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14 Giugno 2025 - 23:50
C’è chi cammina, ogni sabato. Cammina per ricordare. Cammina per denunciare. Cammina perché non riesce a tacere. Cammina con lo stesso cartello da tre anni. Cammina perché crede che l’indifferenza sia la vera disfatta. E così, anche sabato 14 giugno 2025, sotto un sole cocente che picchia sulle pietre della piazza e sui pensieri di chi resiste, il 172° Presidio per la Pace di Ivrea si è tenuto con la consueta determinazione, ma con toni e contenuti ancora più accesi, ancora più disperati, ancora più necessari.
Più di cinquanta persone si sono riunite nel centro storico, attorno a bandiere colorate, striscioni logori, fotografie di volti di bambini, di donne, di uomini massacrati. Non è un comizio, non è una rievocazione, non è un evento. È un rituale laico e civile. Un gesto corale, capace di parlare nonostante il silenzio della stampa, delle istituzioni, dei partiti.
A dare il via al presidio è stato, come spesso accade, Pierangelo Monti, con un discorso lungo, articolato, denso di riferimenti storici, politici e morali.
“Siamo qui a dire ancora una volta Basta Guerre, Basta Armi”, ha esordito. Ma non è stata solo un’invocazione generica. Il suo intervento si è concentrato soprattutto sull’ultimo atto di quello che Monti ha definito “il teatro tragico del nostro tempo”: il bombardamento israeliano sull’Iran, giudicato un’“orribile aggressione a uno Stato sovrano”.
Una condanna esplicita contro il governo di Tel Aviv, definito “criminale”, colpevole di una strategia pianificata di destabilizzazione e annientamento.
“Chi difende Israele oggi si rende corresponsabile di crimini e sofferenze”, ha tuonato Monti. Ma non si è trattato di una difesa dell’Iran. Tutt’altro. “Non siamo dalla parte del regime iraniano, come non siamo stati dalla parte di Putin o di Hamas. Noi siamo contro tutte le guerre, tutte le oppressioni. E siamo contro i due pesi e due misure che giustificano i crimini dell’Occidente e criminalizzano quelli degli altri”.
Nel suo lungo discorso, Monti ha citato anche le parole del leader laburista britannico Keir Starmer, che ha recentemente invitato il Regno Unito a “prepararsi alla guerra”.
Una frase che, secondo Monti, rappresenta il fallimento totale della politica contemporanea: “È la logica della guerra che genera altra guerra. È la follia cieca e immorale di un mondo che ha perso la bussola”.
A un certo punto, Monti si è fermato. E ha letto, con voce spezzata, i versi di “Masters of War” di Bob Dylan: “Voi che costruite tutte le bombe, voi che vi nascondete dietro le scrivanie... voglio solo che sappiate che posso vedere attraverso le vostre maschere”. Una poesia potente, attuale come non mai, capace di dire in musica ciò che la politica tace.
Ma il presidio non è stato solo condanna. È stato anche proposta, progetto, invito all’azione. A partire dalla grande Marcia per Gaza in programma a Marzabotto e Monte Sole domenica 15 giugno. Un appuntamento organizzato in un luogo simbolico della memoria italiana – teatro di uno degli eccidi nazifascisti più efferati – per dire mai più a ogni forma di genocidio. A illustrare i dettagli dell’iniziativa è stato Mario Beiletti, leggendo un testo preparato da Livio Obert.
Tra i tanti nomi che parteciperanno alla marcia: Valentina Cuppi, Luisa Morgantini, Gianfranco Pagliarulo, Flavio Lotti, Maurizio Landini, Matteo Lepore, Chiara Bardelli, Tomaso Montanari. Le richieste avanzate al Governo italiano e alle istituzioni europee sono precise: cessate il fuoco immediato a Gaza, sospensione degli accordi militari con Israele, ripristino dei finanziamenti all’UNRWA, riconoscimento dello Stato di Palestina.
Ma già sul fronte interno si intravedono crepe.
Beiletti e Franco Giorgio hanno denunciato pubblicamente il rischio che a Roma, sabato 21 giugno, si tengano due manifestazioni distinte sullo stesso tema.
“È assurdo. È autolesionista. Serve unità, serve maturità politica. Le differenze sono secondarie rispetto all’urgenza”, hanno detto con amarezza.
Giorgio ha poi ricordato la grande manifestazione eporediese del 24 maggio, a cui aveva partecipato anche il sindaco di Ivrea Matteo Chiantore, per poi criticare il silenzio dell’amministrazione comunale: “Nessuna risposta alle richieste di adesione al movimento BDS. Nessuna bandiera palestinese esposta sul municipio. Neppure più la bandiera della pace. Questo è marketing politico, non è impegno civile”.
Paolo Piras ha arricchito la riflessione con un’analisi geopolitica dettagliata. Secondo lui, l’attacco israeliano all’Iran è anche un modo per far dimenticare Gaza. Ha citato Ilan Pappé e il suo libro La pulizia etnica della Palestina, sostenendo che “Israele sta cercando di completare la ‘Nakba’ iniziata nel 1948”.
Ha parlato dei 900 checkpoint, della Cisgiordania trasformata in un carcere a cielo aperto, dell’isolamento mediatico della Striscia di Gaza. E ha ricordato il recente voto dell’Assemblea Generale ONU, che con 149 voti favorevoli ha chiesto un cessate il fuoco immediato e permanente.
Poi è stato il turno di Norberto Patrignani, che ha letto un lungo estratto dell’articolo di Massimo De Carolis su “il manifesto”. Una riflessione filosofica sul divorzio tra scienza e tecnica, sul potere delle Big Tech piegato agli armamenti, sulla trasformazione dei soldati americani in “tecnomanti” grazie ai fondi del Pentagono. “La tecnica serve a dominare, la scienza a capire. Ma oggi il dominio ha vinto”, ha concluso.
Monti ha ripreso la parola per denunciare nuove censure e repressioni. La Freedom Flotilla, bloccata dalle forze armate israeliane in acque internazionali. La Global March to Gaza, fermata al Cairo. La Carovana Sumud, partita da Tunisi, composta da 2.000 partecipanti, tra cui medici e attivisti, ignorata dai media. E infine un gesto di coraggio dall’interno di Israele: “Duemila israeliani, ebrei e arabi, hanno cercato di portare aiuti alimentari a Gaza. Fermati. Ma il gesto resta”.
Il presidio si è chiuso nel silenzio. Un minuto di raccoglimento dedicato alle vittime, soprattutto ai bambini. “Pensiamo a loro – ha detto Monti – almeno uno salviamolo, almeno una vita risparmiamola. Se la politica ci divide, l’umanità deve unirci”.
Il 172° presidio si è così concluso. Ma la sua eco continuerà a risuonare. Nelle piazze, nei libri, nei passi di chi non accetta l’ingiustizia come destino. A Ivrea, ogni sabato, la pace ha ancora un volto. E un cuore che batte.
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