AGGIORNAMENTI
Cerca
Attualità
30 Agosto 2025 - 16:41
La strada si inerpica in salita, l’estate sta finendo, e la Lega sceglie di arrampicarsi fino a Pian del Re, alle sorgenti del Po, per ritrovare se stessa. O almeno provarci. Ai duemila metri sotto il Monviso, dove trent’anni fa Umberto Bossi inventò il rito dell’ampolla e battezzò il fiume sacro al Nord, oggi il partito mette in scena il suo ritorno alle origini. Niente acqua raccolta tra cori celtici e mantelli verdi, niente liturgie padane d’altri tempi: l’ampolla resta un cimelio da museo. Eppure il richiamo è chiaro, quasi ossessivo: tornare al luogo simbolico, aggrapparsi all’immaginario fondativo per dire che il Carroccio non ha dimenticato le sue radici. Radici che però, a furia di essere sbandierate, rischiano di sembrare ormai più un pretesto scenografico che una bussola politica.
Sin dalle prime ore del mattino i militanti sono saliti in processione verso il piazzale, riempiendo in fretta il piccolo parcheggio alpino. Zaini, cappellini verdi, bandiere che sventolano: l’atmosfera è quella delle gite sociali, più che di un appuntamento storico. Sul palco improvvisato sfilano i volti noti. Il senatore Giorgio Maria Bergesio fa da apripista, recitando il mantra identitario: “Un popolo che non ha memoria non ha futuro. Noi valorizziamo le nostre radici”. Una frase che suona come un disco rotto: la memoria sì, ma il futuro, almeno finora, non si è visto.
L’ex assessore Luigi Icardi alza un po’ i toni e lascia cadere la frecciata: “Siamo quelli veri”. Eccola, la vecchia ferita. Da un lato i nostalgici dell’epoca bossiana, dall’altro la Lega nazionale targata Matteo Salvini, che a Pian del Re preferisce non farsi vedere troppo. Niente sfida aperta al leader, ma un messaggio in bottiglia che arriva comunque chiaro: il partito è spaccato tra chi sogna ancora la Padania e chi si accontenta di ministeri e poltrone a Roma.
A stemperare ci pensa Riccardo Molinari, che fa il pompiere istituzionale. Difende Salvini ministro delle Infrastrutture, elenca un rosario di opere: il tunnel del Tenda, l’autostrada Asti-Cuneo, collegamenti vari e tangenziali. Opere che da anni rimbalzano nei discorsi ma che sul terreno restano incompiute, promesse che sembrano più miraggi che cantieri. Sul fronte elezioni comunali, getta sul tavolo i nomi di Tronzano e Marrone come “autorevoli”, ma subito precisa che ci sarà un tavolo regionale, decisioni collegiali, nessuna fuga in avanti. Insomma: le solite frasi da manuale, perfette per non decidere nulla.
Poi arriva lui, il grande sacerdote dell’autonomia differenziata, Roberto Calderoli. Un anno fa, proprio su queste montagne, brindava per la legge sull’autonomia. Poi è arrivata la Corte Costituzionale a smontarne pezzi interi, e la montagna ha partorito l’ennesimo topolino. Ma Calderoli non si scompone: “Ho avuto il via libera di quattro regioni sulle prime quattro materie”, annuncia. E promette: se ci sarà anche il benestare di Giorgia Meloni, “prima di Pontida si sottoscriveranno le prime quattro pre-intese”. La tempistica, ovviamente, è perfetta: giusto in tempo per il grande raduno di settembre. Un deja-vu che si ripete da decenni: l’autonomia è sempre lì, dietro l’angolo, ma non arriva mai. Un cantiere eterno che serve più a dare ossigeno ai comizi che a cambiare davvero l’Italia.
Sul fronte economico, la lista dei desideri è sempre la stessa: rottamazione, flat tax, pace fiscale. Cavalli di battaglia riproposti con la stessa insistenza con cui si ripete il rosario. Ma quando i numeri della legge di bilancio arriveranno sul tavolo, sarà chiaro che quelle bandiere resteranno per lo più piegate. Intanto, però, servono a galvanizzare i militanti, che ascoltano tra un applauso e una fetta di salame, aspettando il pranzo conviviale.
Il senso politico del raduno è presto detto: tra Pian del Re e Pontida si gioca la partita della sopravvivenza di un’identità in bilico. Da un lato la nostalgia delle origini, con l’ombra lunga di Bossi che ancora aleggia tra le sorgenti del Po; dall’altro la necessità di mostrarsi partito di governo, pronto a trattare con Meloni e a reggere l’urto della prossima manovra economica. La cornice alpina non è solo una cartolina, è la scenografia scelta per mascherare la fatica di un partito che arranca.
E così, mentre i discorsi si spengono e la fila per la polenta si allunga, resta l’impressione di una giornata sospesa tra mito e stanchezza. Senza l’ampolla, senza il folklore che almeno strappava un sorriso, resta un partito che sembra ripetere all’infinito le stesse frasi, convinto che l’eco rimbombi più forte se gridato sotto il Monviso. Ma l’eco si perde presto, giù lungo il Po, che scende sempre più magro e che oggi sembra portarsi via, insieme all’acqua delle sorgenti, anche un pezzo di credibilità politica.
Edicola digitale
I più letti
LA VOCE DEL CANAVESE
Reg. Tribunale di Torino n. 57 del 22/05/2007. Direttore responsabile: Liborio La Mattina. Proprietà LA VOCE SOCIETA’ COOPERATIVA. P.IVA 09594480015. Redazione: via Torino, 47 – 10034 – Chivasso (To). Tel. 0115367550 Cell. 3474431187
La società percepisce i contributi di cui al decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70 e della Legge Regione Piemonte n. 18 del 25/06/2008. Indicazione resa ai sensi della lettera f) del comma 2 dell’articolo 5 del medesimo decreto legislativo
Testi e foto qui pubblicati sono proprietà de LA VOCE DEL CANAVESE tutti i diritti sono riservati. L’utilizzo dei testi e delle foto on line è, senza autorizzazione scritta, vietato (legge 633/1941).
LA VOCE DEL CANAVESE ha aderito tramite la File (Federazione Italiana Liberi Editori) allo IAP – Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria, accettando il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.