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14 Agosto 2025 - 18:16
C’era anche lei, Sofia Tarantino, sabato scorso al 180° presidio per la pace di Ivrea.
Giovanissima, appena 14 anni, ha cantato tre brani di cui è autrice: Anjelika, Even in the silence e I bambini della guerra. Parole e musica con al centro i più fragili, i bambini, quelli che ieri come oggi hanno pagato e continuano a pagare il prezzo più alto delle guerre. Un intermezzo musicale che non è stato solo un momento artistico, ma una parte integrante del presidio: la conferma che l’impegno per la pace deve passare anche attraverso le nuove generazioni.
Alle 11.02, nell’ora esatta in cui nel 1945 una bomba atomica cancellò la città giapponese di Nagasaki facendo 74 mila vittime, in Piazza del Municipio Pierangelo Monti ha chiesto un minuto di silenzio. Tre giorni prima era toccato a Hiroshima, con la morte di 140 mila persone. “210 mila morti!!!”, ha stigmatizzato Monti, sottolineando che ancora oggi, a ottant’anni di distanza, i governanti non hanno fatto i conti con quei crimini contro l’umanità.
Monti ha denunciato come la minaccia nucleare non sia un ricordo del passato ma una realtà attuale. Ha citato i dati: 12.241 testate nucleari nel mondo, di cui quasi 4.000 pronte all’uso immediato. “Più di quaranta – ha evidenziato – si trovano in Italia, nelle basi Nato di Ghedi e Aviano... Nel 2024 sono stati spesi cento miliardi di euro per mantenere e modernizzare gli arsenali nucleari, 110 milioni di euro ogni ora”.
Tra i momenti più intensi, la lettura del messaggio del sindaco di Hiroshima, Kazumi Matsui, sulla crescente corsa agli armamenti a livello globale, sull’invasione russa dell’Ucraina e sui massacri in Palestina. “Anche Papa Leone XIV ha sottolineato che la vera pace richiede l’audacia di deporre le armi, in particolare quelle nucleari”, ha commentato Monti.
Dal 2021 Ivrea aderisce alla rete internazionale dei Mayors for Peace, fondata dai sindaci di Hiroshima e Nagasaki. In Italia sono 526 i Comuni iscritti, oltre 8.000 nel mondo, e dal presidio è partito un appello agli altri Comuni del Canavese ad aderire, come hanno già fatto Cuorgnè e Strambino.
Quest’anno l’impegno è stato dedicato ai 38.000 bambini uccisi nei bombardamenti del 1945. “Non possiamo separare quella memoria dall’orrore dei migliaia di bambini che muoiono oggi a Gaza e in Palestina”, ha sottolineato Lisa Clark, referente italiana della Rete Pace e Disarmo, già premio Nobel per la Pace con la Campagna ICAN per l’abolizione delle armi nucleari.
Monti ha quindi stigmatizzato la decisione del governo israeliano di proseguire nella distruzione della Striscia di Gaza e ha fatto proprie le richieste della Rete Pace e Disarmo: condanna dei crimini commessi, apertura dei valichi, fine del blocco degli aiuti, sospensione delle forniture militari, sostegno alla Corte Penale Internazionale e riconoscimento dello Stato di Palestina. “Non è più il tempo delle sole parole – ha ribadito – la neutralità, in tempo di genocidio, è complicità”.
Tra i presenti, la vice sindaca Patrizia Dal Santo, in veste ufficiale con tanto di fascia, ha evidenziato che i trattati sono stati dimenticati ma che le amministrazioni comunali possono e devono alzare la voce. Tra gli esempi da seguire: la protesta dei portuali di Genova contro le navi cariche di armi. L’assessora Gabriella Colosso ha letto la Dichiarazione di Pace di Hiroshima, con le testimonianze di hibakusha e l’invito a non arrendersi mai nella battaglia per il disarmo. Ha dato lettura anche della lettera del sindaco Matsui ai Mayors for Peace, che invita le città a rafforzare la rete.
La risposta del Comune di Ivrea è stata netta: “In tempi oscuri si deve alzare la voce della fraternità per costruire un mondo di Pace”.
Intense le cronache di Cadigia Perini su Beit Ummar, città gemellata con Ivrea.
“Controlli e perquisizioni prolungati, trattamenti violenti e umilianti: questi sono i check point gestiti dai militari israeliani in Cisgiordania. B’Tselem (l’organizzazione israeliana per i diritti umani) e Palestine Monitor hanno denunciato come molti malati, donne incinte e neonati palestinesi siano morti per essere stati bloccati o fermati a lungo ai checkpoint mentre venivano condotti in ospedale. Spesso poi i checkpoint vengono chiusi del tutto, all’improvviso. Il massimo di violenza e sopruso si verifica però quando i soldati aprono il fuoco senza motivo, evidentemente per puro divertimento, contro cittadini palestinesi in transito senza che questi rappresentino alcun pericolo. I checkpoint bloccano tutti, non importa se devi andare al lavoro, da un medico, a fare un acquisto, anche i bambini che vanno a scuola vengono bloccati. Palestine Monitor riferisce che i bambini sono vittime di insulti, percosse e disprezzo da parte dei soldati israeliani. Come risultato di questa intimidazione sempre più bambini abbandonano la scuola o rimandano il completamento della loro istruzione. È sempre stato così, siamo sempre stati privati delle libertà, ma oggi siamo animali in gabbia, e lo sono i bambini a cui diciamo di non uscire a giocare perché non sappiamo se torneranno a casa vivi”.
Infine Giorgio Franco ha commentato alcune dichiarazioni della senatrice Liliana Segre sull’uso del termine genocidio. Franco ha spiegato che genocidio è una definizione giuridica precisa, adottata dall’ONU nel 1948, e utilizzata da giuristi, relatori internazionali, rapporti ufficiali e organizzazioni come Amnesty International, Human Rights Watch e B’Tselem. “Non è un insulto ma la definizione di quanto accade a Gaza. Trattarlo come una parola sporca significa svuotare di senso i fatti”.
Franco ha aggiunto che “il Sudafrica ha portato Israele davanti alla Corte Internazionale proprio con l’accusa di genocidio. Francesca Albanese, relatrice speciale ONU per i diritti umani nei territori occupati, ha parlato più volte di genocidio in atto. Non siamo di fronte a opinioni, ma a categorie giuridiche precise”.
Ha sottolineato che l’abuso non è nell’uso del termine genocidio, ma semmai nella sua negazione: “Chi oggi lo nega trasforma la memoria della Shoah in un recinto che impedisce di vedere Gaza. In questo modo i palestinesi vengono fatti morire due volte: sotto le bombe e poi nel linguaggio”.
E secondo Franco, l’errore di Segre è di ridurre l’uso del termine genocidio a una rivalsa, a una forma di antisemitismo mascherato. “Ma non è così – ha specificato – chi oggi usa quel termine lo fa non per vendetta, ma per amore della verità storica. Perché i morti non si pesano, si piangono. E la neutralità, davanti a un genocidio, diventa complicità”.
Il 180° presidio si è così concluso con l’impegno rinnovato della città di Ivrea a non tacere di fronte alle guerre, a sostenere la rete dei Comuni per la pace con l’invito ad aderire ai Mayors for Peace e a partecipare alla manifestazione straordinaria del 26 settembre, Giornata internazionale per l’eliminazione totale delle armi nucleari, quando a Ivrea i giovani del Canoa Club sfileranno in Dora con le bandiere della pace.
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