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04 Giugno 2025 - 00:53
Sabato 31 maggio 2025, Ivrea non è stata soltanto una tappa del Giro d’Italia. È stata una tappa della coscienza.
Mentre i corridori attraversavano le strade, tra ali di folla e colori festosi, accanto alla fontana di Camillo si alzava un altro tipo di bandiera: quelle della pace, quelle palestinesi, quelle che parlano di giustizia. Una selva silenziosa e potente, in una curva strategica, là dove la visibilità non è solo ottica, ma morale. Perché anche lo sport, se vuole, può diventare gesto politico. E sabato, lo è diventato.
Il 170° Presidio per la Pace di Ivrea non è stato un appuntamento come gli altri. È stato la naturale continuazione – e al tempo stesso l’amplificazione – della straordinaria manifestazione Pro Palestina della settimana precedente, che aveva portato in piazza oltre duemila persone, in una delle mobilitazioni civili più partecipate degli ultimi anni.
Da quel corteo, da quelle voci, sono nate due richieste precise del "Comitato Ivrea per la Palestina" rivolte al Comune di Ivrea. Due gesti simbolici che chiedono di trasformarsi in atti concreti.
La prima: piantare un ulivo in un’area verde centrale della città, con una targa in memoria degli oltre 18.000 bambini uccisi a Gaza dalle forze israeliane.
La seconda: esporre sul balcone del Municipio la bandiera palestinese e uno striscione con la scritta “Stop al genocidio”. Per rompere il silenzio. Per prendere posizione. Per non voltare lo sguardo.
Dopo il passaggio del Giro, il presidio è tornato nel suo luogo abituale: piazza Ferruccio Nazionale.
Qui ha preso la parola, tra gli altri, Cadigia Perini, con una voce che non si è limitata a denunciare. Ha indicato una strada.
“Il popolo italiano – ha sottolineato – non vuole essere complice dell’orrendo genocidio perpetrato a Gaza e in Palestina dal governo israeliano, con l’appoggio di governi occidentali, compreso il nostro. Questo appoggio fa a pezzi i corpi dei Palestinesi e i principi della nostra Costituzione.”
Per questo, ha spiegato, un gruppo di volontari presidierà Montecitorio giorno e notte fino all’8 giugno, chiedendo con determinazione la cancellazione del Memorandum Italia-Israele.
“Chi può vada a Roma. Chi ha una voce pubblica la usi. Chi ha coraggio lo dimostri. Teniamoci stretti.”
È poi intervenuto Pierangelo Monti, la voce narrante della coscienza eporediese, che ha riportato alcune delle ultime, strazianti notizie.
Come quella della dottoressa Alaa al-Najjar, medico e madre di dieci figli.
Mentre era di turno all’ospedale di Khan Yunis, l’esercito israeliano ha bombardato la sua casa. Nove dei suoi figli sono morti, il marito è rimasto gravemente ferito. Solo un bambino, sopravvissuto, giace ora nello stesso ospedale, tra la vita e la morte.
“Mentre curava i figli di altre madri – ha scritto padre Ibrahim Faltas il 24 maggio – non sapeva che stava per accogliere nell’obitorio i corpi dei suoi. Non ha potuto curarli. Solo piangerli.”
E poi altre storie, non meno tremende: un padre senza braccia che non può accarezzare il corpo della figlia uccisa; una madre denutrita, incapace di allattare, che ha perso il marito mentre cercava cibo.
“Non sono numeri. Non sono statistiche. Sono volti, nomi, dolori che ci appartengono. Chi può ancora guardare i propri figli dopo aver visto i sudari bianchi macchiati di sangue?” – si è domandato Monti.
La sua denuncia è stata netta, senza sfumature:
“Questo orrore deve finire. Il governo italiano deve rompere gli accordi con Israele. Il genocidio non si può più negare. Israele ha bombardato 686 volte gli ospedali di Gaza. Ha ucciso 1.400 operatori sanitari. Sta affamando migliaia di bambini.”
Ma Gaza non è l’unico fronte.
“La pulizia etnica avanza ovunque in Palestina. E all’interno di Israele – ha continuato Monti – una nuova proposta di legge vuole strangolare economicamente tutte le ONG che difendono i diritti umani: un’imposta dell’80% su tutti i fondi ricevuti dall’estero. Vogliono cancellare la società civile. Zittire chi dice la verità. Isolare ogni voce libera.”
Monti ha poi puntato il dito contro un’Italia che guarda altrove, contro un’Europa che preferisce il rumore dei motori al silenzio delle coscienze.
Ha ricordato la visita della presidente del Parlamento Europeo Roberta Metsola al Distretto Aerospaziale di Torino, tra Thales, Leonardo e Altec. Una visita entusiasta, tra simulatori di volo e droni di nuova generazione.
“L’Europa non può vivere di nostalgia”, ha dichiarato Metsola.
“E allora avanti – ha commentato Monti – con i droni, i caccia, i missili. Avanti con l’industria della morte. Questo è il volto dell’Europa del riarmo. E noi, che ci opponiamo da anni al Polo Aerospaziale, oggi lo diciamo ancora più forte: quella non è innovazione. È complicità con la guerra.”
Ivrea sarà a Roma il 21 giugno, per la manifestazione nazionale contro il riarmo europeo. Ma vuole esserci anche qui, ogni giorno, visibile, stabile, ostinata.
Da qui la provocazione lanciata in piazza da Paolo Piras: “Se il Comune non espone la bandiera palestinese, veniamo noi ogni giorno. Piazziamo una tenda. Una persona al giorno digiuna. Una bandiera sventola. Una voce resta. Facciamoci vedere. Ivrea non può tacere.”
Perché la pace non è un gesto vuoto. È presenza. È scelta. È azione quotidiana.
È piantare un ulivo nel cuore della città, perché la memoria non marcisca nel silenzio.
È alzare una bandiera, per mostrare che la neutralità, di fronte all’ingiustizia, è complicità.
È resistere da 170 settimane, per non abituarsi mai alla morte dei bambini.
Perché ogni bambino ucciso merita un nome, un albero, una città che non dimentica.
In queste settimane, mentre a Gaza la popolazione civile continua a subire bombardamenti, distruzione e morte, alcuni Comuni italiani hanno scelto di non restare a guardare. Lo hanno fatto con un gesto semplice, ma carico di significato: esponendo la bandiera palestinese sui balconi dei Municipi. È un segnale simbolico, certo, ma anche politico e civile, per dire che il silenzio è complice e che è tempo di schierarsi dalla parte dei diritti umani e della pace.
Il primo a farlo è stato Sesto Fiorentino, dove il sindaco Lorenzo Falchi ha fatto issare il vessillo palestinese il 15 maggio, Giornata della Nakba, accompagnandolo con uno striscione che chiede il cessate il fuoco a Gaza. A ruota lo ha seguito Spoleto, con il sindaco Andrea Sisti che ha definito la scelta un dovere morale nei confronti di una popolazione stremata dalla guerra. Anche Trepuzzi, in provincia di Lecce, ha esposto la bandiera della Palestina accanto a quella della pace: un gesto voluto dalla Giunta per richiamare l’attenzione sul massacro in corso.
Sempre nel Salento, anche Carmiano ha deciso di unirsi all’appello: le bandiere sono state appese sulla facciata del Municipio il 29 maggio, su iniziativa condivisa con i cittadini e le associazioni locali. In Puglia, ha scelto di esporsi anche Barletta: in occasione del 2 giugno, Festa della Repubblica, il sindaco Cosimo Cannito ha fatto appendere la bandiera palestinese dal balcone del Comune, dichiarando che non può esserci democrazia senza pace e diritti per tutti.
A Roma, nel Municipio II (zona Parioli), il Consiglio municipale ha approvato una mozione che ha portato all’esposizione ufficiale della bandiera palestinese sulla sede istituzionale. Anche questo un gesto politico e fortemente voluto da una parte dell’amministrazione per rompere il silenzio.
A Tolfa, nel Lazio, il Partito Democratico ha chiesto al Comune di seguire l’esempio e di esporre la bandiera, invitando anche il Governo italiano a riconoscere formalmente lo Stato di Palestina. Da Cinquefrondi, in Calabria, il sindaco Michele Conia ha lanciato un appello a tutti i 97 Comuni della Città Metropolitana di Reggio Calabria affinché facciano lo stesso: appendere la bandiera palestinese, per dire che non è possibile rimanere indifferenti.
Anche nelle aree interne e rurali si muove qualcosa. In Molise, il Centro Indipendente Studi Alta Valle del Volturno ha scritto a tutte le amministrazioni della zona per chiedere che espongano la bandiera nei Municipi. Nel Cilento e nel Vallo di Diano, è l’associazione “Schierarsi” a portare avanti la campagna, invitando tutti i Comuni della zona a mostrare pubblicamente il proprio sostegno al popolo palestinese.
In un’Italia dove le grandi istituzioni nazionali faticano a trovare il coraggio di pronunciarsi con chiarezza, sono i Comuni, spesso piccoli e periferici, a dimostrare che la politica può ancora essere umana, empatica, civile. Che si può scegliere da che parte stare. Che esporre una bandiera non è solo un gesto simbolico, ma un atto concreto di partecipazione e responsabilità.
E ora tocca ad altri, magari a Ivrea, che ha una lunga tradizione di impegno civile e una storia di lotte per la libertà. Sarebbe un bel segnale se anche qui sventolasse una bandiera palestinese. Per dire che ci siamo, che non accettiamo l’ingiustizia, che non chiudiamo gli occhi. Per dire, semplicemente, che non è mai troppo tardi per scegliere l’umanità.
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