gremito, nel ricordo di quel Torino che non smetterà mai di essere “Grande”.
Prendono l’aereo, sempre. I nostri governatori, sindaci, assessori, presidenti: loro volano. America Latina, Stati Uniti, Asia, l’importante è che sia lontano. Ci vanno in “missione istituzionale”, la formula magica che autorizza a parlare di “rapporti strategici” e “nuove opportunità”, mentre la foto è sempre la stessa: un politico sorridente davanti a una bandiera, un bicchiere di vino in mano e qualcuno che applaude per cortesia. Poi tornano e raccontano di protocolli firmati, di intese siglate, di gemellaggi che nessuno ricorda, e di “ponti culturali” che si riducono a una cena di gala.
Il conto, naturalmente, resta qui. Lo pagano i contribuenti che nel frattempo aspettano l’autobus in ritardo, la strada asfaltata da mesi, la mensa senza vermi, il pronto soccorso che non ti fa invecchiare in barella. Ma vuoi mettere la soddisfazione di dire che “Torino è più vicina a Buenos Aires” o che “il Piemonte dialoga con Rosario”? Già, peccato che Torino e Buenos Aires distino sempre undicimila chilometri, e Rosario resti Rosario.
Sono viaggi meravigliosi, per carità. C’è sempre un monumento da visitare, un museo da inaugurare, una comunità di emigrati che applaude, un calice da alzare. E loro ci raccontano che hanno “rafforzato i legami storici” e “promosso la città nel mondo”. In realtà hanno rafforzato solo i legami con la business class.
Insomma, i governatori viaggiano, si fanno i loro selfie istituzionali, e noi restiamo qui a fare i conti. Con i buchi in bilancio, con le buche per strada, con l’aria che manca negli ospedali. Ma tranquilli: se chiediamo spiegazioni ci diranno che il loro viaggio era necessario. Perché senza quell’accordo firmato a dodicimila chilometri, noi non saremmo mai stati gli stessi. E infatti siamo sempre gli stessi.
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