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29 Giugno 2025 - 00:35
Sabato 28 giugno. Fa caldo, ma in piazza sono tornati i cartelli, le bandiere, le voci. Nessun palco, nessuna musica, nessuna retorica da comizio. Solo la determinazione ostinata di un gruppo di cittadini che da 174 settimane – senza interruzioni – si dà appuntamento ogni sabato per ricordare che la guerra non è la normalità, che il dolore degli altri non può essere archiviato, che il silenzio, a volte, è complice. Una piazza, come sempre, sobria, essenziale, carica di tensione morale. Ed è qui che si respira un senso di urgenza, di rabbia trattenuta, di necessità di rompere quel muro di indifferenza che c’è, nonostante tutto.
A dare voce a tutto questo è stato Pierangelo Monti. Ha aperto il presidio con parole dure, senza giri di frase.
“Denunciamo il massacro delle popolazioni civili, l’uso unilaterale della forza, le violazioni del diritto internazionale, il disprezzo dell’Onu, della Corte e del Tribunale internazionali, che non conoscono più alcun limite.”
A fargli eco, un passaggio tratto da un recente intervento di Paolo Pezzati di Oxfam Italia:
“A Gaza non entra quasi più nulla. Più di 80 giorni di blocco: niente cibo, niente acqua, niente medicine. La Gaza Humanitarian Foundation è uno strumento militare travestito da piano umanitario.”
Monti ha sottolineato, con voce ferma ma vibrante, l’ipocrisia dell’Occidente: “Israele fa ciò che vuole perché Usa ed Europa glielo permettono: questa complicità deve finire.”
Parole che graffiano. Parole che non chiedono il permesso. Non è solo indignazione: è consapevolezza lucida e determinata.
Il discorso si è allargato ad altri fronti di guerra: Ucraina, Libano, Yemen, Iran.
“Assistiamo a uno spettacolo indecente di sprezzo dei diritti umani. Massacri di civili, attacchi a scuole, ospedali, luoghi di culto. Bambini sbranati dalle bombe mentre l’Occidente si lava le mani e firma nuovi contratti d’armi.”
Monti ha anche ricordato che, mentre i cittadini di Ivrea si ritrovavano per il 173° presidio, centomila persone manifestavano a Roma. E che proprio quella notte, gli Stati Uniti avevano lanciato un’azione di guerra preventiva contro l’Iran.
“È inaccettabile. Gli Usa si autoassolvono, impongono il disarmo agli altri, mentre accumulano arsenali. Quanta incoerenza. E i popoli non si ribellano abbastanza.”
Poi i numeri. La corsa al riarmo, le nuove soglie di spesa militare imposte dalla Nato, l’accettazione supina dell’Europa. Monti ha fatto i conti a voce alta: l’Italia passerà da 35 miliardi a oltre 100 miliardi all’anno per spese militari. Un totale di quasi 700 miliardi in dieci anni.
“Cosa significa questo? Che taglieranno sanità, scuola, investimenti sociali, ambiente, cultura. Tutto ciò che serve a costruire la pace verrà smantellato per preparare la guerra.”
Infine, ha citato Papa Leone, che pochi giorni fa ha denunciato il ritorno alla “legge del più forte”. E ha posto una domanda che, in piazza, è rimasta sospesa nell’aria: “Come si può continuare a tradire i desideri di pace dei popoli con la propaganda del riarmo?”
Da Gaza a Beit Ummar, la città palestinese gemellata con Ivrea, devastata dagli assalti dell’esercito israeliano. A raccontare cosa succede là, dietro le righe di una corrispondenza silenziosa e censurata, è stata Cadigia Perini.
Il tono è basso, ma deciso. “Riceviamo notizie di detenzioni amministrative - racconta - Case devastate, negozi saccheggiati, soldi, cellulari e automobili confiscati. L’ultimo raid è durato cinque ore. Le immagini sono eloquenti. Ma l’amministrazione di Beit Ummar non può neppure scriverci: ogni email può diventare un pericolo.”
Non è solo denuncia. È anche proposta. Perini ha rilanciato l’iniziativa del CRED, con la rete di giuristi messa a disposizione per documentare le violazioni. L’assessora Patrizia Del Santo ha ricevuto la richiesta di scrivere all’amministrazione palestinese, ma – comprensibilmente – la risposta non è arrivata.
“Ed è proprio questo silenzio a raccontare la gravità della situazione. Le parole si pagano care, in Cisgiordania.”
E se le parole mancano, parlano le immagini. Perini ha mostrato una fotografia arrivata da Beit Ummar. Un volto, una casa devastata, un pezzo di vita spezzata. La piazza si è stretta attorno a quell’immagine. Non c’è bisogno di spiegare. Si capisce tutto. Intanto si rilancia la bancarella di solidarietà per raccogliere fondi durante la Festa di San Savino.
Ma non basta. Perché la lotta passa anche dai gesti quotidiani, come la spesa. Sempre Perini ha letto una lettera rivolta alla Nova Coop, firmata da soci e consumatori eporediesi. È una lettera pacata ma decisa, che chiede un segnale concreto.
“Non si può restare indifferenti. Coop Alleanza ha tolto arachidi, tahina e Sodastream. Chiediamo che anche Nova Coop faccia lo stesso.”
La richiesta è coerente con la Carta dei Valori Coop, che parla di giustizia, etica e rispetto dei diritti umani. E si conclude con un invito positivo: “Inserite nel vostro assortimento la Gaza Cola, un prodotto 100% palestinese, i cui proventi finanzieranno la ricostruzione di un ospedale.”
Un modo semplice ma potente per scegliere da che parte stare, anche al supermercato.
Poi ha preso la parola Franco Giorgio, leggendo un articolo dell’attivista di Gaza Muhammad Shehada, pubblicato il 24 giugno.
“Il risveglio dell’Europa su Gaza è una farsa. Le revisioni dell’accordo UE-Israele confermano crimini di guerra, ma poi non cambia nulla. È tutto calcolo diplomatico, simulazione di preoccupazione.”
Shehada racconta una verità scomoda: le sanzioni europee sono gesti simbolici, senza ricadute. I governi preferiscono spostare l’attenzione sull’Iran per spostare Gaza ai margini del dibattito. “Si tratta di guadagnare tempo e lasciare che la pressione pubblica si plachi.”
La piazza, di nuovo, è in silenzio. Ma è un silenzio denso. Un silenzio che ascolta.
A chiudere è stato Livio Obert, che ha messo in guardia dalla manipolazione dei numeri del riarmo, ben più alti di quanto si dica. Poi ha letto un editoriale apparso su Il Risveglio Popolare, una riflessione netta e radicale contro il dogma della guerra inevitabile: “Si vis pacem, para bellum? No. Se vuoi la pace, prepara la pace. La guerra è una macchina che si autoalimenta. È tempo di smettere di prepararsi alla guerra. Iniziamo finalmente a costruire la pace.”
L’editoriale si chiude con un riferimento evangelico che suona come un monito: “Rimetti la spada nel fodero, perché chi di spada ferisce, di spada perisce.”
Per un attimo, anche il cielo ha taciuto. Nessun applauso. Nessuna bandiera sventolata. Solo la certezza che da 174 sabati questa piazza non si è mai voltata dall’altra parte. E non lo farà nemmeno il prossimo sabato...
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